La fede non ideologica di papa Francesco

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L’autrice è vaticanista di Rainews24

 

Della visita di Papa Francesco a Milano molto si è detto, si è scritto e si è visto. Le immagini televisive hanno documentato i grandi numeri del milione di persone alla messa a Monza e degli 80mila allo stadio Meazza, e contemporaneamente la semplicità e la familiarità della visita al carcere di San Vittore e dell’ingresso nella più grande diocesi d’Europa, al mattino, attraverso un quartiere di periferia, con la scelta del papa di usare un bagno chimico, di entrare in alcune case, compresa quella di una famiglia musulmana, quasi a testimoniare “sono con voi, sono uno di voi”. Il micro e il macro, che armonicamente si tengono insieme.

Il papa che il giorno prima aveva avvertito i 27 leader dell’Unione Europea che l’egoismo genera i populismi, si presenta a Milano come un sacerdote, ricordando che il sacerdote cristiano è scelto dal popolo ed è al servizio del popolo. Entra in Duomo, a Milano, dalla periferia, e parla ai religiosi ai diaconi e alle suore avvertendo che “l’evangelizzazione non sempre è sinonimo di ‘prendere i pesci’: è andare, prendere il largo, dare testimonianza … e poi il Signore, Lui, ‘prende i pesci’. Quando, come e dove, noi non lo sappiamo”.

Tra le cose importanti che sottolinea in quel denso discorso, l’invito a non sottrarsi alle sfide, ma a “prenderle per le corna”, sapendo che proprio le sfide aiutano a far sì che la fede non diventi ideologica: “Le ideologie germogliano e crescono quando uno crede di avere la fede completa, e diventa ideologia. Le sfide ci salvano da un pensiero chiuso e definito e ci aprono a una comprensione più ampia del dato rivelato”. Ancora, il richiamo alla fede, che “per essere cristiana e non illusoria deve configurarsi all’interno dei processi, dei processi umani, senza ridursi ad essi”.

Dalla forza e dal peso dei numeri il papa quasi si schermisce, ricordando ai religiosi che “padri e madri fondatori non pensarono mai a essere una moltitudine, o una gran maggioranza”, ma “si sentirono mossi dallo Spirito Santo (…) a rinnovare ed edificare la Chiesa come lievito nella massa, come sale e luce del mondo”. Per portare avanti il Vangelo, il carisma, non serve la “turba multa”. Ricorda la frase di un fondatore: “Abbiate paura della moltitudine”. Altri padri fondatori, o almeno il loro spirito, venivano contemporaneamente evocati a Roma durante le cerimonie per i 60 anni dei Trattati di Roma che davano vita all’Unione Europea.

Ai milanesi e agli ambrosiani il papa ha ricordato di essere parte del grande popolo di Dio: “un popolo formato da mille volti, storie e provenienze, un popolo multiculturale e multietnico. (…) un popolo chiamato a ospitare le differenze, a integrarle con rispetto e creatività e a celebrare la novità che proviene dagli altri; è un popolo che non ha paura di abbracciare i confini, le frontiere; è un popolo che non ha paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno perché sa che lì è presente il suo Signore”.

I popoli con le loro diversità visti all’interno dell’unica famiglia umana. Sembrerebbe un programma politico. E’ un programma evangelico che si fa storia.

 

Vania De Luca

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