La coscienza politica

| 0 comments

Lo scorso 19 maggio si è tenuto a Roma, per iniziativa del Partito Democratico, un dibattito dal titolo “La coscienza politica. Attualità del pensiero politico di Pio Parisi”. Padre Parisi (1926-2011), gesuita, è stato  assistente delle Acli dal 1975 al 1999. La sua spiritualità, espressasi, tra l’altro, nell’esperienza della “cattedra dei piccoli e dei poveri” e poi, dal 1992, negli incontri di spiritualità delle Acli ad Urbino denominati  “Conversione al Vangelo. Vie nuove per la politica”, ha lasciato in chi lo ha conosciuto un ricordo indelebile. All’incontro romano hanno preso parte Giorgio Marcello (sociologo, Università della Calabria),  del quale riportiamo qui l’intervento, Francesco Verducci (senatore del Pd), Piero Fantozzi (docente all’Università della Calabria), Emiliano Manfredonia (presidente delle ACLI), Franco Passuello (già presidente ACLI), Andrea Monda (direttore de L’Osservatore Romano), Mario Tronti (intellettuale di sinistra), Maria Grazia Fasoli (Ufficio Studi ACLI), Emma Fattorini (docente all’Università “La Sapienza”), Claudio Sardo (giornalista).

 

 

 

  1. Introduzione

“Che c’entra Pio con la politica?”. Se lo chiede Pino Trotta, più di venti anni fa, nel commentare una raccolta di scritti di Pio Parisi[1]. E poi aggiunge: “Quando si parla di queste cose saltano subito alla mente altre figure, magari di gesuiti, che si sono da sempre occupati di questo; ma salta alla mente anche subito la distanza di quelle esperienze, tutte, dalla sua. Una distanza incolmabile”[2]. Ciò che rende unica l’esperienza di Pio Parisi sta nel fatto che, secondo Trotta, essa “si colloca oltre il paradigma su cui si è formata la cultura politica dei cattolici: la distinzione maritainiana tra fede e politica, quella distinzione che fondava la laicità della politica”[3].

L’esperienza di Pio Parisi non è comprensibile all’interno di questo paradigma. La fede e l’impegno dei cristiani nel mondo gli appaiono come i due capi di una fune spezzata, che occorre invece riannodare intenzionalmente. In questa prospettiva, individua il terreno di incontro tra la ricerca di Dio e l’interesse per la politica nella coscienza politica, come coscienza agitata dall’ascolto della Parola.

 

  1. Lo spirito e le strutture

Pio Parisi ne parla in modo organico in un libro scritto nel 1975, che ha come titolo proprio La coscienza politica. Nel testo egli evidenzia il bisogno urgente di una “politica rivolta alla formazione della coscienza politica”[4].

Anni dopo, così spiega in che modo fosse arrivato a questa formula:

mi ero da tempo accorto che quando si discuteva di problemi sociali e politici, specialmente fra cristiani, c’era sempre qualcuno che diceva che il vero problema era quello di cambiare le strutture economiche e sociali, e che tutto il resto si sarebbe aggiustato di conseguenza. Altri invece dicevano che era tutta una questione di onestà e di formazione: uomini coscienziosi e preparati avrebbero risolto tutti i problemi. (…) Così mi misi a riflettere sul rapporto fra le strutture della vita sociale e le coscienze, che pensavo di poter chiamare spirito”[5].

Il tema di fondo del saggio è il rifiuto della separazione tra spirito e strutture, ispirato dalla lettura di alcune pagine della Critica dell’economia politica di Marx, quelle in cui si affronta il tema dell’alienazione della coscienza nella società dominata dal capitale, dal danaro, dalle merci. Per Pio Parisi, si tratta di una questione che non può non interrogare i cristiani. Da qui la necessità di capire come si potesse favorire la formazione di una coscienza politica che non fosse il prodotto delle strutture stesse[6].

Passando anche attraverso Marx, egli mette a fuoco la necessità di superare la contrapposizione tra l’azione rivolta allo spirito e quella rivolta alle strutture, avendo chiare due cose: il primato delle coscienze e, insieme, la necessità delle strutture. Tutto questo, nella convinzione che se l’azione sulle coscienze è la causa della crescita della società, non si può fare a meno di cambiare le strutture. Chi fa politica tende ad occuparsi del cambiamento delle strutture, dimenticandosi del primato delle coscienze. Da qui, l’urgenza di una conversione della politica, in modo che essa sia rivolta alla crescita delle coscienze.

La coscienza politica matura si esprime dunque attraverso l’esercizio personale e collettivo di un discernimento continuo della tensione ineliminabile tra spirito e strutture, da portare avanti a tutti i livelli della vita collettiva. Lo spirito ha bisogno delle strutture per manifestarsi storicamente e per durare nel tempo; sembra altrettanto innegabile che qualsiasi struttura, raggiunto un certo livello di complessità organizzativa, tende a cristallizzarsi e a soffocare lo spirito che l’ha generata. Si tratta di un esercizio da fare nelle situazioni concrete, con riferimento ai diversi contesti istituzionali in cui si è calati, allo scopo di indicare alle istituzioni il senso della loro vocazione primaria, che è quello di favorire e non di comprimere la vita. Dalla qualità di questo impegno deriva la possibilità di offrire un contributo alla tessitura di forme di convivenza aperte al riconoscimento e alla valorizzazione della fraternità.

 

  1. Il superamento della politica come esercizio del potere e la cattedra dei piccoli e dei poveri

Negli anni successivi, la ricerca di P.P. conosce sviluppi ulteriori. Ripensando anni dopo al suo testo del 1975, egli dice di condividerne i contenuti solo in parte, spiegando che “ero allora molto ottimista nei confronti del potere e dei potenti di questo mondo. La mia riflessione partiva dalla fede, e da una qualche esperienza del mistero di Dio, ma non era abbastanza sostenuta dall’ascolto della Parola. Di conseguenza, non mi ero ancora aperto a sufficienza alla rivelazione della centralità dei piccoli nel piano di Dio”[7].

Questa apertura caratterizza le tappe seguenti del suo itinerario, lungo il quale individua sempre più chiaramente nell’ascolto della Parola e del grido dei poveri le dimensioni costitutive di una coscienza politica matura. L’esperienza di questo duplice ascolto consente di comprendere che la politica non può ridursi ad attività finalizzata alla ricerca e alla gestione del potere. In uno dei tanti testi scritti sull’argomento, dal titolo Preghiera, povertà e politica, egli così scrive:

vengo subito a quello che mi sembra il nodo del problema. È diffusa tra i cristiani la convinzione che la carità ci spinga all’impegno politico e che questo consista nella ricerca e nella gestione del potere. Si ripete spesso l’affermazione di Paolo VI che la politica è una forma eccellente della carità. Ma il Signore salva il mondo proprio attraverso il non potere. E allora bisogna correggere e dire che il cristiano non è chiamato a fare politica se non in casi eccezionali, per breve durata, mai come professione (vedi Dossetti), o liberarsi del senso corrente di politica = gestione di potere, e rifondare il termine sulla parola di Dio che, a partire dalla città di Caino, ci rivela Dio impegnato a ricostruire rapporti fraterni verso la Gerusalemme celeste[8].

Interessante il riferimento a Dossetti. Per quest’ultimo, “la politica è dotata di una sua tragica ambivalenza: essa da una parte è potere, dall’altra servizio; da una parte è potenza, dall’altra pastoralità. È questo aspetto bifronte della politica che la Chiesa ha cercato di educare, senza mai riuscirci”[9]. Le conclusioni a cui approda Pio Parisi sono diverse. La politica per un cristiano non ha nulla a che fare con il potere. Si tratta di uscire dalla sua natura ambivalente e fondarla, invece, sulla Parola.

Sempre alla luce della Parola, è possibile individuare alcune vie nuove per l’annuncio del Vangelo nell’impegno sociale e politico: l’umiltà, la minorità, la gratuità e – soprattutto – la compassione. Quest’ultimo termine indica l’amore con cui Dio ama ogni creatura, facendosi carico della sua insufficienza e miseria, coinvolgendosi pienamente nelle sue gioie e nei suoi dolori. La compassione può essere una via per cominciare una esperienza politica nuova, che abilita a cogliere i riflessi del volto di Dio sul volto di ogni uomo e, in particolare, a radicarsi nelle periferie della città, riconoscendo nelle vite scartate le fondamenta nascoste della polis.

Gesù ha realizzato il suo servizio assumendo la condizione di servo e facendosi obbediente fino alla morte di croce (cfr. Fil 2,8). Proprio in questo, ricorda Pio Parisi, consiste la novità cristiana per la società e per la politica:

servire nella povertà, nella debolezza, nella minorità, nel cammino della Croce. Questo è il rapporto che la Chiesa è chiamata a vivere con il mondo: un sale che si scioglie, un lievito che continuamente scompare, una identità che si realizza nel dono totale di sé, una vita che si salva quando si perde, una visibilità che si realizza scomparendo, un grano che se non muore non porta frutto (…). I credenti sono chiamati a scoprire il valore politico della compassione e ad assecondarne il movimento (…). Già Caino aveva inventato la città per vivere insieme senza più incontrare il fratello, senza dover compatire. Il servizio cristiano della politica è quello di riconoscere, assecondare, promuovere e organizzare la compassione. L’azione politica che nasce dalla compassione si applica a cambiare lo spirito e le strutture e si libera progressivamente dalla seduzione del potere, del successo e della carriera, per servire come il Signore[10].

La vicinanza ai fragili, il valore magisteriale della loro condizione, consente di discernere i diversi significati che le forme della povertà possono assumere.

Se la povertà viene intesa come ingiustizia – locale e globale – essa va combattuta.

La povertà è però anche un luogo teologico. In questo senso, ad essa occorre continuamente convertirsi. Si diventa poveri soltanto a scuola dei poveri. Questi ultimi sono depositari delle risorse di cui la convivenza umana ha più bisogno. Se la politica è infatti sempre più un tragico gioco di potere, gli invisibili sono in grado di capire che il problema di fondo del potere non è quello di cambiarne i titolari e i meccanismi, ma di sminuirne l’importanza[11].

La coscienza politica si esprime pertanto anche nell’impegno a riconoscere questa cattedra e a sostenersi nella fatica di restare poveri. A questo riguardo, si consideri che i caratteri della crisi ecologica e ambientale odierne autorizzano ad affermare che non può esserci prospettiva di autentico sviluppo umano, forse non può esserci la possibilità di riprodursi per la vita umana sul pianeta, senza un movimento di radicale conversione ad uno stile di vita sobrio ed essenziale, superando l’attuale modello  economico poggiato sul consumo compulsivo di beni e risorse.

 

  1. La laicità e la pace

Il termine laicità è quello che, per Pio Parisi, meglio sintetizza i contenuti della ricerca di nuove strade per la testimonianza del Vangelo nell’esperienza sociale e politica. Il termine viene utilizzato non per individuare una componente del popolo di Dio, e neanche per segnalare la distinzione tra il piano della fede e quello dell’impegno nella storia, ma per indicare l’esperienza personale e comunitaria di radicamento nell’ascolto della Parola e del grido dei poveri.

Tale ascolto è profetico. La profezia non è una predica sulla parola, ma è invece parola ascoltata, assimilata e vissuta. L’ascolto maturo della parola non separa dal mondo; al contrario, radica nel cuore delle sue tensioni, delle sue contraddizioni, esigendo l’assunzione di responsabilità concrete, soprattutto nei confronti dei più vulnerabili. Vivere la laicità, spiega Pio Parisi, vuol dire ricercare il volto di Dio, coinvolgendosi pienamente in tutte le pieghe, anche le più oscure, della storia umana. Il cammino della laicità, come ascolto del Vangelo e assunzione di precise responsabilità, non offre un riparo rispetto all’esperienza dolorosa dell’esilio, della frammentazione delle coscienze, della comunità, della società, della cultura. Tale cammino è possibile, pertanto, solo se sorretto dalla speranza che anche nei negativi delle vicende personali e sociali il Signore è presente e operante secondo un disegno di riconciliazione, della quale la Chiesa corpo di Cristo è, nella storia, il segno e lo strumento visibile.

Dell’itinerario sulla laicità, la pace rappresenta l’approdo ultimo. Essa non consiste nell’assenza di guerra, ma nel ritrovare nel mistero pasquale il senso ultimo della storia, alla luce del quale si prende coscienza dell’assurdità di ogni guerra:

mentre sembra che tutta l’umanità si sta convincendo che l’unico intervento efficace per determinare il cammino della storia sia quello delle armi che uccidono i corpi e costringono gli spiriti, la fede nel mistero pasquale ci farà scoprire che l’intervento più efficace e decisivo, in tutte le situazioni, è quello di ricercare la propria e altrui conversione. […] Ciò che seduce gli uomini non solo è il potere delle armi ma qualunque altra forma di potere: politico, economico, culturale, religioso. E con il potere la forza. Il mistero pasquale che celebriamo nella Messa ci svela la salvezza che viene dal non potere […]. La potenza del non potere, la forza della debolezza, sono rivelazioni che si radicano profondamente nel mistero pasquale[12].

La lezione di Pio Parisi, tanto preziosa quanto inascoltata, è espressione di una lettura contemplativa delle cose di questo mondo. Da un certo momento in poi, essa è fortemente ancorata al dato biblico, ed è comunicata con un linguaggio nuovo, impegnativo, che mette in discussione gli schemi rigidi – veri e propri blocchi culturali – entro i quali abitualmente si costruiscono i discorsi relativi all’impegno sociale e politico. Da qui, l’urgenza di riprenderla e riproporla a noi stessi e ad altri compagni di percorso.

 

Giorgio Marcello

 

1] Parisi P. (2000), La ricerca di Dio e la politica, Rubbettino, Soveria Mannelli.

[2] Trotta G. (2001), Giuseppe Trotta presenta: Pio Parisi. La ricerca di Dio e la politica, in http://www.circolidossetti.it/giuseppe-trotta-presenta-pio-parisi-la-ricerca-dio-la-politica/

[3] ibidem

[4] Parisi P. (1975), La coscienza politica, pro manuscripto, Roma, p. 6.

[5] Parisi Pio (2000), cit., pp. 23-24.

[6] Parisi P. (1975), cit., pp. 38 ss.

[7] Parisi P. (2000), cit., p. 26.

[8] ivi, p. 137.

[9] Trotta G. (2001), cit.

[10] Parisi P. (1996), La compassione di Dio e dei piccoli, supplemento al n. 36 di Acli Oggi, Roma, pp. 41-41.

[11] Parisi P. (2000), cit., pp. 53-63.

[12] Parisi P. (1991), L’Apocalisse nel deserto, pro manuscripto. Per una presentazione di questo testo, vedi Marcello G., Mandreoli F. (2022), Rileggere Pio Parisi: note su guerra e cristiani, in Settimana News, 20 aprile, http://www.settimananews.it/cultura/rileggere-oggi-pio-parisi-note-su-guerra-e-cristiani/

Lascia un commento

Required fields are marked *.