Il lavoro, ineludibile campo di impegno per i cattolici. Un libro di Antoniazzi e Corbari

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“Lavoro e cristianesimo. Un problema aperto” (Jaca Book, 2019), di Sandro Antoniazzi e Costantino Corbari, è un libro che ho letto molto volentieri e che sinceramente mi sento di consigliare. Non solo per la stima personale verso Antoniazzi – lombardo, già dirigente della CISL e tra i fondatori della nostra rete c3dem, personalità di grande esperienza e sempre attento all’evoluzione della realtà  – ma perché presenta, con linguaggio fluido ma preciso, vicende, problemi e prospettive di un rapporto – quello tra fede cristiana, cattolica in particolare,  e “mondo del lavoro” – che ha sempre rappresentato e rappresenta tuttora una sfida e una “frontiera” per i credenti.

Non è certo mia intenzione proporre un riassunto analitico del libro, ma sottolinearne alcuni aspetti, nel tentativo di evidenziare alcuni passaggi salienti attorno a cui il volume si sviluppa.

Innanzitutto, è originale la suddivisione in due parti.

Nella prima parte (“Cristiani nel lavoro”, curata da Corbari, giornalista e scrittore) sono riportate le esperienze personali di 18 testimoni che hanno cercato di vivere da cristiani nel mondo del lavoro, partecipando attivamente alle più importanti realtà associative (Azione Cattolica, CISL, ACLI, DC, ma anche GIL, Gioc, preti operai e altre esperienze), talvolta con ruoli di primo piano sia a livello locale che nazionale, nonché a forme di volontariato sociale e caritativo, persino nei Paesi in via di sviluppo. Tutte esperienze ricchissime di impegno, di ricerca continua dei modi per vivere e testimoniare il proprio cristianesimo insieme ai lavoratori e alle lavoratrici, stando dalla loro parte, condividendo profondamente le loro vicende e le loro lotte e nello stesso tempo cercando di sostenere un’evoluzione dell’economia e del rapporto tra datori di lavoro e lavoratori che trovasse strade più costruttive rispetto alla logica stretta della lotta di classe di matrice marxista.

E’ interessante notare, come accennavamo sopra, come per molti di questi testimoni sia stata fondamentale, per così dire, naturale, irrinunciabile, la partecipazione al mondo associativo, vero “luogo” in cui condividere, confrontarsi, proporre, sperimentare nuovi percorsi, sentirsi parte di una comunità che opera come tale e non come sommatoria di tante individualità. Una partecipazione così intensa, ampia e “sentita” (per alcuni ha avuto un inizio ma mai una fine…) tanto che si potrebbe per diversi di loro parlare di “pluripartecipazione”, come testimoniato da questa espressione presente nel libro: “nel portafoglio molti conservano insieme quattro tessere: Azione Cattolica, Dc, Acli, Cisl”. Altri riferimenti importanti, oltre ovviamente alle Scritture e al Magistero ecclesiale, sono alcuni maestri e maestre come Camara, l’Abbé Pierre, Simone Weil, Teilhard de Chardin, La Pira, Lazzati, don Milani, Delbrel, Mazzolari, Paoli, Bello… per citare alcuni dei nomi più noti e ricorrenti.

Impossibile rendere la ricchezza e l’intensità di queste esperienze vissute e raccontate. Ma accanto a una passione fortissima per il bene comune e per le attese dei lavoratori, già dalle testimonianze emergono, assieme alla bellezza di un impegno senza posa, due problemi – che verranno poi ripresi nella seconda parte del libro: la difficoltà nel trovare corrispondenze concrete tra l’insegnamento sociale della Chiesa (termine che viene preferito al più ufficiale “dottrina”) e realtà del lavoro, e la mancanza di occasioni di approfondimento, dialogo, confronto su temi sociali, politici, economici all’interno della pastorale “ordinaria” della chiesa, cioè nella vita delle parrocchie e delle diocesi (problema, questo, che possiamo considerare attualissimo). Come se su questi temi ci fosse una delega pressochè totale ai soggetti collettivi “di settore” e non dovessero interessare le comunità parrocchiali.

 

La seconda parte del libro, scritta da Antoniazzi, si intitola “Ripensare il cattolicesimo sociale” ed è certamente molto interessante non solo come arricchimento per il lettore ma anche come base per approfondimenti e per un dibattito che voglia essere costruttivo e propositivo.

Attraverso un rapido ma efficace excursus viene riconosciuto il grande valore delle encicliche sociali dei vari pontefici, dalla Rerum Novarum – vero punto di svolta nella storia della Chiesa –  ai radiomessaggi di Pio XII fino ai magnifici documenti di Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II (di papa Francesco riparleremo fra poco); così come le importanti prese di posizione, scelte pastorali e documenti della CEI e di singoli pastori (più volte viene ricordato Giovanni Battista Montini arcivescovo di Milano e poi papa, impegnato con intensità di gesti e di parole a costruire un dialogo col mondo del lavoro ma nello stesso tempo preoccupato – senza farne mistero – dalla distanza tra Chiesa e lavoratori). Ciò che viene messo nuovamente in evidenza è la problematica “connessione” tra princìpi e prospettive indicate nei documenti, in sé validi e condivisibili, e la concreta realtà del lavoro; il che rende più difficile ai cristiani impegnati in prima linea nelle fabbriche capire che tipo di messaggio e di testimonianza portare; quali risposte, cristianamente ispirate, offrire ai problemi di ogni giorno.

Gli autori vedono nella Laudato Si’ di papa Francesco un certo salto di qualità in questo senso, uno sforzo maggiore nello stare in sintonia con i problemi concreti del nostro tempo e le situazioni che si presentano sotto i nostri occhi.

Interessante anche l’analisi delle vicende che hanno riguardato il mondo associativo cattolico italiano, che  porta l’autore a constatare alcuni punti di crisi che hanno influito notevolmente sul rapporto tra chiesa italiana e mondo del lavoro: dalla frattura avvenuta tra Chiesa ufficiale e ACLI negli anni ’70 – successivamente ricomposta, non senza fatica -, che portò alla creazione da parte delle  curie vescovili di uffici per la pastorale del lavoro spesso non attrezzati per il compito assegnato, al rapporto complesso tra CISL e mondo cattolico (con la tendenza, talvolta, a eccedere in autonomia o al contrario in vicinanza), alle caratteristiche non più “di massa” di realtà pur vivaci e ancora ampiamente diffuse come l’Azione Cattolica, fino alla scomparsa della DC che, con tutti i suoi limiti, rappresentava comunque un interlocutore politico certo per la gran parte del cattolicesimo sociale italiano.

Anche in questa seconda parte si annota la ritrosia dei cattolici e dei presbiteri nell’affrontare temi sociali, economici, politici all’interno delle comunità parrocchiali, come se vi fosse una separazione piuttosto netta tra vita sacramentale, liturgica, formazione catechetica e vita reale, quotidiana.

Antoniazzi però non è persona propensa alla lamentela improduttiva – abitudine spesso presente anche nelle nostre comunità e gruppi: accanto alla constatazione dei problemi esistenti, egli indica alcune strade da percorrere, ed è su queste che varrà la pena di tornare a ragionare e progettare.

Senza volere o potere sintetizzare questa “pars costruens” densa di spunti, è da sottolineare come Antoniazzi ritenga che si debba ripartire dalla fede, più che dalla morale, per dare linfa vitale all’impegno e riaffermare la dimensione sociale del cristianesimo; che occorra avere un approccio critico al capitalismo, senza ormai più timore di essere confusi con l’ideologia comunista; che sia necessario un nuovo movimento del lavoro, che abbia come protagoniste la CISL ma anche le ACLI. Un nuovo impulso che tenga però conto delle trasformazioni che il lavoro ha conosciuto e conosce ancora, e del fatto che le dimensioni della cura, della conoscenza e relazionali sono sempre maggiori.

Nelle conclusioni (“Oltre il cattolicesimo sociale”) si fa pressante l’invito a una ripresa di responsabilità da parte della comunità cristiana: “Abbiamo bisogno di comunità che nella vita spirituale assumano anche i problemi della vita di ogni giorno e della società. […]. Cresce così la responsabilità dei cattolici […]. Il mondo del lavoro è forse il primo campo di impegno, perché tutti lavorano e perché il lavoro è tanta parte  della vita delle persone, non solo economicamente ma anche moralmente e come espressione di sé. Interessarsi del mondo del lavoro significa farsi prossimi alle persone e contribuire a cambiare la società a partire dal basso. Significa dare fiducia ai lavoratori perché siano soggetto della propria elevazione personale e sociale  e di quella degli altri lavoratori”.

Viene così delineata una sfida di grande rilevanza per quella “chiesa in uscita” a cui papa Francesco ci richiama costantemente.

 

Sandro Campanini

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