Gli italiani e lo Stato: un rapporto da decifrare meglio

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Non è così vero che gli italiani siano sempre più sfiduciati nei confronti della cosa pubblica e delle sue istituzioni. Un recente rapporto di ricerca mostra dati ancora certamente preoccupanti, ma anche segnali significativi di una certa risalita rispetto agli anni scorsi. Servirebbe un dibattito meno catastrofista da parte di mass media e opinione pubblica per cogliere questi esili segnali positivi e impegnarsi a rafforzarli. Il Paese ha un grande bisogno di recuperare fiducia e generare speranze attive

 

 

 

Sulla base di quali informazioni possiamo provare a comprendere la situazione del comune sentire dei cittadini del nostro Paese, per coglierne lo spirito, le idee, gli orizzonti, le visioni e per poter poi valutare, almeno per accenni, cosa fare per una politica lungimirante? Detto che è comunque (oggi più che mai) un’operazione complicata, proviamo a farlo a partire da alcune ricerche e sondaggi (fatti con criterio) che possano dare utili coordinate. Di sicuro il XXV Rapporto su “Gli italiani e lo Stato”, pubblicato a dicembre 2022 e curato della società di ricerche Demos&Pi (http://www.demos.it/), del sociologo Ilvo Diamanti, è fra questi. Anche se, è bene precisare, le letture che ne sono seguite nei giorni a ridosso dell’uscita, non sempre hanno colto bene alcuni aspetti.

Intanto emerge il dato al momento forse più “politicamente” rilevante, e abbondantemente rimarcato da alcuni articoli: una larga maggioranza dei cittadini (62%) afferma che il Paese dovrebbe essere guidato da un “leader forte”. E inoltre più dei due terzi dei cittadini esprimono apertamente il proprio favore verso l’elezione diretta del Presidente (69%). Segno, questo, che si viene così palesemente a confermare la sfiducia verso le tradizionali forme del nostro sistema politico che abbiamo condiviso dalla Costituzione in poi? Non direi. Vediamo altri dati.

Vediamone prima due di carattere più generale, ma che mi sembrano significativi e che sono stati un po’ trascurati dalle veloci esigenze della cronaca.

La fiducia? Non è cosa rara…

Partiamo da una non secondaria “soddisfazione per la democrazia”. Dopo il crollo che ha visto passare dal 42% di soddisfatti del marzo 2008, a un misero 28 del marzo 2013, vi è stata una costante risalita fino ad un sorprendete 53 del novembre 2022. Poco? Forse, ma è comunque un trend che sembra contraddire il pensiero diffuso della “crisi drammatica” della democrazia. Certo, sono questi anche gli effetti delle cattive “prestazioni” delle cosiddette autocrature di alcuni Paesi ben noti, ma di fronte a questo dato (soprattutto perché frutto di un percorso in crescita) occorre riflettere, invece della sterile lamentela, per consolidarlo e farlo crescere.

Secondo elemento, in un certo senso collegato al primo: il tema della cosiddetta “tecnocrazia” (che richiama il tema del merito). Alla domanda se un governo di tecnici sia da preferire a quello di politici (convinzione che per lo più porta a delegittimare partiti e istituzioni, ritenuti incapaci di fare scelte giuste perché affidate a criteri di alleanze e fedeltà politiche) il risultato, se non proprio sorprendente, lascia spazio a qualche interrogativo: sono pari al 47 per cento sia i cittadini che preferiscono che a governare siano i tecnici sia quelli che preferiscono i politici (a fronte di un 6% che non ha risposta). Come dire: da un lato, la democrazia deve essere fondata sul valore, ma dall’altro il meccanismo di scelta tramite il voto popolare è un elemento non rinunciabile

Le istituzioni riemergono dal tunnel?

Poi ci sono le domande esplicite che riguardano il tasso di fiducia dei cittadini nei confronti dei principali soggetti della scena pubblica. Non viene dato direttamente un giudizio, ma lo si fa intendere.

Vengono rilevati due dati rispetto a questo tasso di fiducia: uno relativo alla variazione tra il 2022 e l’anno precedente, l’altro riferito alla variazione tra il 2012 e il 2022. Ebbene, non manca qualche sorpresa. In particolare, per i dati sulla fiducia in partiti e istituzioni.

Cresce la fiducia per il Presidente della Repubblica, sia nel primo che nel secondo raffronto (facile aspettarselo visto il consenso che riscuote Sergio Mattarella ad ogni uscita). Ma cresce anche la fiducia verso istituzioni sempre apparentemente “sotto schiaffo”. Il Comune: solo +3% nella prima rilevazione, ma +10% nella seconda nel secondo). L’Unione Europea: +1% in entrambe. Cresce persino la fiducia nella Regione: ben +17% nel dato “storico”. Ma ecco una vera sorpresa: cresce persino la fiducia che riguarda il tanto vituperato Parlamento: +16% dal 2012 (seppure un tasso sempre bassissimo, il 23%, rispetto ai dati di altre istituzioni). E persino, udite udite, la fiducia nei partiti: una briciola, +1 per cento, nel dato ad un anno di distanza e ben +8% sul 2012 (dati sempre assai bassi – solo un complessivo 14 per cento, segno che i tanto decantati anni “ruggenti” forse sono proprio lontani, o andrebbero riletti bene).

Passiamo allo Stato. Rispetto all’anno scorso la fiducia decresce dell’1 per cento, ma dal 2012 è in risalita del 14%, ottenendo un alto gradimento per il 36 per cento del campione dei cittadini. Poco, per fare massa positiva, vero, ma continuerei a sottolineare il percorso, troppo trascurato da una “legenda” sempre incline al pessimismo. Un dato, inoltre, che fa il paio con il riscontro relativo al gradimento di alcuni importanti servizi: assistenza sanitaria pubblica, scuola pubblica, ferrovie, trasporti urbani, che per tanti cittadini danno volto alle istituzioni nella vita privata. Tutti in crescita rispetto agli inizi del decennio, ma in leggero calo per Assistenza e Scuola pubblica, rispetto al 2021. Qui pandemia e il relativo lockdown hanno lasciato il segno, è bene tenerne conto. Ma complessivamente ci si può chiedere: il settore pubblico, allora, può ancora ottenere consensi? Certo, va fatto funzionare bene….

Il cittadino non appare distratto

Altri campi di indagine, significativi per chi si occupa di società civile, sono quelli relativi al tema della partecipazione. Si era registrata una comprensibile contrazione dovuta alla paura del virus e ancor più al lockdown. Ora, però, riprende la voglia di esserci. Scrivono i curatori del Rapporto: «È vero che la partecipazione elettorale ha sofferto dell’astensione più alta della storia repubblicana, ma su altri fronti si osserva un certo dinamismo. Se si confronta il quadro di oggi con quello pre-pandemico, la distanza appare ancora importante, ma gli italiani stanno recuperando in termini partecipativi. Il volontariato è tra le attività più praticate (42%). Le tematiche ambientali, del territorio e della città hanno mobilitato un cittadino su tre (32%). Anche le azioni più esplicitamente politiche, come partecipare a manifestazioni di partito, proteste e flashmob, hanno coinvolto una componente non trascurabile di italiani (17%). Più dello scorso anno, ma un po’ meno del 2019». Ma allora: sullo stato della democrazia nel nostro Paese perché i giudizi sono sempre scettici e preoccupati? C’è una “narrazione” diffusa e assecondata che vuole lasciare in mano di alcuni (esperti? tecnici? facoltosi? potenti?) le leve del potere? Leggiamo ancora (da Democrazia e (tiepido) orgoglio nazionale di Fabio Bordignon e Alice Securo): «Nonostante tutto, la soddisfazione sul funzionamento della democrazia è cresciuta, negli ultimi anni. Per la prima volta diventa maggioranza (53%) la quota di intervistati che si esprime positivamente. (…) Analizzando i dati del rapporto, tuttavia, sembra mancare una definizione comune di cosa intendiamo, quando pensiamo alla democrazia. (…) È significativo notare come il favore per il governo tecnico cresca soprattutto fra gli under trenta. Sono gli stessi giovani a dichiararsi, in percentuale più ampia, a favore di un “leader forte”. (…) Si intiepidiscono, per contro, i sentimenti di orgoglio nazionale. Tanti gli intervistati che passano dal dirsi “molto” (44%) orgogliosi di essere italiani al più incerto “abbastanza” (39%). Il rapporto era di 65 a 29 all’ingresso nel nuovo millennio. Segno che, anche ai tempi della destra di governo, l’identità italiana non risulta ancora così solida (…) Su una cosa, però, le persone interpellate sembrano essere d’accordo: siamo un Paese dalla corruzione politica endemica, tenace. I cittadini che la percepiscono come più (o ugualmente) diffusa rispetto a Tangentopoli non sono mai scesi sotto l’80% in tutti gli anni di rilevazione»-

 Conclusioni

Abbiamo, infine, lasciato da parte il giudizio relativo alla fiducia “concessa” alla istituzione Chiesa. Già non era molto alta nell’anno di rilevazione 2012, (44% per cento), non alta almeno rispetto ad altre istituzioni, scuola, presidente, forze dell’ordine; sebbene più alta di stato, magistratura e sindacati), ma in ulteriore calo del 3 per cento nel 2022. Scandali? Controversie interne? Desacralizzazione degli eventi? O cos’altro? Ci si rifletta su nell’anno del Cammino sinodale.

Ma così come occorrerebbe riflettere con più attenzione anche riguardo alle istituzioni civili. Le modalità di discussione e dibattito andrebbero affrancate da quel giudizio “comodamente” negativista che impregna spesso i nostri pensieri sul comune sentire, e adeguatamente rinforzate da una visione più fiduciosa e possibilista (seppure non scevra dallo spirito critico). Di certo faticosa e responsabilizzante, ma proprio per questo, forse, corretta e foriera di speranze attive.

 

Vittorio Sammarco

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