Emergenza profughi: il gioco politico tra Italia ed Europa

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Il ministro degli Interni Alfano è andato a Bruxelles a picchiare i pugni sul tavolo: l’Italia non può essere lasciata sola a gestire l’emergenza profughi. L’operazione di salvataggio in mare denominata «Mare nostrum», avviata nell’ottobre 2013 dopo la tragedia di Lampedusa, è già costata al paese 10 milioni di euro al mese, si dice. La stampa di destra è da mesi all’attacco contro quella che definiscono una «follia». Proviamo però a riguardare le cose da un altro punto di vista.

L’emergenza immigrazione è tutto meno che un’emergenza. I flussi di persone dall’Africa, dal Medio Oriente, dall’Asia verso l’Europa sono presenti e stimabili da anni, e il nostro paese è da venticinque anni un paese di immigrazione, dopo aver mandato in giro figlie e figli per il mondo per più di un secolo. Già le annose discussioni sulla regolamentazione dell’immigrazione in cerca di lavoro sono state stucchevoli in questi anni. Ma c’è un aspetto più specifico. Recentemente, la questione sembra infatti aggravarsi e assumere un volto diverso, per il crollo sostanziale di molte strutture statuali nella delicatissima area del Mediterraneo e del Medio Oriente (Libia, Siria, Iraq), che ha fatto aumentare la quota di migranti in cerca non solo e non tanto di una vita migliore, ma di una protezione di fronte a persecuzioni personali o a rischi immediati per la vita. Sono i richiedenti asilo o protezione umanitaria. Non dimentichiamo che qui siamo su un terreno teoricamente meno controverso di quello della mera migrazione «economica»: la Costituzione italiana e tutto il diritto internazionale sono univoci nel sostenere che c’è un dovere degli Stati civili di proteggere chi è perseguitato o in concreto pericolo di vita. Quindi si può discutere di quanto sia compito europeo o italiano, ma non si può voltarsi dall’altra parte.

E’ chiaro che molti richiedenti asilo passano per l’Italia perché la via marittima – nonostante il costo di sfruttamento brutale dei trafficanti e nonostante il prezzo tragico di morti che essa chiede, ancora in questi giorni – resta la più semplice per molte di queste persone. Arrivare nell’area di Schengen con un visto regolare è infatti quasi impossibile per la maggioranza dei profughi. Quindi, che l’Italia sia in prima linea non è un’eccezione, ma un dato di fatto. Come ci sta l’Italia in questa difficile condizione? Può rivendicare qualcosa dall’Europa? Che l’Europa metta a disposizione dei mezzi per aiutare un paese in condizione di avamposto è più che giusto: il nuovo accordo su Frontex però ha suscitato legittime preoccupazioni, perché sembra escludere l’intervento nelle aree più calde delle acque internazionali.

Ma c’è un altro aspetto da considerare. A fronte delle proteste italiane per il costo delle operazioni di pattugliamento umanitario del Mediterraneo, gli altri paesi dell’Unione hanno buon gioco a rimproverare all’Italia comportamenti fuori dalle regole europee su altri due delicatissimi capitoli. Il primo è quello delle identificazioni: le regole europee consolidate con la convenzione di Dublino (approvata e più volte riformata, anche con l’assenso dei governi italiani di destra) prevedono che il paese dove il profugo sia identificato la prima volta debba farsi carico della sua protezione per un anno. Molti profughi però obiettivamente non vogliono stare in Italia. In molti casi ormai da noi non si fanno quindi nemmeno le identificazioni, lasciando passare direttamente le persone – soprattutto i siriani dall’ultima ondata – verso le destinazioni da loro cercate nel Nord Europa, che essi fanno comunque spesso fatica a raggiungere, con una pratica che gli altri paesi mal sopportano.

La seconda e ancor più grave questione è quella delle strutture di accoglienza: le promesse italiane di accogliere e ospitare una quota parte di richiedenti asilo sono fortemente limitate, in termini comparativi. In Italia i rifugiati sono circa 60.000, in Germania 600.000! L’anno scorso l’Italia ha accolto metà delle domande tedesche e meno di quelle svedesi. Da qualche anno a questa parte, la strumentazione italiana per affrontare il problema ha fatto indubbi passi avanti, recependo direttive europee, anche se manca ancora una regolamentazione legislativa organica. Si è costituito un sistema detto Sprar – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – che prevede una dotazione di strutture idonee per l’accoglienza temporanea e per aiutare l’inserimento sociale di coloro che fanno domanda di asilo: naturalmente esso è finanziato  in parte con soldi nazionali ma anche con fondi europei. Ebbene, il sistema è comunque drammaticamente sottodimensionato: nel 2014 i posti sono stati aumentati fino a 13.000, altri  posti sono stati attivati in fretta durante l’estate, ma sono molto al di sotto della quota che l’Europa chiede di realizzare, sulla base di una minima coscienza della situazione che si sta delineando. Se l’anno scorso ci sono state circa 27.000 domande di asilo e noi abbiamo meno posti per chi attende il vaglio della propria domanda, è chiaro che quando superiamo quel limite entriamo in emergenza. Ma non è frutto di imprevisto, bensì di scarsa programmazione. Quindi, come in altri casi, gridare contro l’Europa può essere scelta che ottiene consensi, ma prima di tutto il nostro paese dovrebbe mettere ordine in casa propria. Solo chi fa fino in fondo la propria parte è legittimato ad alzare la voce sui tavoli europei.

 

Guido Formigoni

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