Caso Cospito: è impossibile sperare nella vittoria della ragionevolezza?

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di Mario Chiavario

Ossia: che il detenuto, da una parte, non persista nel portare la protesta a limiti estremi; e, dall’altra, sperare che si possa andare avanti nel solco tracciato alla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti umani?

Con l’andar dei giorni l’attenzione per la vicenda che vede come protagonista Alfredo Cospito sembra essersi concentrata, di preferenza, su aspetti che, pur non irrilevanti, sono comunque particolari e in parte laterali rispetto al nodo centrale.

No, non possono essere accantonate come episodi di mero folklore le manifestazioni in più di una città macchiate anche da lugubri minacce, pur se non se ne dovrebbe trarre spunto per artificiosi allarmismi. Meno ancora è da trascurare l’oggettiva convergenza di interessi che per certi versi la vicenda lascia trasparire, tra due mondi che pur si direbbero incompatibili: quello di un’anarchia di per sé restia alla stessa idea di un’organizzazione e quello della delinquenza di tipo  mafioso, che in una ferrea e spietata organizzazione trova una delle sue forze più potenti. Certamente squallido, infine, lo spettacolo dell’uso, da parte di esponenti di vertice del maggior partito di governo, di documenti a dir poco “sensibili”, i cui contenuti erano stati ottenuti grazie a un accesso d’ufficio e di cui mai ci si dovrebbe avvalere per infangare, tantomeno nell’aula parlamentare, una forza politica avversaria, quali che siano le perplessità che certi suoi comportamenti possono suscitare. Ma il cuore del problema resta un altro e continua a esprimersi in un dilemma: revocare o no, a una persona che ha un nome e un  cognome, la quale sta facendo lo sciopero della fame da più di cento giorni, il regime detentivo speciale, di accentuato isolamento, cui da parecchi mesi è sottoposta? – quello che tutti chiamano “il 41 bis”, dall’etichetta dell’articolo della legge penitenziaria che lo prevede?

Ed è, quello, un nodo che sembra diventare sempre più stringente nel suo legarsi a un’angosciosa alternativa, che in entrambi i suoi corni dovrebbe ripugnare alla coscienza collettiva: o piegarsi a una richiesta che si presenta ormai quale pretesa di abolizione totale di uno strumento -il regime, appunto, del 41-bis- originariamente concepito e largamente rivelatosi utile quale strumento di lotta al crimine organizzato; o accettare che il rifiuto, da parte dello Stato, di confrontarsi con quella richiesta divenga contributo, di fatto  determinante, per una morte annunciata. E la stessa prospettiva di un’alimentazione forzata -nettamente respinta da Cospito anche per il caso di eventuale perdita della conoscenza- oltre a essere giuridicamente controversa, non può non porre gravi interrogativi di ordine etico; senza dire che offrirebbe una soluzione soltanto temporanea, così come, del resto, i pur opportuni trasferimenti del detenuto, già effettuati, in strutture sempre più adeguate dal punto di vista dell’assistenza sanitaria.

Di fronte a tutto ciò sembrano non esserci vie d’uscita rassicuranti, in un contesto politico-istituzionale che ai “no” perentori affianca grovigli di competenze e palleggiamenti di responsabilità. D’altro canto,  mettendo in evidenza una delle tante pesantezze strutturali del sistema giudiziario, rischia d’intervenire fuori tempo massimo, nonostante il susseguirsi di due anticipazioni di un’udienza, quella che potrebbe essere una parola chiarificatrice della Corte di cassazione sull’effettiva sottoponibilità giuridica del detenuto al regime speciale, contestata non soltanto dalle piazze anarchiche.

A questo punto, non resta forse che affidarsi al paolino “spes contra spem”, per trovare, nella forza di una speranza che può sovvertire anche le più scontate previsioni, una via d’uscita umana e dignitosa per tutti.

Certo, è difficile pensare che Cospito inverta da solo la rotta del progressivo irrigidimento della sua protesta, il quale l’ha portato ad atteggiamenti e a richieste sempre meno accettabili. E altrettanto difficile pensare che il potere istituzionale -soprattutto nel clima attuale, lontanissimo da un‘autentica coesione politica e sociale sull’essenziale- defletta da un “no” a qualsiasi apertura, per quanto, oggettivmente, non debba per forza equivalere a un cedimento.

Eppure, è proprio utopico sperare che almeno qualcuno tra coloro i quali, fin qui, hanno appoggiato le richieste di Cospito voglia e riesca con successo a dissuaderlo dal persistere nel portare la protesta spinta a limiti estremi? Ed è proprio irragionevole ingenuità sperare che una resipiscenza del genere possa essere aiutata dall’avvio, ai vertici dello Stato, di qualche passo per ricondurre il 41-bis alla funzione originaria? Insomma, per tornare a impiegarlo solo come strumento eccezionale e unicamente diretto  a recidere i legami di persone pericolose con i loro soldali esterni e interni al carcere, e non, come purtroppo è in parte diventato, “carcere duro” per esibire la “faccia feroce” dell’autorità in funzione di ulteriore punizione? Insomma, sperare che si possa andare avanti nel solco tracciato alla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti umani, mai pronunciatesi per l’abolizione della misura ma più volte espressesi perché, anche nei confronti di chi va pur, e senza dubbio, punito severamente per i suoi crimini, essa  fosse depurata dalle scorie di inciviltà e di disumanità depositatesi a causa di dettagli nella normativa che a vari livelli la regola e soprattutto, in certi casi, nella gestione concreta del suo vissuto.

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  1. Anche quella del carissimo amico mio e di Aldo,Mario Chiavario, ora prossimo alla quarta giovinezza, è “spes contra spem”, karisma di chi vive da cristiano, con moderazione, e da educatore… la vita professionale e politica. Una testimonianza…in una realtà del nostro tempo che incrocia l’intransigenza con l’estremismo; e così – inconsapevolmente – cancella fraternità e umanità dalla vita propria e della comunità di cui è parte, rendendo tutti più difficile, anche l’interpretazione del 41 bis a diverse violazioni della legge

    • Nel ringraziare Guido Bodrato per questa testimonianza di amicizia che d’altronde si unisce alle tante prove che continua a dare di alta e lucidissima interpretazione della politica, colgo l’occasione per sintetizzare ciò che i più recenti sviluppi del “Caso Cospito” mi sembrano sempre più prospettare. Dopo il rifiuto del Ministro (a dire il vero, argomentato in modo assai forzato) di revocare a questo detenuto il 41 bis, resta l’attesa, dell’ormai prossima pronuncia della Cassazione, in vista della quale lo stesso Cospito ha attenuato le modalità dello sciopero della fame e che, qualora riconoscesse l’inesistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nella specie, potrebbe togliere il motivo più immediato di preoccupazione. Resta però anche il dilemma di fondo, ove Cospito mantenga il proposito a suo tempo manifestato, di andare avanti con lo sciopero fino a che quel regime non sia abolito per tutti. A mio parere l’uscita, ad un tempo più credibile e più rispettosa di ogni valore umano e di ogni principio costituzionale, può essere ricercata se da parte di tutti coloro che, per la titolarità di poteri istituzionali o per l’influenza che possono esercitare sul protagonista principale di questa vicenda, possono contribuire a mettere fine, non unilateralmente, al macabro gioco che si regge, da un lato, sul pericolo sempre più concreto per la vita di una persona e dall’altra su quello del cedimento a un possibile avvio di sempre nuovi e più stringenti ricatti. Ribadisco, spes contra spem … ma perché non percorrere, da subito e senza esitazioni, la via che, a prescindere dall’esplodere di questo “caso” si sarebbe già da tempo dovuta intraprendere? Quella, cioè, di depurare il 41-bis da tutto ciò che ne ha fatto un inumano “carcere duro” per centinaia di detenuti, per restituirlo alla sua funzione originaria, di misura eccezionalissima di contrasto alle reti delinquenziali più pericolose. E chissà che di fronte a ciò anhe Cospito non colga che, se qualcosa si è spezzato nella rigidità di risposte istituzionali altrimenti fatte soltanto di “no”, tuttavia l’insistere nell’assolutezza delle sue richieste può farne sì un martire agli occhi di una cerchia piò o meno ampia di simpatizzanti, ma senza poter avere sbocco concreto in una risposta accondiscendente da uno Stato che pure dimostri di saper correggere i proprii errori e le colpe, anche gravi, delle sue stesse leggi.
      Mario Chiavario

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