Apriamo il cantiere dell’Unione europea ai cittadini e alla società civile

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Un mese fa, il 9 maggio, si è inaugurato il percorso della Conferenza sul futuro dell’Europa che impegnerà per due anni i governi, i parlamenti e le società civili dei paesi dell’Unione europea in una riflessione si spera schietta e partecipata su che cosa vogliamo che sia per il nostro futuro l’Unione a cui abbiamo dato vita settanta anni fa (vedi su c3dem del 9 maggio). Abbiamo chiesto a Pier Virgilio Dastoli, presidente della sezione italiana del Movimento europeo, di “aprire il cantiere” di questo percorso, di cui diamo qui il link a un dossier informativo predisposto dalla nostra Camera dei deputati e il link alla “piattaforma” digitale che raccoglie opinioni e proposte dal basso. (Nella foto:  E. Rossi,  A. Spinelli e L. Einaudi)

 

 

Trascorsi oltre tredici anni dalla firma del Trattato di Lisbona, il sistema europeo – messo alla prova da quattro crisi successive (quella finanziaria e poi economica e sociale, quella del terrorismo di ispirazione islamista, quella dei flussi migratori ed infine quella della pandemia) – deve essere sottoposto ad una profonda revisione per realizzare tre obiettivi principali:

  • Garantire l’autonomia strategica dell’Unione europea
  • Assicurare alle sue cittadine e ai suoi cittadini una prosperità condivisa
  • Completare il quadro istituzionale superando lo squilibrio fra la dimensione intergovernativa o confederale e la dimensione sopranazionale con il rafforzamento del suo carattere democratico e la sua efficacia.

In questo spirito e secondo questa logica, appare necessario aggiornare i seguenti aspetti dell’Unione europea così come furono definiti nel negoziato diplomatico che, abbandonando il metodo costituzionale concepito con la “dichiarazione di Laeken” (2001) e sintetizzato nel “progetto di Trattato che adotta una costituzione per l’Europa” (2004), portò al compromesso intergovernativo dei futuri trattati sull’Unione europea e sul suo funzionamento (“Trattato di Lisbona”, 2009):

  1. La ripartizione delle competenze fra il livello degli Stati (e dei poteri locali e regionali) e quello europeo insieme ad una revisione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità
  2. La coerenza fra le politiche comuni interne e le azioni esterne
  3. Il superamento della dicotomia fra la politica estera e di sicurezza comune (ivi compresa la dimensione della difesa) e l’azione esterna dell’Unione
  4. Il superamento della discrasia fra la politica economica e monetaria da una parte e la coesione sociale e territoriale dall’altra
  5. La capacità fiscale dell’Unione europea
  6. Le disposizioni relative ai principi democratici, la cittadinanza e il rispetto dello stato di diritto
  7. Le disposizioni relative alle istituzioni
  8. Le modalità dell’integrazione differenziata e i confini politici dell’Unione europea

Per ottenere un aggiornamento dell’Unione, la Conferenza sul futuro dell’Europa – che si è aperta il mese scorso – deve essere colta come un’occasione innovativa che superi la logica delle consultazioni dei cittadini europei così come sono state realizzate fino alla vigilia delle elezioni europee del 2019, costituendo uno spazio pubblico deliberativo in cui si confrontino la dimensione della democrazia partecipativa e quella rappresentativa, ispirandosi ad esperienze avvenute in Belgio, Francia, Irlanda e Islanda, per limitarsi all’Europa.

Dopo la fase deliberativa, nella Conferenza si dovranno aprire due momenti  successivi: 1) una fase di monitoraggio da parte della società civile organizzata, dei panel transnazionali e della piattaforma digitale del follow-up che sarà dato dalle istituzioni europee (Consiglio europeo,

Consiglio, Commissione ma anche BCE) alle deliberazioni della Conferenza (maggio-dicembre 2022); e 2) una fase costituente da parte del Parlamento europeo in collaborazione con i parlamenti nazionali (gennaio-dicembre 2023) per tradurre le deliberazioni della Conferenza e gli orientamenti delle istituzioni in un progetto di riforma del sistema europeo che costituisca il tema centrale dei programmi dei congressi dei partiti europei e della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo  che avverrà nel maggio 2024.

Nella storia dell’integrazione europea quasi tutti i processi che hanno fatto avanzare il progetto di una “unione sempre più stretta fra i popoli europei” – come fu scritto nel preambolo del Trattato istitutivo della Comunità economica europea del 1957 – sono stati realizzati senza un reale coinvolgimento di quegli stessi popoli europei che l’integrazione avrebbe dovuto unire in un sistema di originale cooperazione radicalmente diverso dal diritto internazionale.

Ci sono state tuttavia due rilevanti eccezioni che vale la pena di prendere in considerazione nelle modalità di coinvolgimento dei cittadini durante la Conferenza sul futuro dell’Europa:

  • il Congresso del Popolo Europeo (iniziativa degli anni 1958-62) che, tenuto conto dei pochi mezzi di mobilitazione dell’epoca di cui disponevano i federalisti, fu un grande successo di partecipazione
  • la Convenzione (un’assemblea di 62 membri) che scrisse la Carta dei diritti fondamentali (nota come “Carta di Nizza”, 2000) – nata da una suggestione dello European Forum of Civil Society – frutto di un’intensa collaborazione fra i membri della Convenzione (e in particolare il Presidium), da una parte, e le organizzazioni della società civile portatrici di interesse sui valori ed i diritti, dall’altra.

Appare chiaro che qualunque forma di consultazione dei cittadini che non contenga modalità di deliberazione collettiva e di scrittura di testi destinati a diventare vincolanti per le istituzioni e i popoli non rappresenta un esercizio di democrazia partecipativa.

In Europa questa modalità di deliberazione collettiva, ispirata alle Citizens’ Assemblies tenutesi nei Paesi Bassi tra il 2004 e il 2007 (e contemporaneamente in Canada), fu applicata inizialmente in Belgio nel Citizens’ Summit (o G1000) che si tenne l’11 novembre 2011 e poi dai Citizens’ panels nel novembre 2012, dopo una consultazione online dove vennero scelti come temi prioritari la sicurezza sociale, l’immigrazione e la redistribuzione della ricchezza.

Nel 2012 essa è stata applicata in Irlanda quando i due partiti della maggioranza di governo decisero di affidare la riforma di alcuni grandi temi costituzionali ad una Convention on the Constitution composta da 66 cittadini sorteggiati e 33 parlamentari, con la scelta innovativa di far sedere accanto, in uno stesso organo deliberativo, cittadini scelti da una società di sondaggi con campionamento casuale stratificato e politici scelti fra i parlamentari. Grazie al lavoro dalla Convention, il referendum del 22 maggio 2015 introdusse nella cattolica Irlanda i matrimoni egualitari con il consenso del 62% degli elettori.

In Islanda, infine, la deliberazione collettiva secondo il modello della democrazia partecipativa fu applicata fra il 2013 e il 2014 ma il testo scritto dai cittadini fu alla fine bocciato dal Parlamento.

Occorre tener conto di questi esempi nel processo che si sta aprendo con la Conferenza sul futuro dell’Europa ragionando su cosa dobbiamo imparare dai tentativi di scrivere una nuova costituzione in modo aperto e partecipato e traslando gli esempi belga, irlandese e irlandese nell’Unione europea.

Devono ancora essere verificate e tentate le condizioni per evitare di far fallire l’ennesimo esercizio di coinvolgimento delle cittadine e dei  cittadini europei, avendo come obiettivo ultimo e primario quello di creare le condizioni di quello che Juergen Habermas ha chiamato patriottismo costituzionale europeo, per stabilire un forte legame fra le cittadine e i cittadini europei e i valori di una costituzione pluralista e democratica e per formare una sfera pubblica come spazio per il dialogo e il dibattito pubblico fra i cittadini.

Ci sono tre elementi che dovrebbero essere presi in considerazione per creare le condizioni di una vera democrazia partecipativa:

  • Le istituzioni europee e nazionali insieme ai grandi quotidiani e ai media nazionali dovrebbero creare le condizioni per una politica di comunicazione e di informazione inclusiva e trasparente sulle modalità di partecipazione al dibattito, sui temi prioritari e sulle conseguenze delle scelte alternative fra un’unione più stretta o una diluizione del processo di integrazione europea.
  • Aprendo la piattaforma alle associazioni rappresentative e all’organizzazione della società civile si dovrebbero elaborare dei “Cahiers de doléances et propositions”, per mettere in luce le criticità del processo di integrazione europea, e dei “papers” simili ai Federalist Papers utilizzati per creare consenso intorno alla Costituzione americana, e ciò al fine di aprire la strada alla elaborazione di un progetto costituzionale europeo.
  • Si dovrebbe infine introdurre nel dialogo fra la società civile e le istituzioni la soluzione digitale della blockchain, uno strumento dell’intelligenza artificiale trasparente, neutrale, non-gerarchico, accessibile, non manipolabile e di alta sicurezza tecnologica, decentralizzato, immutabile e garantito dai rischi da attacchi nella prospettiva della cybersecurity.

Oltre alle questioni di metodo, deve essere approfondito il legame fra la democrazia partecipativa e le politiche europee: il bilancio e le finanze; la coesione economica, sociale e territoriale,; i diritti fondamentali; la responsabilità sociale e ambientale; il patto europeo sul clima e sulla resilienza; la governance dell’Unione economica e monetaria nel quadro degli obiettivi dello sviluppo sostenibile.

Si tratta di identificare i bisogni di una vera democrazia partecipativa (fiducia, trasparenza, efficacia, innovazione.) per ogni grande politica europea nel quadro delle attuali competenze dell’Unione europea e di quelle che dovrebbero esserle trasferite sulla base del dibattito sul futuro dell’Europa, gli strumenti giuridici e istituzionali (regolamenti e direttive) e le leve nell’era digitale a cominciare dalla blockchain.

 

Pier Virgilio Dastoli

(Presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo)

 

 

 

 

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