Ripensare il volontariato, per un grande sogno costituente

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di Francesco Marsico

Dall’ Intervento alla Giornata internazionale del Volontariato 2018, promossa da FIIIS, CSV.net, Caritas Italiana

La Riforma del Terzo Settore segna ormai uno spartiacque nel percorso evolutivo dei soggetti sociali del nostro paese, in particolare per il movimento del volontariato. Senza entrare nei contenuti della Riforma, questa riscrive in gran parte la cornice all’interno della quale si muoveranno i diversi attori sociali.

La Riforma recepisce la liquidità del volontariato, vale a dire la sua capacità di convivere dentro forme giuridiche diverse, con uno specifico che non è una caratteristica derivante dalle forme organizzative in cui si esprime, ma dimensione propria che rappresenta il suo modo di stare nel mondo.

Tutto ciò – insieme anche alle transizioni generazionali e sociali del movimento del volontariato – non può non interrogare, ovviamente senza nostalgie, desideri di primati o di differenza.

Le transizioni del volontariato in questi anni come quelle da luogo di appartenenza a spazio di esperienza, da forma associata a forme destrutturate, ci devono aiutare a cogliere questa evoluzione che chiede di reinterpretarlo dentro categorie e forme inedite.

Anche per questo va maneggiato con cura il termine purezza, perché purtroppo nella storia questa parola ha significato separatezza, giudizio e condanna, esclusione. Tolstoj diceva che “Separarsi per non sporcarsi è la peggiore sporcizia” e – più recentemente – una politologa statunitense Alexis Shotwel – in “Against purity” – ha riflettuto su questo tema affermando: “This book champions the usefulness of thinking about complicity and compromise as a starting point for action. Often there is an implicit or explicit idea that in order to live authentically or ethically we ought to avoid potentially reprehensible results in our actions. Since it is not possible to avoid complicity, we do better to start from an assumption that everyone is implicated in situations we (at least in some way) repudiate. We are compromised and we have made compromises, and this will continue to be the way we craft the worlds to come, whatever they might turn out to be. […]That world is partially shared, offers finite freedom, adequate abundance, modest meaning, and limited happiness. Partial, finite, adequate, modest, limited—and yet worth working on, with, and for.”  

Per poter lavorare su, con e per processi di cambiamento che rimettano al centro la persona e i valori costituenti nel nostro paese è necessario interrogarsi su come oggi il volontariato sia cambiato, quali ruoli ha effettivamente assunto, quale percezione suscita da parte dei suoi interlocutori. La logica deve essere quella del lievito, del sale, dell’essere a servizio della promozione di processi di cambiamento, senza la preoccupazione di rivendicare o occupare spazi.

Capire e ripensarsi

Infatti non si può fingere di descrivere in maniera unitaria un movimento dai profili più diversi, non si può ignorare il deterioramento delle matrici culturali del fenomeno che risalgono agli anni ’60 – ’70 del secolo scorso, non si possono traslare dogmaticamente i valori di quegli anni sul presente, senza confrontarsi con le trasformazioni profonde e ambivalenti che il nostro paese ha subito.

Se vogliamo ricostruire una visione di volontariato sufficientemente condivisa, dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che si è fortemente indebolita la koinè, il consenso valoriale condiviso, che era il patrimonio di questo movimento negli scorsi anni, in un tempo in cui anche il consenso valoriale condiviso sui valori costituenti non è maggioritario nelle forze politiche esistenti – la maggior parte nate dopo o, per certi versi, contro la Costituzione – e probabilmente nel paese.

Ovviamente non si tratta di abbandonare un patrimonio valoriale, certamente straordinario e fondativo per il nostro paese, ma di inverarlo nel nostro tempo, con realismo, concretezza e umiltà. Anzi si tratta di pensare il volontariato come vettore di una pedagogia civile che nei primi anni del secondo dopoguerra fu ambito di impegno dei soggetti politici e sindacali di quel tempo.

Tutti coloro che abbiano la volontà di esercitare una qualche rappresentanza di questo movimento, devono avere l’umiltà di sviluppare una azione che è contestualmente culturale e di advocacy.

Nella consapevolezza che il movimento del volontariato sorto nella stagione degli anni ’70 era anch’esso figlio di una crisi e di una transizione: quella delle forme partito e dei suoi riflessi anche sul mondo sindacale – avviato  verso un processo di autonomizzazione – che dava vita ad una forma di impegno sociale come quella volontaria che cercava di “essere nel mondo” in maniera immediata – vale a dire non più  mediata dalla politica e dalle sue promesse di cambiamento e di riforma  – accanto alle questioni ritenute, in quel tempo, più urgenti. Povertà, periferie, ambiente, il volontariato scelse di stare, ispirato ai valori costituenti, dentro ai processi e ai luoghi segnati da sofferenza e contraddizioni, rispetto ad una politica che rischiava di usare una retorica costituzionale via via sempre più lontana dalle condizioni concrete delle persone e delle comunità

In fondo è questa la vocazione unificante del volontariato: esserci, essere dentro le transizioni del proprio tempo, nello srotolarsi delle scene di questo mondo, nelle strade delle nostre città, nelle sue periferie e nei suoi angoli meno glamour, consapevole che “la vita delle persone non ai tempi della politica” (Salvatore Natoli, Cittadino Volontario) e che i valori costituenti devono tornare a essere per tutti, valori che orientano le politiche.

Un percorso di lavoro

A chi intendesse lavorare su, con, per il futuro del volontariato, si prospetta un percorso che non può prescindere almeno da:

– un confronto con i mondi della ricerca sociale per fare il punto rispetto ai processi di trasformazione il nostro paese ha affrontato e quali sono gli elementi che devono interrogare il mondo dell’agire solidale

– un dibattito leale con tutte le realtà che – seppure non di volontariato – interagiscono con il volontariato (Csv, cooperazione, associazionismo sociale, istituzioni locali, sindacato…), per capire – senza pregiudizi – gli sguardi diversi su questo fenomeno per costruire alleanze inedite o, almeno, spazi di interlocuzione permanenti

– una analisi dei mondi di volontariato pulviscolare territoriale, per comprendere esigenze di senso, formazione, rete

– una riflessione su come stare nei nuovi spazi della nuova comunicazione nella consapevolezza – valida per ogni soggetto sociale – che la storia che abbiamo alle spalle, non garantisce di per sé una presa sul futuro.

C’è bisogno, quindi, di un tempo di riflessione condiviso per ridefinire questa forma d’impegno civile e sociale libera, volontaria e gratuita che noi, oggi, qui chiamiamo volontariato.

C’è bisogno di un tempo di riflessione condiviso per ricostruire un’idea di volontariato come soggetto largo, dialogico, pedagogico adeguato a questo tempo, in grado di ripensare – accanto a tutti i soggetti che lo vogliono – un paese accogliente e solidale, a partire da un grande sogno: il sogno costituente.

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