Ragionando di economia e cittadinanza

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Ho partecipato giorni fa, a Camaldoli, al “Colloquio” del gruppo Oggi la Parola sul tema “Senza lavoro non c’è futuro”. Tema vicino a quello che la rete c3dem discuterà a Milano a fine novembre, imperniato sui rapporti tra Costituzione ed economia, sull’interrogativo se la Costituzione può essere di aiuto per affrontare la crisi. Crisi di cui, appunto, la forte disoccupazione è il sintomo e l’effetto più evidente e più pesante.

Protagonisti dell’incontro di Camaldoli sono stati Fabrizio Barca, economista, dirigente del ministero dello sviluppo economico, già ministro della coesione territoriale nel governo Monti, figlio di un dirigente del vecchio Pci e da sempre legato alla sinistra, e Roberto Mancini, filosofo, ordinario di teoretica all’Università di Macerata e di economia umana in Svizzera, autore di numerosi libri (in occasione delle elezioni europee, per le quali si è candidato nella Lista Tsipras, ha scritto di sè: “provengo dal mondo del volontariato sociale, non sono iscritto a nessun partito, svolgo la mia ricerca nell’ambito dell’individuazione delle condizioni di un’economia alternativa”). A interloquire con  i due c’erano lo storico dell’economia Gianni Toniolo e il formatore aziendale Giuseppe Avallone.

Più che riferire dell’incontro, mi chiedo, qui, che contributo ne sia venuto alla questione che c3dem si è proposta di affrontare con il suo convegno del 29 novembre. Nel testo di presentazione sul sito di c3dem si legge: “nella Costituzione c’è il nocciolo di un progetto politico vitale, che potrebbe reagire con grande efficacia di fronte all’attuale crisi dell’economia e della convivenza sociale”. E più avanti, nella forma di un interrogativo retorico, si sostiene che i princìpi della prima parte della Costituzione “costituiscono ancora un punto di riferimento solido, non perché delineino necessariamente specifiche politiche, ma perché impongono di orientare in qualche misura qualsiasi politica, e quindi tutte le scelte della collettività, in una direzione specifica”.

Dal confronto fra Barca e Mancini l’ipotesi di c3dem non sembrerebbe uscire del tutto confermata. A meno di mettere in campo molteplici mediazioni. Non solo non si è convenuto su “specifiche politiche”, ma neppure è emersa una concorde “direzione specifica” che orienti le scelte di fondo. Gli orientamenti sono apparsi divergenti. Mancini premeva per convincere i presenti che è il sistema che va cambiato, è la logica del mercato capitalista che non può essere accettata perché in essa il significato profondo, antropologico, del lavoro come relazione, corresponsabilità e  misura della dignità, viene negato. Barca, dal canto suo, non ha condiviso questo giudizio radicale. Non ha condiviso che si debba cercare di “inventare” una nuova società (“Abbiamo già dato”, ha detto). Non ha condiviso che si guardi al capitalismo vedendone la sola componente del mercato e non anche quella del controllo. Egli ritiene che non vi sia un solo capitalismo ma che vi siano tanti differenziati capitalismi, i quali sono soggetti a continue modificazioni, e nei quali ci sono spazi enormi di trasformazione. Ma è proprio questa “neutralità” del capitalismo che Mancini non condivide. Per lui il liberismo è nel dna del capitalismo (e la sinistra al governo in Italia – aggiunge – non fa che adattarsi alla sua logica). Per Barca, invece, il liberismo sta vincendo perché lo Stato e la società non hanno saputo frenarlo, non hanno regolato il mercato come avrebbero dovuto. Perché, dice, la socialdemocrazia ha fallito.

Se Mancini è sembrato avere chiaro in che direzione si debba andare, cioè lungo i percorsi che per un verso o per l’altro sperimentano modelli di “economia alternativa” (dall’economia del dono a quella gandhiana, dall’economia di comunità a quella della decrescita, dall’economia civile a quella del bene comune), per Barca, viceversa, la direzione di marcia è tutta da costruire. Non a caso, ha ricordato di una riunione, voluta di recente dal finanziere pentito George Soros a Cambridge, alla quale hanno partecipato 35 tra gli economisti critici più brillanti del pianeta ma nella quale sono state presentate opinioni e ricette diversissime tra loro.

Della Costituzione, nell’incontro di Camaldoli, si è parlato solo in un’occasione: quando Mancini ha citato l’art. 41, dove si dice che l’iniziativa privata è sì libera ma non può svolgersi in modo da recare danno alla dignità umana e che pertanto il Parlamento può legiferare per indirizzarla a fini sociali. Mancini ha detto che questo articolo va preso sul serio, usandolo per cambiare la logica del sistema dominante. Barca ha riconosciuto che, in tutto il tempo in cui è stato ministro nel governo Monti, solo una volta, solo in un provvedimento, si è fatto ricorso a quell’articolo. Da questo punto di vista è parso che Barca abbia scarsa fiducia non tanto nell’intervento dello Stato quanto nell’intervento di questo Stato. Tanto è vero che ha parlato di una sua “simpatia di pancia” nei riguardi di Renzi, dovuta alla determinazione del giovane leader a rottamare le diverse corporazioni che bloccano il Paese, dai sindacati ai partiti agli industriali ai banchieri, e soprattutto alla burocrazia ministeriale e delle regioni. E tanto è vero che, un po’ sorprendentemente, Barca ha finito per dire che vede un futuro promettente soprattutto nella cittadinanza attiva, cioè nella iniziativa dal basso, nella politica espressa dai tanti gruppi che si attivano, autonomamente, su interessi specifici.

Nelle pieghe del colloquio si è visto che, nonostante impostazioni piuttosto diverse, delle mediazioni sono possibili. Mancini, che rifiuta il riformismo ma anche la prospettiva rivoluzionaria, preferisce parlare di “trasformazione”. E al tema della trasformazione – che indica l’istanza del cambiamento, ma anche elementi di continuità e di gradualità – Barca è certo sensibile. Così come il tema dello “sperimentalismo democratico”, che Barca ha sollevato, osservando che le soluzioni ai problemi economici, del lavoro, della crescita vanno ricercate, discusse, sperimentate, con umiltà da parte di tutti e anche da parte dello Stato, mette in campo un approccio che si avvicina all’insistita ricerca di Mancini di valorizzare le esperienze di economia alternativa che qua e là si vanno tentando. Entrambi poi sono d’accordo che una democrazia che funzioni non possa esistere senza che vi siano dei partiti, partiti – dice Barca – non arroganti, aperti al dubbio, alla critica, al dialogo con le espressioni della cittadinanza attiva.

Se, dunque, in un primo approccio, la distanza emersa tra le posizioni politico-culturali di Barca e Mancini è sembrato escludere la possibilità di convergenza su alcuni orientamenti di fondo, ad una riflessione più attenta ci si accorge che c’è un terreno sul quale trovare assonanze. Quel terreno, a ben vedere, è quello dissodato e nutrito da alcuni grandi valori e principi iscritti nella carta costituzionale. Bisognerebbe guardare ad essa con maggiore umiltà, e con maggiore fiducia, accostandola nella sua lettera ma anche nel suo spirito e nel suo contesto (e dunque anche nei suoi limiti, nei suoi condizionamenti), con la consapevolezza che, se è vero che la società è certamente molto cambiata e pone sfide nuove, è però vero anche che in quel testo ci sono principi che rispondono a istanze profonde la cui consistenza è ben maggiore rispetto alle mutazioni pur rilevanti delle tecnologie e dei costumi, e alla cui formulazione si è giunti componendo con grande equilibrio gli elementi più qualificanti delle culture di cui tutti noi siamo figli.

 

Giampiero Forcesi

 

N.B. Qui si sono appena accennati i contenuti degli interventi al Colloquio di Camaldoli, tenutosi dal 31 ottobre al 2 novembre. In seguito verrà reso possibile ascoltare l’audio delle parti più salienti del Colloquio. Intanto si rinvia due recenti interventi, di Gianni Toniolo e di Roberto Mancini, apparsi su questo  sito. Di Mancini si segnala anche l’ultimo libro, “Trasformare l’economia. Fonti culturali, modelli alternativi, prospettive politiche”, edito da Franco Angeli. Di Fabrizio Barca si rinvia a “La traversata. Una nuova idea di partito e di governo”, edito da Feltrinelli l’anno scorso.

 

 

 

 

 

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