Melloni, Tocci, Ceccanti e Franceschini discutono del libro di Di Giovan Paolo su Dossetti

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Un dibattito non formale quello alla sala della stampa estera, a Roma, il 6 febbraio, per la presentazione del libro di Roberto Di Giovan Paolo, “Dossetti e il dovere della politica”, edito da Nutrimenti (sottotitolo: perché non possiamo non dirci dossessttiani). Utile, credo, un miniresoconto tratto da qualche appunto, anche se preso disordinatamente. Inizia Alberto Melloni. Dice che il libro di Di Giovan Paolo fa da introduzione a molti eventi. A questo proposito dà alcune informazioni su alcune iniziative per il centenario della nascita (13 febbraio): il 10 febbraio alle 23.00 su Rai Uno c’è uno speciale del Tg su Dossetti; il 14 febbraio sarà proiettato su Rai Storia un racconto autobiografico tratto da immagini e registrazioni inedite. Il 12 febbraio c’è un ricordo alla Camera dei deputati alla presenza del presidente della Repubblica; il 13 febbario c’è un convegno all’Accademia dei lincei: “Svolte epocali e speranze per il XXI secolo”. Comunque si possono vedere le molte iniziative sul sito www.fscire.it . Tra l’altro è appena arrivato in libreria un libro di Melloni, edito da Donzelli, “Dossetti, l’indicibile” (ma Melloni non ha detto nulla in proposito). Melloni, che è l’erede di Alberigo e dello stesso Dossetti, nella conduzione dell’Istituto di Scienze religiose di Bologna, a ricordato la risposta del padre quando Giuseppe Dossetti gli ha comunicato, nel giugno del 1952, la sua decisione di lasciare la politica e di impegnarsi nella chiesa: “Hai cercato di fare la rivoluzione nello Stato, non ci sei riuscito; ora la vuoi fare nella chiesa…”. Dossetti, dice Melloni, era colpito dalla debolezza della chiesa nell’accompagnare il cambio di civiltà in cui il mondo era coinvolto. Lo colpiva la mancanza di fede operante dei vescovi. Da De Gasperi lo dividevano molte cose; e una cosa che lo irritiva era una frase che De Gasperi usava di frequente, e cioè che la maggior parte dei problemi finiva poi per risolversi da sola… Anche la parola andreottiana per eccellenza, “concretezza”, lo irritava. Quando negli anni ’90 riapparce sulla scena politica era molto preoccupato di quel governo che aveva affidato il ministero delle riforme costituzionali al leghista Speroni… Ma lo preoccupava anche l’agnostcismo della chiesa. Sembra abbia detto una volta che di dossettiani non ce n’erano, lo era lui solo; in realtà affascinò molte persone, ma non ebbe emuli. Formò, certo, molta classe dirigente. Lasciò nostalgia in molti, e ossessione in molti altri.

Walter Tocci, deputato Pd, interviene per secondo. Dice che il libro gli ha chiarito tanti dubbi sulla vicenda storica di Dossetti, ma gli ha suscitato interrogativi sul piano profetico. Nota che l’assenza di Dossetti dalla politica è divenuta una presenza che ha agito molto a lungo in modo sotterraneo; e che quando Dossetti è tornato presente, negli anni ’90, con la sua presenza ha segnalato un’assenza dei valori… Percepisce Dossetti come uno che ha lasciato dei segni profetici, e si interroga su cosa ci dicono questi segni. Ricorda un pensiero di Dossetti, secondo cui il necessario salto storico non l’avrebbe fatto la sua generazione ma quella venuta “dopo di noi”; però Tocci si chiede se anche la generazione presente non sia ancora immatura… Tocci osserva che Dossetti cercò una riforma religiosa come solo modo per rendere possibile una vera riforma della politica; e il Concilio è stata quella riforma religiosa; ma poi è venuta a mancare quell’energia spirituale che c’era stata nel concilio; non c’è stata la renovatio ecclesiae, ma invece un progressivo inaridimento spirituale, sul quale poi si è fatto strada il berlusconismo. In effetti, dice Tocci, la coscienza religiosa agisce in politica se e quando essa è in rinnovamento, e non quando si sente sicura di sé, è appagata e richiusa su se stessa. Ha poi fatto una riflessione sulla concezione che Dossetti aveva dello Stato: Stato non solo come ordinamento giuridico né solo come luogo della politica, ma come coscienza interiore della società. Invece in Italia si è vissuto lo Stato come esteriorità. Tocci dice di sentirsi anche lui dossettiano. Anzi dice che oggi “nel Pd siamo tutti dossettiani”; però “lo siamo in modo un po’ esteriore…”. E lo ha colpito anche il modo con cui Dossetti pensa il partito. In un modo cioè molto profondo, più di quanto non abbia fatto il Pci che pure sul partito molto si è interrogato. A Tocci sembra che Dossetti, nell’affrontare la questione del partito, abbia avuto lo stesso approccio che aveva per lo Stato: lo vedeva cioè come uno strumento di interiorizzazione del corpo sociale, una intelaiatura interiore; mentre nel Pci il partito è stato considerato soprattutto come una questione riguardante il potere. Poi però da Dossetti è venuto Fanfani… Tocci immagina una sorta di dialettica hegeliana, ma a rovescio: Dossetti è la tesi, De Gasperi è la antitesi, Fanfani è la sintesi, cioè lo statalismo. Per Tocci oggi il problema è come costruire un’azione politica che sia capace di fare interiorizzazione nel corpo sociale, di dare anima a un’etica collettiva. E senza scoraggiarci, nello stile delle pagine finali della riflessione di Dossetti sulla sentinella nella notte (la commemorazione che Dossetti ha fatto di Lazzati nel 1994). Riflettere sulla sua opera può aiutare, ha concluso Tocci, nell’attesa di quel “dopo di noi” di cui Dossetti parlava ormai sessanta anni fa.

Stefano Ceccanti si è mosso in una direzione per alcuni versi opposta a quella di Tocci, rifiutando di vedere in Dossetti l’elemento profetico e centrando il suo intervento, viceversa, sulla inattualità di Dossetti. Per questo rimando al testo integrale del suo intervento, già inserito in questo portale. Ma, detto in sintesi, Ceccanti ha letto in Dossetti un liquidatore del liberalismo, mentre una certa cultura liberale oggi – per Ceccanti – va accolta dentro la sinistra (e dunque, con essa, una diversa idea di Stato), e poi lo ha letto come un sostenitore del partito come integratore sociale, tesi anch’essa oggi inattuale, Critiche da Ceccanti sono venute anche al Dossetti del ’94 perché ha negato l’esigenza di una riforma della Costituzione.

Poi è stata la volta di Dario Franceschini che si è detto particolarmente vicino al libro di Roberto Di Giovan Paolo, libro che, ha detto, è incentrato “più su quel che Dossetti ha rappresentato per la nostra generazione che non su Dossetti stesso”. Per lui Dossetti ha rappresentato il fascino della coerenza. Ha poi detto (con più ottimismo di Tocci, e in sintonia invece con Di Giovan Paolo) che, se il Pd vincerà le elezioni, allora forse il cattolicesimo democratico, che in tutta la sua storia è sempre dovuto essere in una posizione difensiva (per ragioni storiche), potrà forse svolgere fino in fondo la sua carica di innovazione sociale, ma non più in una forma identitaria, realizzando finalmente ciò che i padri del cattolicesimo democratico non sono mai riusciti a fare. Franceschini ha anche osservato che non era affatto scontato che oggi avrebbe potuto esserci in campo un cattolicesimo democratico vivo e visibile, come invece è.

L’autore ha preso la parola per ultimo. Ha parlato del suo libro come di un “manifesto” di carattere divulgativo e ha ricordato che quattro aspetti del Dossetti degli anni del suo impegno politico, dal ’45 al ’52, hanno segnato lui e la sua generazione (i “giovani della Dc”): l’antifascismo (che è qualcosa di valido sempre), la costituzione (il suo articolo 3 in particolare), l’idea di partito (che non serve solo a conquistare l’esecutivo, ma deve servire invece a cambiare la società, “altrimenti bastano i tecnici”, e deve non essere una setta ma aprirsi alla critica), e la dialettica presenza-assenza. Per Di Giovan Paolo oggi il Pd soffre di un certo rachitismo, e lui ha scritto il libro proprio per stimolare il Pd e per indicargli la strada da percorrere, se dovesse vincere. E come cattolico democratico vuole non sentirsi obbligato a dare risposte solo “da cattolico” e su temi prefissati; vuole che i cattolici democratici nel Pd incidano su tutti i temi, come in realtà faceva la sinistra Dc, che parlava senza timori con la chiesa, difendendo la scelta libera dei cattolici sulla base della loro coscienza.

Dalla sala qualcuno è intervenuto, e ci sono poi state brevi repliche. Da notare un paio di osservazioni di Tocci: la politica è anche profezia; il Pd è stato dossettiano nel senso che è stato in questi due decenni il partito del patriottismo costituzionale. Melloni ha osservato che Dossetti non ha respinto del tutto il liberalismo: la sua idea del fascismo era la stessa di Gobetti; Dossetti era contro quell liberalismo che era poco interventista, che pensava che il fascismo non sarebbe potuto tornare. Infine Melloni si è rallegrato che il segretario della Cei, mons. Crociata, proprio qualche giorno prima, avesse usato una tipica espressione dossettiana, parlando di “democrazia sostanziale”. Una cosa fino a ieri impensabile.

(Giampiero Forcesi)

 

 

 

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