«La pratica religiosa è radicata ma la fede deve rinnovarsi»

Sul Corriere della sera (www.corriere.it) del 18 gennaio, a firma di Massimo Tedeschi, è stata pubblicata questa bell’intervista al vescovo di Brescia mons. Luciano Monari. Ecco il testo dal titolo originale “Brescia: questo è il tempo della responsabilità”

 In tempi di penuria di guide, di maestri di vita, di autorità morali, in tanti — non solo cattolici — guardano a lui. All’inquilino del primo piano di piazzetta Vescovado. Al biblista di scuola martiniana giunto a Brescia il 14 ottobre del 2007 e impostosi per la cultura vasta, l’intelligenza acuta, la misura e la nettezza delle prese di posizione su temi spinosi. Monsignor Luciano Monari, che compirà 70 anni il prossimo 28 marzo, non si sottrae a questo ruolo. Senza protagonismo. Senza rinunciare a uno sguardo paterno ma critico sulla “sua” Chiesa. E sulla terra che l’ha adottato, e che lui ha adottato, da quasi cinque anni.

Sulla facciata della Loggia c’è il motto che celebra Brescia fedele alla fede e alla giustizia. Qual è lo stato di salute della fede a Brescia?

Nel Vangelo Gesù si chiede: «Il figlio dell’uomo, quando tornerà, troverà la fede?». La fede non si può mai dare per scontata. Mentre la dimensione culturale della fede può rimanere, non è detto che rimanga anche l’atteggiamento personale. Questo, o rimane sempre nuovo, o si perde.

Ma a Brescia prevale la fede come fatto culturale o la fede come fatto personale?

La gente bresciana in chiesa ci va, la frequenza ai sacramenti e in chiesa è buona. In questo risentiamo del vantaggio di una presenza numerosissima di catechisti, di animatori dell’oratorio, di coppie di sposi che incarnano una speranza grande.

Nel suo pensiero c’è un «ma». Quale?

E’ vero che la fede, nell’Occidente contemporaneo, non è tranquilla. Ratzinger, nell’«Introduzione al cristianesimo», paragona la fede a un naufrago aggrappato a un relitto in un oceano in tempesta. Non è una grande sicurezza, ma è l’unica che c’è. Insomma la fede non si può dare per scontata, il futuro richiede una creatività grande. Ora il più problematico per noi è il rapporto con le nuove generazioni, in particolare con le ragazze. In passato sono state una sicurezza nella pratica religiosa, oggi fanno più fatica degli altri.

E l’altra grande, storica fedeltà di Brescia — alla giustizia — regge ancora? O siamo in presenza di una società più ingiusta, con un divario crescente fra ricchi e poveri?

Un ordine di giustizia nella nostra società rimane. E’ vero però che negli ultimi anni il divario fra i primi stipendi e gli ultimi è cresciuto. Oggi fra il manager che gestisce Fiat e Crysler e l’ultimo manovale la distanza è enorme. Questo dipende anche dal fatto che le responsabilità del manager sono immense, ma è pur vero che il senso del benessere personale vale per tutti. Se la società non trova elementi equilibratori, se la legge del mercato non viene corretta, è un problema.

Restiamo in ambito economico: in tempi di sacrifici, molti chiedono alla Chiesa di sopportarne a sua volta. Lei cosa risponde?

Oggi un prete ha un compenso di 900 euro mensili. Un vescovo come me di 1.350 euro. In più, io ho una pensione Inps di 400 euro da quando ho compiuto 65 anni. Immaginare grandi sacrifici su stipendi come questi è difficile. Oppure si potrebbe rinunciare ad alcune cose che la Chiesa fa. Ma quali: i Grest? I restauri dei beni artistici?

Ma la Chiesa paga l’Ici sui suoi immobili?

Gli edifici ecclesiastici, a parte quelli per uso di culto e pastorale, l’Ici la pagano. Il Paolo VI la paga. Le esenzioni di cui gode la chiesa non sono diverse da quelle riconosciute a sindacati e attività sociali. Io sono d’accordo sul principio: se un edificio ecclesiastico viene usato per fare reddito, deve pagare l’Ici. Già oggi, comunque, il bilancio dell’ente diocesi è stretto, e un po’ in passivo.

Lei ha deciso di affidare tale amministrazione a un laico, Mauro Salvatore.

E’ un laico fidabile, che ha le competenze, ha amministrato la sede della Cattolica. Trovo giusto che le responsabilità amministrative le prendano i laici. E’ bene che i preti facciano il più possibile i preti. Ascoltando le persone, facendo la direzione spirituale. Se no dove troveremo nuovi sacerdoti?

Qualcosa preoccupa il vescovo di Brescia?

E’ lo sfilacciarsi del tessuto di solidarietà che pure a Brescia è ancora molto robusto. Se saremo tutti un po’ più poveri, come scriveva Berselli, c’è il rischio che questo comporti una guerra tra poveri, una chiusura, una minor disponibilità verso gli altri. Zoia, uno psicanalista, ha parlato della “Morte del prossimo”. Dagli anni ’60 s’è prodotta la tendenza ad assolutizzare il diritto del singolo. Questo si riflette oggi in una conflittualità diffusa, nella mancanza di educazione nelle cose più normali, senza un’attenzione al disagio che si procura agli altri. Magari non pagando le tasse. Per la Chiesa un peccato, anche se pochissimi lo confessano. E poi c’è l’altro motivo di preoccupazione: la denatalità, che non ha solo effetti sociali sulla sostenibilità del sistema pensionistico, ma rispecchia un atteggiamento poco fiducioso nei confronti della vita, del futuro.

E i motivi di speranza quali sono, invece?

C’è un’etica del lavoro molto robusta, ed è ciò di cui c’è più bisogno in tempi di crisi. C’è una grande capacità imprenditoriale, di creatività, di rischio. Infine c’è un grande senso di solidarietà che resiste: la dotazione di istituzioni, di fondazioni impiantate per rispondere ai bisogni delle persone è imponente. Brescia ha la capacità di camminare. Speriamo che la situazione generale lo consenta.

Un tempo i laici si battevano per la propria autonomia in politica, oggi invocano benedizioni dalle gerarchie ecclesiastiche. Lei come vede il rapporto Chiesa-politica?

Dalla Chiesa i laici possono avere una stima enorme per il lavoro che fanno a livello economico e politico. Circa posizioni ecclesiastiche in questo ambito, invece, io ci andrei piano. Oggi ci sono due poli: come vescovo non ho intenzione di scomunicare nessun cristiano, nè nell’uno nè nell’altro polo. Vorrei che i cristiani dei due poli non si sentissero estranei o non accolti dalla Chiesa. Al tempo stesso a ciascuno pongo domande. A chi è nel polo di sinistra chiedo se davvero è attento al bene personale e non piuttosto alle ideologie; a chi è nel polo di destra se davvero è aperto alla responsabilità sociale verso il prossimo. La comunità cristiana non deve sposare una posizione politica contro le altre. Apprezzo, invece, una comunione fra i politici cristiani, con opinioni politiche diverse, uniti però da cose più profonde e radicali. Si possono fare incontri non solo per pregare ma per condividere le proprie opinioni.

Nello spirito di Todi?

Sì, quello va bene.

Il governo-Monti in qualche modo ne è figlio. Come lo giudica?

Qualunque altro governo non avrebbe potuto fare cose diverse. L’importante è che stia in piedi. Lo dico da cittadino, non da vescovo.

Dal pulpito i preti ormai evitano temi «politici», che possano dividere i fedeli. E’ giusto?

Su alcuni temi, come l’immigrazione, parlare è doveroso. Lì sono in gioco atteggiamenti culturali di accoglienza, prospettive di fondo, di riconoscimento delle persone. Le difficoltà sorgono quando sono in gioco analisi economiche e sociali. Il Vangelo non parla delle liberalizzazioni, una valutazione su questi temi si può fare alla luce di una concezione sociale, economica. Ma su questi temi non è che abbondino le competenze, né mia né dei preti. Oggi non è più possibile adottare il metodo deduttivo: partire da un principio per ricavarne le conseguenze operative. Oggi bisogna partire dall’osservazione del reale per cogliere le possibilità di bene che la società mi offre.

C’è invece un’attenzione trasversale, diffusa anche nel clero di base, ai temi dell’ambiente, alle battaglie ambientali. C’è una svolta «verde» della Chiesa? E’ attesa anche una sua lettera pastorale in materia…

Ci sto ancora lavorando. Prima ne scriverò una ai sacerdoti. L’attenzione all’ambiente è una delle necessità contemporanee. La cura dell’ambiente è una forma di responsabilità verso le generazioni future, entra nei nostri doveri. Il senso comune è miope: vede l’interesse immediato ma fa fatica a capire cosa accadrà nel lungo periodo.

Il vescovo di Bergamo, il bresciano Francesco Beschi, ha firmato recentemente le due proposte di legge delle Acli sul diritto di cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia, e sul diritto di voto dopo 5 anni di permanenza in Italia. Lei come le giudica?

Bene. Soprattutto quella sul diritto di cittadinanza. Non avrei problemi a sostenerla.

E per il diritto di voto dopo 5 anni?

Sì nel caso del voto amministrativo.

Pensi a Brescia come un fedele che si confessa: qual è il comandamento più violato?

Vede, un mio vecchio professore in seminario indicava cinque precetti trascendentali: sii attento, sii intelligente, sii critico, sii responsabile e sii innamorato che in inglese è “be in love”. Credo che quello di cui abbiamo più bisogno sia l’essere responsabili. Tenere conto degli effetti che le nostre azioni hanno su tutti e sul bene degli altri: non essere individualisti, non essere narcisisti, camminare verso un rapporto di fraternità, costruire legami di fedeltà.

E la penitenza? Da un confessionale non si esce senza una penitenza…

Vedere quali conseguenze negative per gli altri ha avuto una nostra scelta e farcene carico, sperimentarle.

E’ come chiedere a un politico che ha autorizzato una discarica di andarci a vivere vicino…

E’ così. E’ fare l’esperienza delle conseguenze delle nostre scelte. E’ metterci al posto degli altri.

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