La Pasqua di don Luisito, scrittore e prete disarmato

di Angelo Bertani, in “Jesus” n. 2 del febbraio 2012

“Sfilacciature di fabbrica”, “Come un atomo sulla bilancia”, “Dialogo sulla gratuità”, “La Messa dell’uomo disarmato”, “Simon mago”, “C’era una volta la Pasqua al mio paese”, “Le quattro stagioni di un vecchio lunario”: a leggere i titoli dei suoi libri si resta sorpresi. Nulla di scontato, piuttosto un cenno paradossale, quasi una fantasia, una provocazione. Talvolta non si comprende bene neppure quale sarà il tema trattato nelle pagine interne. Ma leggendole – tutte bellissime sebbene non sempre facili – si resta incantati dalla forza e dalla verità che esprimono. Raccontano ed evocano, ma non forzano le conclusioni. Obbligano piuttosto a chiedersi: «Che cosa significano queste cose per me, oggi?». Si intuisce soprattutto una grande creatività, una ricerca di novità, un invito a capire di più, andare nel profondo. Una capacità di comunicare sentimenti e speranza anche al di là delle parole. Esoprattutto invitano a cercare un filo rosso, davvero evangelico.

Così è stata la vita di don Luisito Bianchi. Nato a Vescovato, in provincia di Cremona, aveva incontrato la Resistenza nel 1943, a 16 anni. Lì aveva conosciuto gli ideali. Ricordava: «I partigiani avevano un sogno: quello di un mondo senza violenza e senza ingiustizia. La democrazia italiana nasce da questi ideali». E aggiungeva con sdegno: «Poi si è affermato lo slogan “meno Stato e più mercato”. E anche tanti cattolici hanno applaudito…».

Così Luisito aveva scoperto la gratuità e la profonda radice religiosa. «Avevo davanti a me un’idea: che un mondo nuovo è possibile se nasce dal sacrificio degli uomini, dal loro sangue sparso per dono, per amore non per odio, sangue che si unisce a quello del Signore»: così mi diceva per un’intervista a “Jesus” nel 2005; e ricordavamo Teresio Olivelli che, nella “Preghiera del Ribelle”, invoca: «Se cadremo, fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri morti a crescere al mondo giustizia e carità».

Questa esperienza giovanile di Resistenza cristiana farà da sfondo al bellissimo romanzo “La Messa dell’uomo disarmato”, ma soprattutto orienterà tutta la vita di Luisito, che diventa sacerdote, insegnante, intellettuale, prete operaio, inserviente di ospedale e infine cappellano presso il monastero femminile benedettino di Viboldone, dove ha potuto continuare il suo ministero e la testimonianza anche attraverso i libri.

Proprio attraverso i libri l’avevo conosciuto fin dal 1972, quand’era apparso “Come un atomo sulla bilancia” presso la Morcelliana. Di Luisito Bianchi allora avevo solo sentito parlare un poco perché era stato anche viceassistente nazionale delle Acli. Mi aveva incuriosito il titolo (a chi viene in mente di pesare gli atomi sulla bilancia? Certo nascondeva un paradosso) e poi mi appassionavano le esperienze dei preti operai, allora numerose e discusse. Il libro, che è un “diario” della sua vita quotidiana come prete che vive e lavora in fabbrica, fu una rivelazione per la forma letteraria, la sincerità e l’equilibrio che manifestava, la libertà di spirito e l’amore alla Chiesa e ai fratelli, vicini e lontani. Recentemente aveva pubblicato anche la storia straordinaria di quella stagione (“I miei amici, Diari 1968/70″, edito da Sironi nel 2008). Mille pagine, certo. Ma così piene di intelligenza e di cuore, così capaci di “convertire” chiunque le legga, che vorrei consigliarle a ogni cristiano un po’ stanco, confuso, scoraggiato. Un libro che vale un Nobel; e che converte il cuore al vero amore gratuito verso Dio e i fratelli più di qualsiasi documento e omelia.

A chi lo ha conosciuto e gli ha voluto bene, a chi ha letto e compreso i suoi libri e a tutti quanti sono stati raggiunti dal suo messaggio e toccati dalla sua testimonianza, Luisito Bianchi – che è entrato nel Regno della perfetta gratuità il 5 gennaio scorso – lascia una certezza, una speranza e un impegno.

La certezza è che il Signore parla e opera sempre nel cuore degli uomini e fa nascere, in ogni momento e in ogni luogo, degli uomini e delle energie che possono essere riferimenti e guide per il cammino della Chiesa e di tutta l’umanità.

La speranza è che tutti, credenti e persone di buona volontà, siamo capaci di ascoltare: facendo silenzio dentro di noi, facendo tacere tanto inutile chiasso. Lo aveva spiegato nel 2007 in un dialogo con Annachiara Valle (“Jesus”, aprile 2007): «Certo si può pensare che qui nel silenzio sia più facile poter pregare e ascoltare, ma il silenzio non è un fatto esteriore… La mia esperienza mi dice che il silenzio non è un luogo, ma è l’incontro con Cristo. Ascoltare le sue parole, non le nostre. La nostra ricerca di identità, il nostro chiacchiericcio finisce per mettere a tacere il Vangelo. Il monastero di Viboldone è come una luce, ma il mio ascolto è stato preparato durante gli anni di fabbrica, con il vociferare dei motori. È in mezzo al rumore che ho ricevuto il dono del silenzio».

L’impegno è a far crescere la coscienza che la Chiesa è fondata non sul ragionare degli uomini ma sulla gratuità della Rivelazione. Solo la gratuità consente di sperare e agire anche contro l’evidenza, la convenienza, le tentazioni del danaro e del potere. Solo la gratuità è generosa e capace di sognare e di costruire una realtà nuova, nella Chiesa e nella società, contro ogni timore e pigrizia, in spe contra spem. Solo nella gratuità infatti si può amare davvero, ogni giorno, i fratelli e la Chiesa.

Grazie, don Luisito!

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