di Sandro Antoniazzi
E’ un’esperienza comune, vivendo in una società secolarizzata, partecipare a organizzazioni diverse (lavoro, sindacati partiti, cooperative, ecc.) dal carattere del tutto laico.
In questi ambienti la visione, e naturalmente spesso il comportamento, si presenta drammaticamente lontana dal pensiero etico della chiesa, ribadito con fermezza dal recente documento della Congregazione della Fede, “Dignitas infinita”.
Le posizioni della Chiesa in materia hanno il grande merito di affermare dei principi che la società di oggi rigetta e prima ancora tende a ignorare, escludere.
Così sul piano civile hanno almeno una conseguenza positiva: mettono un freno alla frenesia di alcuni di affermare sempre nuovi “diritti” in un campo dove sarebbe bene muoversi con sapienza e delicatezza.
Il fedele cristiano si pone però delle domande: questo divario smisurato esistente tra le posizioni della Chiesa e quelle diffuse nella società è assolutamente incolmabile? Non si possono trovare delle posizioni che avvicinino almeno parzialmente le due posizioni.
In questa prospettiva vorrei porre alcune domande ai teologi morali e alla Chiesa.
Non possedendo competenze specifiche – essendo un normale laico di cultura media – le mie non sono certo affermazioni, proposte, orientamenti.
Sono semplici interrogativi su problemi di cui si parla a volta tra amici cristiani e anche laici desiderosi solo del bene comune.
Le mie domande riguardano temi comuni, vissuti da molte persone, mentre per i tempi più complessi (es. eutanasia utero in affitto, bioetica) mi affido alla dottrina.
Un primo problema riguarda l’uso dei preservativi; la Chiesa, seguendo le indicazioni della Humanae vitae (1968) non ha finora riconosciuto la possibilità dell’uso dei contraccettivi.
Questo orientamento deriva dall’ affermazione che non si possono separare i due momenti dell’unione coniugale, il momento procreativo e il momento unitivo (cioè, il rapporto di affetto tra i coniugi, comprensivo del rapporto sessuale).
Il riconoscimento che non esiste solo lo scopo procreativo, ma che anche il fine relazionale non sia meno importante, è stata una lenta acquisizione, che ha richiesto secoli di discussioni ed elaborazioni.
Mi chiedo se, considerando la realtà concreta attuale (quanti si uniscono sempre per mettere al mondo dei figli e quanti per la loro normale relazione coniugale?) non sia possibile pensare a una determinata separazione dei due momenti.
Del resto, già ora esistono rapporti leciti che non rivestono un fine procreativo: ad esempio i rapporti di donne in menopausa e di donne incinte, i rapporti nei periodi non fertili (che sono addirittura raccomandati). E’ vero che in questi casi i procedimenti sono naturali, ma innanzitutto non hanno comunque scopi procreativi e in secondo luogo allora la difficoltà sta nell’uso di strumenti artificiali?
Quello del riconoscimento dei preservativi costituirebbe un indubbio passo in avanti importante.
Poiché si tratta di una pratica ormai molto diffusa anche tra i cattolici, servirebbe, diciamo, a tranquillizzare le coscienze o, meglio, a diminuire decisamente il tasso di ipocrisia presente (i cattolici usano i preservativi non pensando di fare una cosa sbagliata, la usano come un fatto normale).
Un secondo problema riguarda i matrimoni civili che ora sono diventati di più di quelli religiosi e che sono considerati un male.
Ma la dottrina cattolica non sostiene che il matrimonio è una realtà di diritto naturale? Ciò significa che ha un certo valore in sé stesso.
Ecco la mia domanda: perché non riconoscere un certo valore (limitato, parziale, incompleto) al matrimonio civile?
Il matrimonio cristiano, sacramento indissolubile, è una scelta che dovrebbe essere fatta consapevolmente dati gli impegni che si assumono.
Nel matrimonio concordatario, che ha altre prerogative, questa coscienza spesso passa in secondo piano, anche se è vero che i matrimoni religiosi, diminuendo di numero, acquistano probabilmente maggiore coscienza.
Il matrimonio religioso è paragonabile al sacramento dell’ordine: è un impegno duraturo, per tutta la vita.
Non si può sciogliere; anche le sentenze della Sacra Rota non annullano un matrimonio regolare; annullano un matrimonio per vizi formali o sostanziali; dunque, perché il matrimonio non era valido, vero, non esisteva.
Ciò consentirebbe un’apertura verso tante copie civili e conviventi che vivono la loro unione come un matrimonio reale (per affetto tra gli sposi e nei confronti dei figli e per la fedeltà) lasciando aperta la possibilità del matrimonio cristiano.
Quando ero consigliere comunale mi è capitato più volte di sposare delle persone che avevano convissuto per tanti anni e che ormai anziani coronavano la loro unione col matrimonio civile.
Sono cosciente che sono presenti anche motivi materiali (la pensione e la casa), però li vedevo felici di questo momento riassuntivo di una vita; sono preziose espressioni di umanità che dovremmo sapere valorizzare.
E poi ci sono i rapporti prematrimoniali dei giovani che, nel quadro richiamato, potrebbero almeno in parte essere riconsiderati.
Qualche tempo fa ho incontrato un amico prete che a proposito di un corso di fidanzati da lui diretto mi diceva che praticamente tutti avevano già rapporti sessuali.
E’ evidente la difficoltà in cui si trovava: se diceva che non era lecito si svuotava il corso, ma non poteva neppure dire il contrario, perché sarebbe andato contro il pensiero della chiesa.
Così, nel dubbio, taceva (si può dire che è la scelta del male minore); ma è evidente che in questo modo di procedere si educa nell’ipocrisia, non nella verità.
Jacques Maritain spiegava a Paolo VI, suo amico, che la sessualità si manifesta verso i 14/15 anni mentre i giovani oggi si sposano dopo i 30.
In questo lasso di tempo di 15 anni cosa fanno i giovani? Si dedicano alla castità totale oppure hanno dei rapporti affettivi che spesso diventano anche sessuali?
Ho esposto dei problemi comuni, che tutti incontriamo e conosciamo, e degli interrogativi a riguardo.
Esistono naturalmente altri problemi molto più complessi che meritano ben altro approfondimento; alcuni sono inderogabili e mi attengo all’insegnamento cattolico, altri (es. omosessualità) richiedono di individuare sul piano civile degli accordi tra laici e cattolici, con molta prudenza. Ma questo è un altro discorso.