Dobbiamo riprendere a parlare di capitalismo.

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di Sandro Antoniazzzi

Recentemente Luigino Bruni, commemorando don Milani a Barbiana, ha tenuto un discorso su “La critica del capitalismo sognando una chiesa diversa”.

 

Distretto industriale famoso quello di Prato, osannato per il suo successo e spesso portato ad esempio per questo, senza troppo guardare alla realtà concreta di quelle fabbriche e delle condizioni di lavoro, dove si pensava solo al guadagno e non alle persone.

Luigino Bruni afferma che don Milani è stato un critico del capitalismo a partire dal basso, dall’esperienza di lavoro dei suoi ragazzi nelle fabbriche di Prato.

Don Milani avverte la contraddizione di rappresentare la chiesa che viene considerata solidale del sistema, di quei padroni che trattano in modo così disumano i suoi ragazzi.

E pensa che si combatte il comunismo per la sua ideologia, senza comprendere che un’altra ideologia, ben più potente, si sta affermando, devastando il cristianesimo.

Bruni dice che “il cuculo entrato nel nido della cristianità non era il comunismo, ma il capitalismo”.

Dobbiamo affrontare i problemi dell’economia, del salario, del lavoro, perché di questo vivono i poveri; di questo parlavano i profeti perché avevano a cuore la condizione del popolo.

E se il capitalismo è un problema (di giustizia) sul piano economico, non lo è di meno su quello ideologico; si propone, come diceva Benjamin, come una religione sostitutiva di quella vera.

Fin qui il discorso di Luigino Bruni, che meriterebbe di essere continuato e sviluppato.

La condizione in cui si trovano le nostre società è di grande disagio, che non riguarda solo gli aspetti materiali, pur rilevanti, ma non di meno le prospettive, i legami sociali, la fiducia, la mancanza di valori comuni.

L’economia capitalista – oggi rafforzata a dismisura dai mass media, dalle tecnologie e dalla finanza – ha determinato il dominio dell’economia e condiziona direttamente o indirettamente la vita di tutti noi.

Si presenta con un’immagine di assoluta neutralità – ogni individuo è libero di scegliere i consumi, i divertimenti, i programmi, il modo di vita che preferisce – ma di fatto i consumi sono predisposti, i divertimenti sono organizzati e orientati, le scelte sono in ambiti e condizioni definiti.

Soprattutto questa “neutralità” significa avalutatività, astensione di ogni valutazione relativa agli avvenimenti, alle esperienze, ai problemi.

E’ sintomatico a riguardo cosa sta avvenendo nei confronti della religione: un numero sempre maggiore di persone non manifestano a riguardo una posizione di rifiuto, ma di assoluta indifferenza. Parlare loro di religione è come parlare una lingua straniera, un linguaggio che non capiscono, qualcosa di estraneo e di incomprensibile.

Ho letto un po’ di documenti sinodali, tutti belli e scritti bene; è ammirevole lo sforzo di ricercare un cristianesimo più autentico, più vivo.

Ma come proporre il cristianesimo a un mondo che non ne sente l’esigenza? Ci si preoccupa dell’offerta, ma ciò che manca, il vero problema, è la domanda.

Fanfani nel suo libro storico “Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo” (1944) scriveva “Trovare una ragione di critica di un sistema come il capitalistico nell’interno del sistema è impossibile. Una critica di esso non può trovarsi che in un altro ordine di idee, in un sistema che verso fini a-capitalistici faccia convergere l’attività sociale. Ciò fa il cattolicesimo allorché nella sua etica sociale comanda una convergenza di fini nettamente a-capitalistici”.

In sostanza Fanfani sosteneva che cristianesimo e capitalismo si basano su due principi diversi e contrapposti nella vita sociale.

Forse se si intende veramente affrontare i problemi della società e della chiesa di oggi, sarebbe bene ripartire dalle radici, da una riflessione su che cosa significhi la vita umana e cristiana in una società capitalistica.

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