Dialogo interreligioso. I passi avanti in Kazakhstan

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Sul recente incontro in Kazakhstan dei capi religiosi delle religioni mondiali e di quelle tradizionali, con piacere pubblichiamo l’editoriale comparso sul numero di dicembre di “Magis”, rivista del Gesuiti missionari italiani. Ci si è interrogati con franchezza su come fare del dialogo interreligioso un cammino davvero efficace di cooperazione e di pace tra i popoli

 

 

 

Il recente VII Congresso Internazionale dei capi religiosi delle religioni mondiali e tradizionali svoltosi a settembre a Nur-Sultan in Kazakhstan e promossa dal governo kazako, cui ha anche partecipato Papa Francesco, ha avuto come uno dei temi centrali il ruolo delle religioni nel rafforzare i valori spirituali e morali nel mondo moderno e soprattutto la promozione della pace attraverso il dialogo, “in un periodo tanto difficile, su cui grava, oltre alla pandemia, l’insensata follia della guerra”. L’evento si è svolto in un luogo che ama figurarsi come ponte tra Oriente ed Occidente e che in questo momento storico, per gli eventi che affliggono l’area, ha avuto un significato ancora più importante.

Dialogo, incontro, trascendenza, fratellanza: quattro parole chiave ricorrenti. Sono dimensioni della pace molto importanti ed intimamente connesse, rappresentano l’anima dell’umanità. Esse però spesso vengono sottovalutate nel loro pregnante significato e poco considerate nella loro interrelazione, se non addirittura strumentalizzate. Già Paolo VI parlava di dimensione trascendente del dialogo. Ogni dialogo umano dovrebbe essere avviato ad immagine del dialogo di amore di Dio con l’umanità. E dunque il dialogo interreligioso, svincolato dalla dimensione trascendente, è vuoto e si presta a facili semplificazioni e strumentalizzazioni da parte della politica per ragioni di opportunità o di facciata, o addirittura per ‘addomesticare’ la stessa dimensione religiosa. Non dobbiamo permettere che il dialogo finisca in questa trappola che gli farebbe perdere la libertà e la ricerca della verità.

I valori religiosi e spirituali, e dunque il tema della trascendenza, andrebbero riconsiderati come essenziali per il futuro delle società moderne. Il congresso avvenuto in Kazakhstan è significativo nella misura in cui i rappresentanti dei governi e del mondo civile comprendano veramente che il rapporto con la trascendenza sia importante e si rendano consapevoli che il rapporto con essa nelle varie comunità di fede implica scelte etiche nelle vita sociale ed il rispetto delle sensibilità religiose, al di là della contrapposizione maggioranza/minoranza e ovviamente nell’osservanza da parte di tutti, religiosi e non, dei diritti fondamentali. La sfida che ci si presenta, è che alcune scelte etiche non sempre coincidono con le scelte dei governi, soprattutto delle società più secolarizzate e consumistiche che assolutizzano forme di laicismo. Quindi bisogna vedere come i governi e il mondo politico e quello della finanza, riproporranno sistemi di convivenza in cui considerare e seguire i valori di trascendenza che emergono dall’incontro con le religioni.

Anche i leader religiosi devono giocare la loro parte perché il sacro non può e non deve essere ridotto a puntello del potere. Questo è un principio fondamentale. Ed è qui che si fa determinante il ruolo di tutta la leadership religiosa. Inoltre non è sufficiente solo un dialogo istituzionale: il dialogo è fondamentalmente un dialogo tra persone e dunque bisogna calare verso il basso questa dimensione del dialogo, ovvero incoraggiarla concretamente a vivere in ogni ambito della società e delle comunità di fede. I leader religiosi hanno il dovere di ascoltare tutte le istanze che vengono dal basso, dalle comunità di fede che spesso sono in contatto l’una con l’altra e che portano e sperimentano la concretezza della vita nella quotidianità. In questo senso, la leadership deve essere coraggiosa e profetica. Deve saper andare oltre la conservazione del proprio status, evidenziando la via del bene e denunciando il male e tutto ciò che allontana dalla trascendenza.

Non basta infatti solo affermare la necessità del dialogo o della pace. Non ci si può fermare alla retorica di certe espressioni anche religiose e di momenti e incontri istituzionali, ma bisogna saper tradurre nella prassi storica le espressioni pronunciate con gesti concreti e attivare processi di cambiamento.

Una spinta verso la pace, lo sviluppo e la giustizia sociale a livello internazionale può venire dai leaders religiosi nella misura in cui essi si facciano ‘profeti’ di pace, cioè capaci di attivare concreti processi di pace superando la tentazione della volontà di potenza che è ciò che alla fine divide. Il tema della pace è una conseguenza di un dialogo vero e profondo, che aspira al bene dell’altro, e vede nell’altro un alleato per il bene comune, “più che agli obiettivi strategici ed economici, agli interessi nazionali, energetici e militari”.

La dichiarazione finale del Congresso dei capi religiosi riuniti a Nur-Sultan, dichiarando l’intento “di mettere in atto sforzi congiunti per rafforzare il dialogo nel nome della pace e della cooperazione, nonché nella promozione di valori spirituali e morali” (cf. n.2), esprime la convinzione “che lo scatenarsi di qualsiasi conflitto militare, focolaio di tensione e scontro generi una reazione a catena che ostacolano le relazioni internazionali” (cf. n.4) e afferma che “l’estremismo, il radicalismo, il terrorismo e ogni altra forma di violenza e guerra, quale che sia il loro fine, non hanno nulla a che vedere con la vera religione e devono essere respinti nei termini più forti possibili” (cf. n. 5).

In questa fase storica occorre che le comunità religiose rilancino il tema del disarmo e della non-violenza, denunciando il crescente aumento delle spese militari a livello globale e promuovendo azioni verso i propri governi ed istituzioni internazionali per investimenti più consistenti nello sviluppo, nella salvaguardia del pianeta e alla lotta alle ingiustizie e alle forme di discriminazione.

Ma il dialogo non è qualcosa da inventare! È già attivo da tempo in tanti ambiti, anche in zone di conflitto, pur nel silenzio mediatico, in tutti i piccoli processi di pace, di cooperazione, nelle azioni di servizio agli ultimi che lentamente si costruiscono e vivono nel mondo, incontrando l’Altro nell’altro. È la trama invisibile e silenziosa del bene, è la presenza della trascendenza nella storia dell’umanità, l’azione dello Spirito di Dio che ci sostiene e muove tutti coloro che sperano in Lui verso il Suo Regno.

Ambrogio Bongiovanni,
presidente Fondazione MAGIS

 

 

 

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