UNA DEMOCRAZIA SENZA PARTITI?

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di Fausto Delpero

La crisi della democrazia passa anche attraverso la crisi dei partiti. In Italia benché il tramonto dei partiti di massa con milioni di iscritti faccia erroneamente pensare alla fine dei partiti come strumenti di selezione della classe dirigente, di organizzazione della partecipazione e di acquisizione del consenso, sembrerebbe sia solo declinato un modello di partito.

I partiti secondo diversi studiosi Pasquino, Massari, Bryce, solo per elencarne alcuni, sono “inevitabili” in una democrazia, ma nell’esperienza comune si constata che a fianco alla loro essenzialità essi vivono allo stesso tempo una enorme fragilità.

Al punto che molti si chiedono se di fronte alle ricorrenti degenerazioni dei partiti questi abbiano ancora una funzione nella moderna società.

In questa crisi sono evidenti le derive populiste via via emerse tra ruolo dei mezzi di informazione di massa e ondate di mobilità di voto che si riversano su leaders politici anche diversi fra loro in una sorta di occasionali plebisciti.

Altri analisti vedono l’esautoramento del ruolo dei partiti a tutto vantaggio di élite politiche fortemente legate ad interessi economici e legittimate dalle tornate elettorali, ma che non rispondono ai loro elettori, ripiegati su una individualistica libertà giocata nel proprio limitato orizzonte di interesse.

Uno patto di scambio tra piccole libertà per gli elettori e libertà di tutelare grandi interessi da parte delle élite.

I partiti come “partnership di professionisti più che associazioni di e per cittadini” (Katz e Mair).

L’autoreferenzialità che ne discende e la penetrazione delle istituzioni fino a farne proprietà privata, impenetrabile ed esclusiva evidenziano la degenerazione che delegittima i partiti facendoli percepire come inutili. La perdita di contatto con la società rapidamente amplifica i sentimenti di antipolitica.

In questo scenario la disaffezione alla politica è diventato un dato in crescita permanente. Crisi di fiducia generata dall’insoddisfazione e scontento degli elettorati nei confronti delle rispettive classi dirigenti. La reazione è nota: abbandono della militanza nei partiti, astensionismo e populismo. “C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino, e consiste nel togliergli la voglia di votare.” (Robert Sabatier)

Infine il processo di leaderizzazione ha portato sempre più ad avvicinarsi al modello presidenziale americano dove il potere mediatico ed economico è decisivo nella identificazione del binomio capo – popolo a tutto discapito dello strumento partito.  Il partito organizzazione elettorale funzionale al leader. Come osservava Norberto Bobbio parlare di partito personale è un ossimoro, in quanto il partito “è per definizione una associazione di individui”.

Nonostante queste evidenze e benché i partiti politici non siano l’unico canale di partecipazione alla democrazia, è certo che essi rappresentano una esigenza insuperabile che, una realtà grande di persone, ha di partecipare alla democrazia.

È importante osservare che tra alti e bassi hanno svolto un ruolo, difficilmente sostituibile di razionalizzazione e convogliamento delle espressioni politiche rispetto all’esercizio del potere, nonché della selezione della classe dirigente.

E quindi riprendere il compito di rilanciare e modernizzare il ruolo del partito anche tramite una legislazione ordinaria per superare quella dicotomia che si è instaurata tra cittadino e politica diventato semplicemente un “noi” contrapposto ad un “loro”, sembra essere un contributo necessario ed importante.

La nostra Costituzione norma parzialmente il partito politico in parte nell’art 18 sulla libertà di associazione e in parte più esplicitamente nell’art. 49 dove si dispone che «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Questa flessibilità da un lato ha aiutato a sviluppare ampiamente le esigenze della nuova democrazia, ma dall’altro ha consentito uno strabordare del potere partitico fino a generare la cosiddetta partitocrazia. Dalla nascita della Repubblica ad oggi, per le più diverse ragioni è restata indeterminata la definizione di procedure per assicurare la partecipazione democratica e l’individuazione di forme di controllo del buon funzionamento del partito.

La necessità di normare ulteriormente nasce soprattutto dal fatto che il partito non esaurisce il suo ruolo solo nel momento elettorale o nella definizione di cariche pubbliche, ma si manifesta principalmente nella valorizzazione del principio partecipativo dei cittadini alle attività politiche, benché questi siano inseriti in una democrazia rappresentativa.

Questo ruolo va salvaguardato, ammodernato e rafforzato tramite una legislazione ordinaria.

Molte sono state le proposte nel corso degli anni, da quella di don Sturzo del 1958 fino alle ultime della passata legislatura, ma nessuna è approdata ad una soluzione condivisa. In tutte le legislature sono stati presentati disegni di legge da diverse parti politiche, ad indicare che il tema è ormai maturo per una sua definizione.

L’urgenza di una disciplina legislativa dei partiti politici, si impone anche per uscire dall’ambiguità di alcune formazioni politiche che rifiutano il termine “partito” preferendo quello di movimento oppure associazione e anche libera organizzazione politica. Non è una questione lessicale, bensì un aspetto sostanziale in grado di influenzare il corretto processo democratico. La necessità di avere regole trasparenti e controllabili è presupposto sempre più cogente della difesa della democrazia. Oggi resa più vulnerabile anche da potenzialità tecnologiche in grado di condizionare i processi decisionali.

Che ci sia bisogno di avviarsi al completamento e alla piena attuazione dell’art 49 della Costituzione lo conferma anche quanto emerso a livello europeo.

Nel 2006 il Parlamento ha approvato la relazione di Jo Leinen sui partiti politici europei chiedendo esplicitamente uno “statuto” dei partiti politici.

Una normativa organica in merito potrebbe aiutare, quale contributo di metodo, ad un maggiore riavvicinamento dei cittadini alla politica.

Su questi temi Argomenti2000 ha in lavorazione una proposta di legge ed ha aperto un confronto a partire da un ciclo di incontri intitolati “UNA DEMOCRAZIA SENZA PARTITI?”  in cui il prof. Massimo Rubechi è intervenuto sulla “forma partito nell’ordinamento italiano”, mentre il prof. Renato Balduzzi ha tenuto una relazione sui “partiti in Occidente: declino o metamorfosi”. Infine, dopo le sollecitazioni del prof. Vincenzo Satta, hanno portato il loro contributo alcuni rappresentati di associazioni (ACI, Acli, MPPU Meic, ecc.) su “Idee e proposte per una riforma democratica dei partiti”. È un confronto che continuerà nei prossimi mesi.

E’ disponibile la registrazione dell’incontro del 9 marzo.

2 Comments

  1. Buonasera, nel massimo rispetto per tutte quelle persone che attraverso i partiti hanno contribuito allo sviluppo democratico del nostro bellissimo paese, a Torino, in data 30 maggio 2022, abbiamo costituito un’associazione denominata DEMOCRAZIA SENZA PARTITI, con la finalità politica di proporre una nuova forma di governo, per noi ancora più democratica dell’attuale, dove al centro ci sono le persone, i sindaci e i presidenti di regione.
    Un Movimento a termine e di scopo con l’obbiettivo di invertire il paradigma del modo di interpretare la politica, attraverso persone competenti che sappiano confrontarsi con rispetto, trovare soluzioni condivise nell’interesse del paese e non del proprio partito.
    Il progetto è consultabile sul sito http://www.democraziasenzapartiti.it
    Grazie per il vostro interessante articolo

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