Strutture pastorali più leggere, più vicinanza alle persone. La Chiesa in Sinodo, secondo Pierpaolo Triani

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 “Penso che sia necessario ripensare le nostre forme di azione pastorale,  nella logica della leggerezza delle strutture e della vicinanza alle persone”. Così Pierpaolo Triani, docente di Pedagogia generale e membro del Gruppo di coordinamento nazionale del Cammino sinodale della Chiesa italiana

 

 

Incontro Pierpaolo Triani, professore di Pedagogia generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del Gruppo di coordinamento nazionale del Cammino sinodale, a far parte del quale è stato chiamato dalla Conferenza episcopale italiana a fine gennaio. È stato direttore della rivista “Scuola e Didattica” e membro dell’Osservatorio nazionale dell’infanzia e dell’adolescenza. E attualmente vicedirettore de “La Rivista italiana del clero”.

Professore, può spiegare quali sono le differenze e quali i legami tra il cammino sinodale in Italia e i cammini sinodali nel resto del mondo? E come si inseriscono – nello schema tracciato – i Sinodi che i vescovi di talune diocesi italiane hanno inaugurato già prima della pandemia? Non c’è un rischio di sovrapposizioni?

Il Sinodo della Chiesa universale intende coinvolgere, nel modo più diffuso possibile, tutte le comunità ecclesiali del mondo, in un processo di riflessione su come oggi la Chiesa riesce a vivere la sinodalità come suo tratto peculiare. Come è noto, il Sinodo universale prevede un primo momento di coinvolgimento delle Chiese locali, che è quello che stiamo vivendo adesso, anche noi in Italia, dove tutti sono invitati a lasciarsi interpellare da un quesito di fondo: «Come si realizza oggi, ai diversi livelli (da quello locale a quello universale), quel camminare insieme che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, secondo la missione che le è stata affidata? E quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?». A questo primo momento seguirà poi la fase continentale e quindi il momento conclusivo a Roma, nel 2023.

Il Cammino sinodale italiano si pone in stretta sinergia con il processo avviato dal Sinodo Universale, e ha però una propria specificità: è espressione della scelta dei vescovi italiani di accogliere l’invito del Papa, più volte da lui rivolto alla Chiesa italiana, ad uscire dalla logica del “si è sempre fatto così” per camminare in una logica di conversione pastorale, attraverso un attento ascolto della vita delle persone e uno sguardo progettuale. Si tratta di un percorso articolato, per la Chiesa italiana, che chiede un lavoro di coinvolgimento attento, paziente, costante. Per questo sono stati decisi tempi lunghi che arrivano fino al 2025. E’ un cammino che prevede tre fasi: la fase narrativa ( così detta in quanto centrata sull’ascolto delle esperienze), la fase sapienziale e quella profetica (nelle quali ritornare sulle narrazioni e le esperienze raccolte, riflettervi insieme anche con l’aiuto degli esperti, e giungere ad alcune decisioni finali, che abbiano il coraggio della “profezia”). La fase narrativa dura due anni e nel primo anno, quello in corso, essa coincide proprio con quanto è stato richiesto dal Sinodo Universale.

In questi mesi le diverse diocesi italiane stanno attivando questo processo di ascolto, costituendo le equipe sinodali, formando i facilitatori dei gruppi, realizzando gruppi sinodali.

A tutti risulta chiaro che ciò che è chiesto non è tanto quello di concentrarsi sulla produzione di un testo scritto da inviare a Roma per adempiere ad una richiesta, ma quello di esercitarsi nello stile della sinodalità, attraverso esperienze di gruppo che poi continueranno nei prossimi mesi. Questo spirito permette di vivere con minor ansia la questione della consegna del lavoro svolto, sebbene essa sia importante. La Conferenza episcopale italiana ha chiesto alle diocesi di inviare una prima sintesi del lavoro svolto entro la fine di aprile, in modo che i vescovi italiani riuniti in assemblea a fine maggio possano prendere conoscenza di quanto va emergendo dai lavori di questi mesi e siano in grado di delineare i temi su cui realizzare un ascolto ancora più specifico nel prossimo anno.

In Italia vi sono diocesi che avevano già avviato un loro sinodo di recente e che lo hanno concluso da poco, altre che lo hanno appena avviato. In questi mesi,. C’è una realtà molto diversificata. Noi, come gruppo di coordinamento, stiamo toccando con mano questa pluralità di situazioni che riteniamo sia una ricchezza per tutti. A chi ha appeno concluso il sinodo o lo sta vivendo a livello diocesano è richiesto di pensare a quanto vissuto come dono per tutte le altre diocesi e di lasciarsi comunque interpellare dal cammino sinodale per fruttificare al meglio quanto realizzato in diocesi.

Il rischio di una sovrapposizione può essere superato nella misura in cui non ci fissiamo sulle procedure, in sé flessibili, ma sul senso di quanto si va facendo.

 

Presi da mille attività ordinarie e dalle scadenze consuete, a volte, in diocesi, nelle parrocchie, sembra di percepire un certo scetticismo sull’intero percorso sinodale. Come fare per ridurre il rischio che le diocesi si lascino sfuggire questa occasione di rinnovamento ecclesiale?

In questi mesi stiamo toccando con mano una pluralità di reazioni di fronte alla proposta del cammino sinodale: la voglia di mettersi in gioco e di camminare insieme; la resistenza, soprattutto in alcuni sacerdoti, a lasciarsi coinvolgere; il timore che quanto proposto diventi una sovrastruttura e che il processo avviato possa correre il rischio di accendere false attese. Penso sia importante ascoltare le fatiche e le difficoltà, che emergono come parte integrante di questa fase di ascolto. Ugualmente è necessario prendere sul serio un bisogno di ascolto, di condivisione e di cambiamento che il cammino sinodale sembra aver messo ancora maggiormente in luce. Ciò che è stato avviato a mio parere potrà portare frutto nella misura in cui continuiamo ad alimentare il senso spirituale del cammino, senza lasciarsi prendere dall’ansia di dover definire subito degli schemi e senza la pretesa di cambiare tutto.

 

Perché non si diffonda l’idea che poi, alla fine, tutto sia già scritto e che un vero ascolto di tutto il popolo di Dio sia solo evocato e non realmente praticato, non si dovrebbe dare spazio anche alle voci più critiche?

Il cammino sinodale della Chiesa italiana non è stato avviato con un documento, ma con un esercizio diffuso di ascolto delle esperienze personali in ordine alla Chiesa e alla fede. Questo proprio per permettere che tutti possano prendere la parola, non per convincere l’altro ma per fare dono della propria esperienza. Come si è detto, lo scopo dei gruppi sinodali non è il dibattito concettuale, ma la narrazione. Da questo ascolto sorgeranno, certamente, aspetti e temi su cui occorrerà avviare degli approfondimenti che avranno nuovamente bisogno dell’ascolto di tutti. Si è scelto un percorso graduale che certo dovrà arrivare a delle conclusioni, a delle scelte, ma attraverso un paziente lavoro di discernimento.

 

Da molti anni parliamo di uno stile di “discernimento comunitario”, ma mi sembra che lo abbiamo praticato poco. Ora che papa Francesco ha fissato un termine alle Chiese particolari, cioè la consegna di un documento di massimo 10 pagine da parte di ciascuna diocesi, da inviare alla Santa Sede, quali accorgimenti si possono prendere per riuscire a svolgere un vero discernimento comunitario?

Credo sia importante dire che il discernimento comunitario non può coincidere con le 10 pagine che saranno consegnate. Quelle sono un segno di un processo più ampio, ancora meglio di uno stile, che chiede di essere praticato al di là della consegna di alcuni fogli scritti. La conversazione spirituale proposta per questo primo anno rappresenta un primo passo importante per crescere nell’esercizio del discernimento comunitario. Penso che quanto si andrà delineando per i prossimi anni ci permetterà di affinare ulteriormente questo stile.

Per evitare che si confonda il discernimento con la consegna di una sintesi, nei nostri incontri con i referenti diocesani stiamo mettendo in luce quanto sia importante vivere l’esperienza dei gruppi senza ansia e con l’impegno a restituire alle persone che hanno partecipato quanto va emergendo.

 

Sappiamo come oggi sia difficile trasmettere e vivere la fede tra generazioni, ma anche come sia difficile vivere la fede da adulti… Lei che cosa ne pensa?

Penso che uno dei nodi fondamentali per noi adulti sia quello di vivere la fede in rapporto alle sfide costanti della vita quotidiana. Per fare questo abbiamo bisogno di radicare la nostra interiorità nel Vangelo; e questo non possiamo farlo in solitudine. C’è certamente bisogno di un profondo ripensamento della pastorale degli adulti, che tenga conto della pluralità di situazioni che caratterizzano la loro condizione e che sappia trovare forme nuove di accompagnamento spirituale.

 

Lei che collabora molto con l’Azione cattolica, pensa che l’associazionismo laicale saprà svolgere un ruolo positivo per i cammini sinodali?

Il contributo dell’associazionismo laicale nel processo avviato con il cammino sinodale è di grande importanza a tutti livelli: parrocchiale, diocesano, nazionale. Penso che se le diverse associazioni si lasceranno interpellare dallo stile sinodale e dall’invito ad una conversione pastorale potranno non solo donare molto alla vita ecclesiale, ma anche trarre forti benefici per la loro vita interna.

 

Se dovesse indicare una cosa su cui assolutamente la nostra Chiesa italiana dovrebbe cambiare strada o quantomeno correggere la rotta, quale sceglierebbe?

La diminuzione delle risorse umane all’interno delle nostre comunità ci sta mostrando quanto sia necessario un ripensamento complessivo del nostro impianto organizzativo. Verso quale direzione? Penso che la strada principale sia quella di moltiplicare gli sforzi nella logica della prossimità, una prossimità che inviti ad aprirsi alla parola buona del Vangelo. Può sembrare un paradosso dal momento che si è meno numerosi di prima; ma invece io penso che sia necessario ripensare le nostre forme di azione pastorale, proprio nella logica della leggerezza delle strutture e della vicinanza alle persone.

 

a cura di Giandiego Carastro

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