“L’infedele”, di Gad Lerner (recensione di Salvatore Vento)

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“Non mi accontenterò dei luoghi comuni sul nostro passaggio dalla politica come trasformazione del mondo alla ricerca di un personale accomodamento nel mondo. Ma accetto la sfida di partire da lì”. Con queste parole Gad Lerner chiarisce lo spirito che l’ha animato nello scrivere un libro tra autobiografia e giudizi politici sugli eventi storici del paese e sull’evoluzione dell’attività giornalistica (dalla carta stampata alla televisione) di cui egli è stato un autorevole protagonista.

Il titolo, L’Infedele, deriva da una sua fortunata trasmissione televisiva andata in onda su “La 7” dal 2002 al 2012, ma esprime anche le contraddizioni che hanno accompagnato la sua vita: da una parte l’uomo consapevolmente di sinistra schierato con la classe operaia, dall’altro l’amicizia con uomini ricchi e potenti con i quali si trovava a proprio agio e dei quali godeva i privilegi.

Sei sono i capitoli: un funerale dal finale imbarazzante (quello di suo padre); il messia rivoluzionario; al potere: ascesa e declino; il padrone in redazione; la proprietà privata non è più un furto; declinare con saggezza. In ognuno di questi sei capitoli sono descritti con molta spregiudicatezza vicende personali e incontri con uomini di potere dei quali narra vocazioni e interessi.

Gad, nel definirsi ebreo laico e di sinistra, ripercorre tappe importanti della formazione della propria identità e della storia dell’ebraismo, soprattutto quello ortodosso e mistico. Quando era immerso nei movimenti collettivi di contestazione – a partire dai diciotto anni con l’adesione a “Lotta continua” nel 1973 e fino al suo scioglimento nell’autunno 1976 – non sentiva il bisogno di manifestare la propria identità ebraica; soltanto sul finire del secolo cominciò di nuovo forte il richiamo delle identità. Tutti i suoi cinque figli, avuti con due mogli cattoliche, hanno solennemente consacrato la loro appartenenza ebraica e comunitaria, senza nessun problema; due di essi avevano scelto di vivere per diversi anni in Israele.

Ma il discorso più profondo è quello relativo all’aspettativa messianica presente non solo in ambito ebraico. Non eravamo stati forse anche noi, ribelli del Sessantotto, dei messianici inconsapevoli? – si chiede a ragione Gad Lerner. Infatti veniva attribuita una funzione religiosa e salvifica alla classe operaia che, liberando se stessa, avrebbe liberato l’intera umanità. Gustav Landauer, filosofo libertario martire della Repubblica tedesca dei consigli operai del 1919, è la personalità che aveva meglio incarnato lo spirito rivoluzionario novecentesco sul tronco ebraico della profezia e del messianismo. L’attesa del Messia, ovvero la fede nella redenzione che finalmente portasse giustizia divina nel mondo, smetteva di essere un’attesa passiva. I credenti erano chiamati all’azione diventando protagonisti attivi del suo avvento, della nascita del messia dei popoli; un modo per essere coerenti tra la fede religiosa professata e la prassi politica, una sorta di sommovimento spirituale. In quel tempo i giovani avevano in comune il desiderio di trasformarsi in messia collettivo, ma la rivoluzione era anche un fatto interiore, spirituale.

Molte pagine sono dedicate allo scrittore premio Nobel, Saul Bellow: il ragazzo proletario ebreo di Chicago che in seguito si troverà magnificamente bene frequentando l’intellighenzia di sinistra newyorkese al Geenwich Village. Il segreto della sua creatività è l’aver saputo mantenere ardenti le emozioni di una breve gioventù rivoluzionaria, insieme alla mai rinnegata ascendenza ebraica. I suoi libri furono pubblicati per primo in Italia da Giangiacomo Feltrinelli col quale stabilirà una forte amicizia: lui nato povero che stava diventando ricco con i suoi libri e Giangiacomo ricco di famiglia che aveva scelto di fare l’editore e il rivoluzionario. Gad ha sempre sentito il richiamo della sua tradizione ebraica anche per capire le sue travagliate vicende familiari e soprattutto il rapporto spesso conflittuale col padre. E’ per questo che visita la città di Zfat in Galilea, situata a 900 metri d’altezza, una delle quattro città sante di Israele insieme a Gerusalemme, Hebron e Tiberiade. Un centro storicamente legato alla fondazione della qabbalah moderna e dove l’estate ha luogo il festival di musica Klezmer. Lì si trattiene per un mese nella speranza di trovare risposte tra gli esoterici rifondatori della qabbalah, che vivevano in diverse congregazioni settarie di matrice ashkenazita (gli ebrei provenienti dai paesi dell’Est Europa) o sefardita (quelli storicamente provenienti dalla Spagna).

Con le trasmissioni  “Profondo Nord” e poi con “Milano, Italia”, Gad sperimenta due format televisivi di largo successo. Gli ospiti più in vista, seduti sul palco, dovevano misurarsi con le istanze della base. Una decina d’anni dopo inventa “L’infedele” a “La 7”: invitava i pensatori di frontiera, eretici o tradizionalisti, per approfondimenti di natura più storica e culturale.

Proprio nel giorno della Festa dei lavoratori, il primo maggio del 1993, l’ex militante e giornalista di Lotta Continua diventa vice direttore de “La Stampa” della famiglia Agnelli, diretta da Ezio Mauro. Nel 2000 un’altra grande scalata ai vertici del potere mediatico: direttore del Tg1 della Rai quando bastava alzare il telefono per parlare col capo del governo. Ciò inoculava, riconosce Gad, un dissennato senso di onnipotenza. Tra le numerose accuse, che per questi passaggi bruschi riceveva da esponenti della destra, vi era quella di essere un uomo di George Soros, noto come il prototipo del ricco di sinistra impegnato nella realizzazione di progetti di giustizia sociale attraverso la sua creatura Open Society Foundations, agenzia di finanziamento di opere filantropiche. A Budapest Soros fondò l’Università del Centro Europa, costretta ultimamente a traslocare a Vienna da Viktor Orban. Il fatto di essere ricco accresce il mio senso del dovere, amava affermare Soros.

Nel 1988 Gad aveva pubblicato il libro “Operai”; ma dopo l’innamoramento per gli operai comincia a conoscere e frequentare anche i padroni e con alcuni di loro stabilisce rapporti di amicizia ed entra nel giro della bella vita. Veniva invitato dallo studio Ambrosetti ai suoi raduni annuali a Cernobbio, la Confindustria lo chiamava ai suoi convegni. Sentirsi raccontare come andava l’export degli industriali della ceramica di Sassuolo era istruttivo almeno quanto partecipare a un seminario della Caritas trentina. Se a Torino don Luigi Ciotti si prendeva la libertà di dare del tu all’Avvocato, chi mai si sarebbe preso la briga di impedire a me di tenere il piede in due staffe? – si chiede Lerner.

Tra gli amici ricchi che frequenta cita Lorenzo Pellicioli, che aveva acquistato un’abbazia medievale in Provenza, posta al centro dei paesaggi immortalati da Van Gogh, un appartamento a New York affacciato sul ponte di Brooklyn e anche una barca a vela di alta classe: un capitalista democratico implacabile nello sfruttamento di leve finanziarie e al tempo stesso appassionato di politiche sociali. Uno sdoppiamento di personalità tipicamente anglosassone. Pellicioli appena ritornava dall’estero andava alla “Casa della Carità” milanese di don Virginio Colmegna. La Casa della Carità crede nella dignità e unicità di ogni persona, nel valore dell’ascolto, nell’importanza della relazione. Un altro amico del fronte imprenditoriale è stato Carlo De Benedetti, capofila di un nuovo capitalismo illuminato anche grazie al fatto che aveva rilevato la Olivetti del grande imprenditore umanista Adriano. Insieme furono ritratti in piscina in Sardegna nel 2009, scattati di nascosto con il teleobiettivo e oggetto di satira nel programma televisivo di “Striscia la notizia”. Con la famiglia De Benedetti va in yacht nei mari tropicali. Amico del figlio primogenito Rodolfo, con lui condivideva le rispettive memorie familiari. Quando “Repubblica” rientra nella proprietà del gruppo Gedi degli Agnelli avviene il conflitto tra padre e figli, e Carlo De Benedetti fonda il nuovo quotidiano “Domani”. Anche Gad non condivide questa scelta e abbandona “Repubblica”.

Le mie debolezze personali, ammette con sincerità Gad, sono in qualche modo rappresentative della più generale debolezza della sinistra: la sinistra senza operai. Durante le sue inchieste rileva che oltre il 40%  degli iscritti alla Cgil nel 2019 aveva votato per la Lega e il Movimento 5 Stelle. Anche a Cerignola, in Puglia, città nativa di Giuseppe Di Vittorio, le elezioni avevano premiato la Lega col 30% dei voti. Il distacco dai lavoratori era già evidente col passaggio generazionale del dopo Berlinguer quando la nuova generazione dirigente del PCI cercava la legittimazione del proprio ruolo politico come partito di governo accettando le logiche neoliberiste. La sinistra senza operai è comunque un controsenso. Ciò avveniva in coincidenza col massiccio dirottamento della ricchezza nazionale dai salari ai profitti. Gli intellettuali non avvertivano più alcun impulso a raccontare la condizione operaia. Erano ormai finiti i tempi nei quali due operai – il polacco Lech Walesa e il brasiliano Luiz Lula da Silva – diventavano rispettivamente presidenti della Repubblica in Polonia e in Brasile.

Gad ricorda con affetto Franco Antonicelli, il comandante partigiano e presidente del CLN di Torino, che nell’atto di donare la sua biblioteca alla Compagnia portuale di Livorno pronunciò un discorso significativo a favore di un popolo che “non rimane massa”, ma che costruisce i suoi strumenti per diventare classe dirigente di un paese. Un approccio completamente diverso dall’attuale populismo. I fondatori del sindacato unitario nel 1944 erano tre operai: Bruno Buozzi, componente socialista della Cgil (che poi sarà ucciso dai nazisti prima della firma del Patto di Roma del 9 giugno di quell’anno), Achille Grandi per la componente cattolica e Giuseppe Di Vittorio per la componente comunista.

Lo stesso Engels apparteneva a una ricca famiglia di industriali cotonieri tedeschi, ma aiutò per tutta la vita il suo amico Karl Marx col quale scrisse il famoso Manifesto del Partito comunista del 1848.  E’ la mescolanza la vera leva del progresso sociale, di cui i figli ebrei di Gad sono il frutto. Del resto, pur contemplando l’ebraismo una discendenza trasmessa esclusivamente per via matrilineare, tanti eroi biblici si unirono a “donne straniere” e con esse generarono figli ebrei. Su questa lunghezza d’onda si collocava il fervente sionista Scholem emigrato nel 1923 da Berlino a Gerusalemme che per costruire lo Stato d’Israele entrava in conflitto con l’ortodossia rabbinica. Lo stesso fecero anche Theodor Herzl e David Ben Gurrion che, disobbedienti ai precetti religiosi dell’attesa passiva del Messia, scelsero la pratica di un messia collettivo qui e ora, la redenzione del popolo perseguitato.

Nel 1977 insieme con altri amici di Lotta continua Gad Lerner incontrò a Roma il vecchio Sartre il quale dichiarò che non aveva più senso definirsi marxista. Sartre era insieme al suo segretario Pierre Victor, ebreo ed ex maoista, il cui vero nome era quello di Benny Lévy, nome col quale ottenne la cittadinanza francese. Il messianesimo appariva come la radice dell’idea rivoluzionaria e dell’etica; la speranza messianica come motrice di autentica giustizia.

Come ormai risulta evidente, alla classe operaia la generazione del ’68 attribuiva un significato religioso. Nella stratificata identità di ciascuno di noi – conclude la confessione di Gad Lerner – possono convivere fonti d’ispirazione diverse, cozzando talvolta l’una con l’altra e provocando scintille.

 

Salvatore Vento

*Gad Lerner, L’infedele. Una storia di ribelli e padroni, Feltrinelli, 2020, pp. 249.

La recensione è stata pubblicata sull’inserto “Via Po” di Conquiste del lavoro, quotidiano della Cisl

 

 

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