I tempi storici che viviamo e i partiti personali.

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di Nino Labate

L’apertura dei telegiornali e le prime pagine dei quotidiani di questi giorni, faranno sicuramente parte di un pezzo di storia tragica che studieranno i nostri nipoti e pronipoti, e che non pensavamo di vivere. Non è forse il caso di ricordarlo, ma quando veniamo a sapere che i luoghi di culto ebraici sono stati presidiati dalla polizia armata e sono controllati giorno e notte in tutta Europa, e quando vediamo Kiev bombardata quotidianamente, non ci sbagliamo di troppo se affermiamo che l’opinione pubblica è sotto una continua ansia e vive ormai in compagnia di una costante paura.

Con il ritorno di una Russia neozarista e imperiale, e di fronte a un Medio Oriente incupito da malati mentali che fanno strage di neonati nella culla, stiamo assistendo a una totale rivoluzione degli equilibri internazionali, sostenuta da folli pulsioni psicopatiche di dominio, inimicizie storiche e odi religiosi, trasformati in autentiche tragedie con l’uccisione e la ferocia omicida che non guarda in faccia a nessuno, facendo morire anche di fame e di sete.

La coesione dimostrata nel nostro Parlamento tra maggioranza e  opposizione sui fatti di Gaza, indica tuttavia che il dialogo tra “amici” e “nemici”, tra partiti alternativi o apparentemente diversi, e, se vogliamo, tra una nuova destra e una nuova sinistra italiane, è sempre possibile. Questo è sicuramente un segnale di speranza per il futuro pieno di sfide e incertezze che ci attende. Da affrontare, intanto, con un’Europa federata e più unita politicamente. E poi con politiche e partiti nazionali sgombri da continue ostilità e intolleranze reciproche, spesso appoggiate a ideologie passate, e molto più spesso provocate soltanto dalla diversità dei singoli leader, che fioriscono giorno dopo giorno.

Siamo in molti, ormai, convinti che i cambiamenti inediti a cui assistiamo sono veri e propri stravolgimenti: “metamorfosi epocali” mai viste prima, li definisce Papa. Francesco. Non solo il ritorno delle guerre, ma a partire dal clima e transitando dall’IA nelle sue ripercussioni e applicazioni varie, per arrivare alle inarrestabili emigrazioni, qualche serissima preoccupazione la viviamo e tocchiamo con mano continuamente, augurandoci solo che le soluzioni di questi inediti e drammatici problemi non siano divisive solo per i pregiudizi dei leader, e trovino i partiti politici tutti, italiani e non, responsabilmente uniti sulle sfide di quel futuro incerto che ci attende, ed è già in parte alle nostre spalle.

Un minimo di buon senso e nel pieno rispetto di un autentico pluralismo, spingono allora a farci sperare che su queste rivoluzioni epocali non ci potrà essere una risposta di sinistra, una di destra, e una terza di quel centro che viene cercato e auspicato da più parti. Ma solo risposte condivise. Frutto di compromessi e di mediazioni quanto si vuole, ma condivise. Compatte e unitariamente orientate al bene di tutti, perché le sfide appartengono a tutti e non a una parte.

La dialettica e il confronto rimangono i ferri quotidiani del mestiere, ma questa auspicabile unità di intenti, si verificherà quando, e solo quando, si avrà finalmente capito e presa piena coscienza della metafora di Bergoglio destinata ad andare oltre il Covid: quella di essere tutti “…imbarcati sulla stessa e unica barca”.

Succede, invece, che in previsione delle prossime elezioni europee, si assiste a una proliferazione inverosimile di individuali e isolate barchette partitiche, odiose e nemiche l’una dell’altra, perché supposte diverse e alternative. Ma che sono invece tali solo per il fatto che è diverso il leader che ha deciso di “varare” la barca chiamandola caso mai con un bel nome, spesso senza passeggeri a bordo, o supponendo di intercettarli una volta in viaggio, al largo, abbandonati e solitari e in attesa della barca che porta il suo nome.

 

La storia insegna qualcosa?

Nella storia politica italiana, opportunità e momenti favorevoli alla nascita di nuovi partiti e movimenti, ci sono sempre stati. Bisogna solo saperli leggere bene, coglierne l’utilità e soprattutto essere realisti nelle analisi della concreta fattibilità.

Il partito fascista della tragica dittatura, per esempio, o la Democrazia cristiana che impiantò la vera democrazia politica moderna in Italia, nascono pur con intenti abissalmente diversi, per ben precise e note contingenze della storia. Dei momenti storici propizi, dunque, bisognerebbe che i partiti esistenti e soprattutto quelli che vogliono nascere, tengano conto. Gli occhi ben aperti, li devono soprattutto tenere i potenziali leader, e tutti gli uomini politici che stanno loro attorno.

Sperando sempre che vengano verificate almeno un paio di cose.

La prima riguarda il fondamentale fatto che le loro intuizioni e le loro previsioni abbiano un “concreto” riscontro sociale e culturale, come suggeriva don Luigi Sturzo, da sociologo. Siano, cioè, ancorate a una domanda sociale e culturale esistente, concreta e reale, non immaginata o supposta. Interrogare solo il proprio pensiero, i propri pre-giudizi e le proprie personali aspettative, non è mai un buon metodo di conoscenza.

La seconda, invece, attiene al bene comune. Ed è quindi più seria, essendo legata alle conseguenze delle loro iniziative politiche che devono riguardare tutti e non il solo leader promotore o il suo personale partito. Che siano cioè orientate alla crescita democratica del Paese, allo sviluppo dell’eguaglianza e della solidarietà, alla giustizia sociale e alla lotta alla povertà, non escludendo oggi, anche una buona governabilità lontana dai presidenzialismi e dai premierati. Questo significa che le opportunità che si offrono, devono stare lontane dai desideri individuali e dalle nostalgie, dai sovranismi autonomi e differenziati perfino regionali, e devono solo confrontarsi con alcuni segni dei tempi storici che si vivono. Rispondendo a domande sociali e culturali ben presenti e diffuse nella società civile e religiosa, verificate e pesate sociologicamente presso l’opinione pubblica.

 

Ma oggi il circo mediatico è dominante

A queste realistiche basi, su cui si dovrebbe appoggiare il futuro della politica e della democrazia, bisogna ai nostri giorni aggiungere la consapevolezza di una variabile a mio avviso pericolosa. Comparsa sin da quando i media hanno trasformato la politica in politica spettacolo. Ed è quella che anche se fisiologica nella storia dei partiti, non è mai stata così presente nelle dimensioni e nei suoi risvolti elettorali che osserviamo e viviamo. E questo succede anche per un insieme di concause tra cui la comunicazione mediatica, come si diceva, e il conseguente marketing politico, la fanno ormai da padroni assoluti.

Si tratta della necessità che oggi appare inderogabile di avere prima di tutto un leader, e dopo un partito con i suoi obiettivi culturali e valori da difendere. Prima di tutto delle facce, e dopo dei cervelli; prima di tutto la notorietà, e dopo la cultura, le competenze e le capacità; prima di tutto il profilo dell‘influencer e dopo quello degli “influenzati”. Come se il nome del singolo leader, la sua bella o brutta faccia, i suoi vestiti cambiati ogni giorno, il suo modo di parlare e le sue posture, fossero da soli sufficienti a ottenere dei risultati positivi sul medio e lungo periodo.

Sui convegni, sui congressi, sulle direzioni, sulle segreterie, e sulle sezioni di territorio… se ne parla dopo!

Lo fa capire bene l’amico Giorgio Merlo, da anni tenace sostenitore di un partito cattolico e popolare di centro, e da anni osservatore attento dei “populismi, massimalismi e radicalismi”, diffusi nell’attuale “bipolarismo selvaggio” italiano. Sul blog di Lucio D’Ubaldo “il Domani d’Italia”, convalida e riassume, infatti, la piega leaderistica come segue: «…prima la lista, poi il partito». E magari dopo, ma solo dopo, si potrebbe arrivare a conoscere il progetto politico, il programma, e se avanza tempo qualche valore di riferimento, non escludendo le alleanze che s’intendono fare. E tutto questo senza neanche un accenno alla superflua e oggi assente formazione pre-politica, senza un minimo di organizzazione territoriale, con le chiese vuote e le parrocchie senza sacerdoti e senza giovani, e con lo storico associazionismo cattolico in crisi di iscritti, Fuci e Ac in testa. Ma sono anche del tutto assenti i contatti interpersonali faccia a faccia, puntando e scommettendo tutto sulla comunicazione digitale a distanza dei social, e su quant’altro di virtuale è ai nostri tempi disponibile.

Ma è una china irreversibile?

 

(I. continua)

2 Comments

  1. Caro Nino, mi ostino a voler pensare che non sia una china irreversibile. Che ci sia ancora la possibilità di avere luoghi di incontro, relazione, confronto, anche discussione, sia nella comunità ecclesiale che nel mondo sociale e politico. Non bisogna stancarsi di coltivarli questi luoghi, fisici e magari anche a distanza (ma non “solo a distanza”!) e credo che sul piano locale ciò sia ancora possibile. Vedo invece più complicato il rapporto tra il piano dell’impegno locale e ciò la vita delle realtà più “vaste” (regionali, nazionali, internazionali). Su questo bisognerebbe molto lavorare perchè non si può negare il senso di una difficoltà a far dialogare efficacemente e produttivamente queste dimensioni. In questo senso l’associazionismo cattolico, con tutti i suoi limiti e difficoltà, mi pare ancora un esempio virtuoso, dove realtà locali-diocesane e dimensione nazionale si intersecano e si vivificano a vicenda. Non disperdiamo questo patrimonio che diventa un servizio non solo alla Chiesa ma anche alla comunità civile.

  2. Interessantissime riflessioni del nostro pensatore, Nino Labate. I problemi crescono e si diversificano quotidianamente senza possibilità che si modifichino in meglio se, il concetto di meglio da avere come punto di riferimento, è quello che ci ha fatto da guida fino a qualche decennio fa. Chi come me ha qualche anno sul groppone sa bene che dal 1940 ad oggi l cose si sono evolute o involute, a seconda del punto di vista e ciò in campo della nostra società. civile,, sociale, economico, politico e via dicendo. No, non credo che andremo avanti per la china intrapresa, andremo avanti sarà la storia a giudicare il nostro operato o, meglio quello dei nostri figlie nipoti.

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