E’ tempo di allargare il “cortile dei Gentili” ai fratelli mussulmani

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Nella tradizione ebraica  per “gentili” si intendevano  tutti coloro che non avevano come madre una donna ebraica. Il termine per indicare un non-ebreo era goy, al plurale gojim (gentili, nazioni = gr. éthnè). Al popolo di Dio (‘am = gr. laòs) appartenevano “l’elezione, l’alleanza, le promesse di Dio, dall’altra c’erano le nazioni”.

Dopo alcune difficoltà iniziali ben indicate nel libro degli Atti degli Apostoli, i primi cristiani comprendono che il messaggio di Gesù deve essere annunziato a tutti i popoli pagani e a tutte le nazioni: Filippo evangelizza la Samaria (Att 8); Pietro battezza Cornelio (Att 10), un proselito non ancora incorporato ad Israele, con la circoncisione; infine, ad Antiochia, il Signore Gesù è annunziato ai Greci che si convertono in gran numero (Att 11,20s). Ma sarà soprattutto Paolo, lo strumento della Chiesa eletto per la evangelizzazione delle nazioni (Att 9,15; 22,15.2i; 26,17),

ad assumere l’impegno fondamentale di annunciare ai ‘pagani’ il vangelo: “Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare a me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo ai pagani, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, (…) mi recai in Arabia” (Gal 1,15-17).

 

Oggi, nella Chiesa, per impulso del card. Gianfranco Ravasi, si è tornati a parlare di cortile dei gentili, intendendo con questo uno spazio, un ‘cortile’ (Ap 11,2), di discussione tra credenti e non credenti. Questo finora è avvenuto nelle piazze o nei luoghi dell’Europa e del mondo occidentale, dove sembra sia stata smarrita l’idea stessa di fede nell’annuncio del vangelo di Gesù.

 

Mi chiedo se questo sia sufficiente e appagante, per annunciare Gesù Cristo. Ci troviamo, infatti, drammaticamente di fronte a un mondo, in particolare il Medio-Oriente, a noi così vicino, dove violenza e morte recano sterminio tra o cristiani e gli stessi mussulmani. Ogni giorno, da Parigi al Pakistan, dallo Yemen alla Nigeria, dalla Siria alla Libia, assistiamo al massacro inaudito di donne, uomini, bambini, cristiani e mussulmani. Alcuni gruppi vorrebbero imporre una nuova visione del mondo, partendo da presupposti religiosi.

 

La Chiesa, con gli accorati appelli di Papa Francesco, si chiede come tutto questo possa avvenire, all’alba del XXI secolo. Alcuni incominciano a pensare che non è soltanto una rivendicazione religiosa, ma che la religione è rimasta l’ultimo strumento a rappresentare l’ira dei popoli, là dove i governi  hanno fallito. Povertà, miseria, malattie, ignoranza, schiavitù della donna, sfrenato potere di piccole e ricchissime oligarchie: tutto questo ha suscitato l’ira e la disperazione di interi popoli, al punto da rifugiarsi nell’idea folle di un dio vendicatore e giustizialista.

Ora la paura, un elemento spesso taciuto ma fondamentale nelle scelte politiche dei popoli, ci spinge a rispondere agli attacchi violenti di questo mondo che tendiamo a identificare col mondo mussulmano. In verità, milioni di mussulmani, nazioni intere, sono popolazioni pacifiche e non affatto in preda alla irrazionalità di simili violenze. Spesso è l’ignoranza a guidare i poveri a comportamenti esasperati.

 

Ora mi chiedo: non è il tempo di allargare il “cortile dei gentili” non limitandoci al dialogo tra credenti e non-credenti del nostro mondo occidentale, ma affrontando il problema della ‘violenza’ in mondi religiosi diversi, andando cioè in Pakistan, in Siria, in Libia, in Nigeria, e aprendo un dialogo con gli intellettuali di quei paesi, con le nuove generazioni che aspirano alla pace e al benessere, per affrontare la concezione stessa dell’idea religiosa, delle fedi diverse, dei progetti di libertà, di giustizia, di dignità delle persone?

 

Non è forse quello che ha fatto, fin dall’inizio la Chiesa, con la cultura pagana di Atene e di Roma?

Non è forse questa la potenza geniale che ispira Papa Francesco, quando indice, con lo stupore di tutti, un “anno giubilare della Misericordia?”.

Non è forse questa l’urgenza religiosa del mondo cristiano, una volta superato lo sgomento delle violenze a cui assistiamo finora impotenti? Non è questa l’ora del dialogo, dell’ascolto, della comprensione, delle risposte alla grande famiglia dei nostri fratelli mussulmani? Non è forse ormai il tempo, anche per noi cristiani, di ritornare al confronto, senza presunzioni, sulla natura e il significato delle varie credenze, della fede in un unico Dio, della potenza spirituale di ogni religione per affermare tra i popoli la giustizia e la pace?

 

don Enrico Ghezzi

 

 

 

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