Cultura costituzionale….governo del Paese….e cattolici

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di Lino Prenna e Pier Giorgio Maiardi

Mentre la politica, nel nostro Paese, sembra sempre più assomigliare ad una competizione sportiva, senza averne la dignità, in cui le squadre sono solamente preoccupate di prevalere una sull’altra, senza nemmeno preoccuparsi della qualità del gioco, e sfruttano ogni incidente di gioco per cercare di danneggiare l’avversario e buttare, in qualunque modo, la palla in rete per inneggiare al successo momentaneo, il sospetto più avvilente e preoccupante è che si stia perdendo la cultura costituzionale.

E non è cosa di poco conto perché su quella cultura è nata la nostra Repubblica dopo la nera e tristissima parentesi della dittatura e della guerra.  Si avverte il concreto pericolo che quella Carta, in cui hanno creduto e su cui si sono impegnati uomini di pensiero e di azione che avevano vissuto sulla propria pelle l’esperienza del tempo precedente, sia destinata a diventare solamente  un documento di cui menare vanto e comunque  un insieme di buone esortazioni di maniera che hanno ben poco a che fare con la politica che deve governare il Paese.

La Costituzione pone alla politica obiettivi impegnativi di lungo termine che mal si conciliano con le scadenze elettorali, tutte, quelle nazionali, quelle locali ed anche quelle europee, che si succedono quasi annualmente e che richiedono successi, anche apparenti, da esibire per ottenere il voto,  primo obiettivo che si pongono gli attori della politica quotidiana. Secondo una sana cultura costituzionale quell’obiettivo dovrebbe, invece, essere  il “bene comune” che non è somma di beni individuali e  che esige, secondo la Costituzione, il dovere della solidarietà, una solidarietà che coinvolge ogni cittadino, anche a costo di qualche sacrificio, tema non certo gradito da esibire in clima elettorale.

E’ nella prospettiva del bene comune che la Carta parla  di lavoro, come dovere e come diritto da garantire ad ogni cittadino, parla di pari dignità sociale dei cittadini, senza alcuna distinzione, di sesso, di etnia, di lingua, di religione, parla di uguaglianza davanti alla legge e di libertà, e dice che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Tutti obiettivi di una politica responsabile, come pure, stabilendo il dovere di ogni cittadino a “concorrere alle spese pubbliche in ragione della sua capacità contributiva”, la preoccupazione, in ragione di questa capacità, assai diversificata fra i cittadini, che  “il sistema tributario sia informato a criteri di progressività”. Penso al dubbio valore educativo della “flat tax”, ai ripetuti e decantati condoni fiscali, alla presentazione degli obblighi fiscali come prelievo, se non furto, dalle tasche dei cittadini.

D’altra parte la Costituzione definisce il diritto del “lavoratore” ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e sufficiente ad assicurare a sé ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa e, nel caso di inabilità al lavoro e di mancanza dei mezzi necessari per vivere, il diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale. Così come il dovere, per la Repubblica, di tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, un bene primario, e di garantire cure gratuite agli indigenti, di istituire scuole per tutti gli ordini e gradi, di favorire la formazione della famiglia e di proteggere la maternità, l’ infanzia e la gioventù.

Quanto all’impresa la Costituzione non la considera solamente come strumento che produce a beneficio del pil e nell’interesse dell’imprenditore ma come attore che si preoccupa dell’utilità sociale e del rispetto della sicurezza, della libertà e della dignità umana perché l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Il pensiero corre al “salario minimo”, al lavoro considerato come merce, alla facilità con cui. in nome del profitto, si decide la delocalizzazione di imprese lasciando senza lavoro i dipendenti, a volte centinaia, considerati semplici beni strumentali.

Sul piano internazionale la Carta stabilisce che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite da noi, ha diritto d’asilo nel territorio della nostra Repubblica, e mi viene da pensare a quali e quanti sono i motivi che creano tale impedimento. Oltre al ripudio della guerra come strumento di offesa ad altri popoli, la Costituzione  consente, in condizione di parità con gli altri Stati, le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. E anche a proposito di ambiente, con una recente integrazione, la Costituzione ne impegna alla tutela.

Su questi valori la politica dovrebbe costruire la linea di governo della comunità civile, il suo compito dovrebbe stare nella loro concretizzazione, pur differenziandosi eventualmente sulle modalità, ma sullo spirito costituzionale che dovrebbe guidare la vita pubblica solidale dei cittadini non possono esistere omissioni ne differenziazioni, particolarmente quando, come ora, la solidarietà sociale è messa in forte difficoltà in un tempo in cui prevale l’individualismo alimentato dalle tecnologie che illudono ognuno di autosufficienza e coltivato anche da certa politica che vi cerca il consenso di ogni cittadino.

L’impressione è che la maggioranza che attualmente ci governa fatichi a riconoscersi spontaneamente in questa cultura, e a volte pare andare addirittura in senso contrario, d’altra parte l’ispirazione ideale che caratterizza, seppure in modo disomogeneo, questa parte politica non è fra quelle da cui nacque la Costituzione che esclude nella sua essenza ogni scivolamento nel populismo, ogni antistorico nazionalismo e supponente sovranismo.

Fra le culture costituzionali, oltre a quella socialista ed a quella liberale, c’è, e in misura assai significativa, quella cattolico democratica  che dovrebbe essere particolarmente sensibile alla crisi che attualmente tormenta la nostra democrazia. e qui il discorso ci interessa molto da vicino. Penso all’inquietudine dei cattolici che non si sentono presenti e rappresentati in modo significativo nella vita politica, ed alle iniziative che nascono periodicamente per creare un soggetto politico “cattolico” o ispirato dai cattolici, iniziative che, pur promosse da persone autorevoli e degne della massima stima, sono velleitarie e destinate a finire nel nulla. Si cerca una caratterizzazione specifica e quasi sempre si ricorre ai temi etici affrontati in modo dogmatico e in contrapposizione preconcetta alle rivendicazioni “laiche” tanto più ostentate, talvolta con manifestazioni di cattivo gusto, quanto più respinte ideologicamente. Credo che i cattolici dovrebbero prestare maggiore attenzione a Papa Francesco che parla di una “Chiesa in uscita” che incontra e non condanna ma annuncia e dialoga, si pone in ascolto rispettando il pensiero dell’interlocutore perché il mondo si evolve, il pensiero e la cultura creano novità e diventa importante riconoscere la verità nascosta in ogni espressione di umanità.

In politica è importante il pensiero di cui si è portatori ma anche la possibilità di incidere concretamente e  di assumere responsabilmente il governo: a tale proposito penso che i cattolici dovrebbero imparare a convivere con chi è diverso da loro, in particolare con chi condivide i medesimi intenti e le medesime convinzioni sul piano sociale, pur con qualche diversità sul piano etico e religioso, e, nel caso specifico dell’attuale situazione politica, porsi l’obiettivo dell’attuazione dei principi della Carta Costituzionale.  Si tratta di principi su cui si sono affaticati uomini come La Pira, Dossetti, Moro…grandi testimoni della fede cristiana.   Per produrre la Costituzione quegli uomini si sono uniti a socialisti e liberali, le stesse ispirazioni che hanno dato origine all’attuale Partito Democratico: questo partito potrebbe essere lo strumento, efficace anche perché consistente politicamente,  per una presenza  di cattolici. Naturalmente la convivenza con ispirazioni diverse richiede disponibilità al confronto ed alla mediazione, ma questo dovrebbe essere connaturato con i cattolici che credono nella democrazia, e il confronto esige un pensiero vivo e alimentato, non rigido e fossilizzato, di cui ognuno che se ne fa portatore dovrebbe sentirsi responsabile.  Il Vangelo, infatti,  non è un bene imparato nel catechismo dell’infanzia, da conservare e difendere intatto nel frigorifero ma è una parola di vita per gli uomini di ogni tempo e deve interessare anche la politica, un servizio che richiede cristiani che credono e che maturano la loro fede in una società che, a sua volta, matura anche attraverso di loro!

Questa può essere considerata la posizione culturale e politica dell’associazione Agire Politicamente che ha considerato positivamente la fine dell’”unità politica dei cattolici”, peraltro solamente presunta, e si è impegnata, nei limiti delle proprie possibilità, nella qualificazione della presenza dei cattolici democratici nel legittimo pluralismo delle espressioni politiche presenti nel Paese.           

2 Comments

  1. L’obiettivo dell’attuazione dei principi della Carta Costituzionale è certo condivisibile. Ma mi sembra però un po’ poco per costituire la cultura politica di un partito. Perché tutti i partiti devono porsi l’obiettivo di attuare i principi della Carta costituzionale, e il problema è che ognuno di questi partiti persegue questo obiettivo a seconda dei suoi orientamenti. Orientamenti più o meno progressisti, più o meno conseratori, più o meno liberali. De Gasperi, Aldo Moro, Dossetti, e anche tanti altri, sono stati grandi uomini che meritano un grande rispetto, ma la situazione oggi è molto diversa, e anche molto più contraddittoria e complicata. Non è sufficiente evocare questi grandi uomini del passato per costruire oggi una cultura politica che possa essere di guida e sostegno a un partito.

  2. Caro Ruini, ha perfettamente ragione nell’osservare che la Costituzione non è un programma politico di governo, ma ogni programma formulato per il governo del nostro Paese deve essere ispirato alla Costituzione che rappresenta il pensiero da cui è nata la nostra Repubblica dopo l’esperienza della rovinosa dittatura, e quella Costituzione è scaturita dalle migliori ispirazioni che vi hanno trovato un’altissima sintesi. La preoccupazione che non ci può lasciare sereni è che quella cultura costituzionale si vada perdendo, e ne evidenzio alcune prove, e allora faccio appello al Partito Democratico che ha inteso nascere da quelle medesime ispirazioni, perchè ne faccia la bussola della propria politica nella quale ritrovo l’autenticità dell’impegno dei cattolici democratici.

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