Bonhoeffer, Turoldo, Martini: l’attesa del Natale

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Riportiamo tre brevi testi che ci aiutano, in modi diversi, a sentire con più verità e sobrietà i giorni di questa ricorrenza, così cara, così abusata, così  capace di rigenerare il nostro animo

 

 

Festeggiare l’Avvento

di Dietrich Bonhoeffer (2 dicembre 1928)

 

Festeggiare l’Avvento significa saper attendere: attendere è un’arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato.

Esso vuole staccare il frutto maturo non appena germoglia; ma gli occhi ingordi vengono soltanto illusi, perché un frutto apparentemente così prezioso è dentro ancora verde, e mani prive di rispetto gettano via senza gratitudine ciò che li ha delusi.

Chi non conosce la beatitudine acerba dell’attendere, cioè il mancare di qualcosa nella speranza, non potrà mai gustare la benedizione intera dell’adempimento.

Chi non conosce la necessità di lottare con le domande più profonde della vita, della sua vita e nell’attesa non tiene aperti gli occhi con desiderio finché la verità non gli si rivela, costui non può figurarsi nulla della magnificenza di questo momento in cui risplenderà la chiarezza; e chi vuole ambire all’amicizia e all’amore di altro, senza attendere che la sua anima si apra all’altra fino ad averne accesso, a costui rimarrà eternamente nascosta la profonda benedizione di una vita che si svolge tra due anime.

Nel mondo dobbiamo attendere le cose più grandi, più profonde, più delicate, e questo non avviene in modo tempestoso, ma secondo la legge divina della germinazione, della crescita e dello sviluppo.

Comprendete l’ora della tempesta e del naufragio, è l’ora della inaudita prossimità di Dio, non della sua lontananza.

Là dove tutte le altre sicurezze si infrangono e crollano e tutti i puntelli che reggevano la nostra esistenza sono rovinati uno dopo altro, là dove abbiamo dovuto imparare a rinunciare, proprio là si realizza questa prossimità di Dio, perché Dio sta per intervenire, vuol essere per noi sostegno e certezza.

Egli distrugge, lascia che abbia luogo il naufragio, nel destino e nella colpa; ma in ogni naufragio ci ributta su di Lui.

Questo ci vuole mostrare: quando tu lasci andare tutto, quando perdi e abbandoni ogni tua sicurezza, ecco, allora sei libero per Dio e totalmente sicuro in Lui.

Che solo ci sia dato di comprendere con retto discernimento le tempeste della tribolazione e della tentazione, le tempeste d’alto mare della nostra vita!

In esse Dio è vicino, non lontano, il nostro Dio è in croce.

La croce è il segno in cui la falsa sicurezza viene sotto posta a giudizio e viene ristabilita la fede in Dio.

 

(Da Dietrich Bonhoeffer, Voglio vivere questi giorni con voi, a cura di M. Weber, Editrice Queriniana, Brescia 2007, pag. 37).

 

 

Preghiera di Natale

di David Maria Turoldo  (1991, pochi mesi prima di morire)

 

La tristezza di questi natali

Signore, ti muova a pietà.

Luminarie a fiumane,

ghirlande di false costellazioni

oscurano il cielo di tutte le città.

Nessuno più appare all’orizzonte:

nulla che indichi l’incontro con la carovana del Pellegrino;

non uno che dica in tutto l’Occidente:

“Nel mio albergo sì, c’è un posto”!

Non un segno di cercare oltre,

un segno che almeno qualcuno creda,

uno che attenda ancora colui che deve venire…

Non attendiamo più nessuno!

Tutto è immoto, pure se dentro un inarrestabile vortice!

 

È così, è Destino, più non ci sono ritorni,

né ricorsi: è inutile che venga!

Tale è questa civiltà gravida del Nulla!

Ora tu, anche se illuso di credere

o figlio dell’ateo Occidente, segui pure la tua stella

– così è gridato per tutta la città dai vessilli –

segui, dico, la stella e troverai cornucopie vomitare leccornie,

o non altro che spiritati manichini di mode folli in volo dalle vetrine…

Poiché falso è questo tuo donare (è Natale!),

falso perfino stringerci la mano avanti la Comunione,

e trovarci assiepati nella Notte a cantare “Gloria nei cieli … “.

Un amaro riso di angeli obnubila lo sfavillio dei nostri presepi,

Francesco cantore di perfette, tragiche letizie:

pure se un Dio continuerà a nascere,

a irrompere da insospettati recessi:

là dove umanità alligna ancora silenziosa e desolata:

dal sorriso forse di un fanciullo della casba a Daccà, o a Calcutta…

Nessuno conosce solitudine come il Dio del Cristo:

un Dio che meno di tutti può vivere solo!

Certo verrà, continuerà a venire,

a nascere ma altrove,

altrove…

 

(Da Il sapore del Pane, San Paolo, 2002)

 

 

Il Natale di un tempo oscuro (2008)

di Carlo Maria Martini

 

Forse, per comprendere meglio il mistero del Natale, dovremmo fare astrazione, almeno per un certo periodo, da quelle immagini con cui la fantasia ha ammobiliato la nostra mente e che ricorrono quasi necessariamente quando pronunciamo questo nome. Si tratta per lo più di immagini prese dal racconto del Vangelo secondo Luca. Esso ci lascia un’impressione di luminosità e di serenità: una grande luce compare sulla terra (Lc 2,9), si ode il cantico di pace di una moltitudine dell’esercito celeste (Lc 2, 13-14), mentre con i pastori andiamo ad adorare il bambino che è nato (Lc 2, 15) e incontriamo Maria e Giuseppe che contemplano il loro primogenito (Lc 2, 16).
Tutto questo è vero e fa parte del mistero del Natale. Ma è importante anche ricordare il contesto oscuro in cui tutto ciò avviene. Un viaggio faticoso da Nazaret a Gerusalemme per soddisfare la vanità di un imperatore, le pesanti ripulse ricevute da Giuseppe che cerca un posto dove possa nascere il bambino, il freddo della notte, il disinteresse con cui il mondo accoglie il figlio di Dio che nasce. E su tutto questo grava una pesante cappa di grigiore, di incredulità, di superficialità e di scetticismo, evidenziata nelle gravissime ingiustizie presenti allora nel mondo. Non si può dire che il contesto del primo Natale fosse un contesto di luce e di serenità, ma piuttosto di oscurità, di dolore e anche di disperazione.

Il mistero del peccato
Anche oggi, come allora, possiamo lamentarci di vivere in un periodo particolarmente oscuro e difficile. Basta pensare alla pesante crisi economica che mette tante famiglie in difficoltà, all’ingiustizia globale, alla crescente intolleranza verso gli stranieri e i poveri. Si aggiungano le tensioni religiose, gli smarrimenti delle giovani generazioni. Non sappiamo dire se il nostro contesto sia più oscuro e pesante di quello del primo Natale. D’altra parte è difficile che si possa trovare nella storia dell’umanità un contesto veramente favorevole all’uomo e alla sua dignità. Questo fa parte del mistero del peccato, che è un mistero di assurdità e di irrazionalità.
In tale quadro possiamo chiederci: come opera il mistero del Natale? Come affronta un contesto ostile o indifferente? Che cosa sa dire per il vero bene e la dignità dell’uomo?
In primo luogo appare chiaro che il mistero del Natale è un mistero di modestia e di piccolezza. Non ha la pretesa di introdurre modifiche di grande livello, che mutino il contesto in tempi brevi.

E tuttavia il mistero del Natale introduce nel cammino storico dell’uomo quegli atteggiamenti quasi impercettibili, ma che permettono di cogliere la verità dei rapporti e di modificarli nel senso di un rispetto dell’altro, di una riverenza e di un’accettazione tali da poter influire anche su contesti più ampi.

Tre segnali di speranza

Alcuni di questi atteggiamenti riguardano ogni tempo e situazione. Altri sono più specifici del nostro tempo e ad essi vorrei invitare a dare uno sguardo privilegiato. Ne segnalo tre.
Anzitutto un crescente amore e desiderio della Parola di Dio, specialmente di quella contenuta nella Bibbia. (…). Soprattutto vorrei ricordare, in questo amore alla Parola di Dio, la crescente capacità dei laici di leggere le Scritture e di pregare a partire da esse. Se si giungerà così a compiere finalmente il voto del Concilio Vaticano II (cfr Dei Verbum, n. 26), avremo un segnale di speranza che non deluderà.
Vorrei ricordare, come secondo segnale, il crescente desiderio di apertura ecumenica e interreligiosa, che vuole contrastare efficacemente le chiusure etniche e confessionali.
Ma soprattutto vorrei menzionare una serie di gesti che ho conosciuto in Israele che, non nascendo da un terreno propriamente biblico o cristiano, mi sono sembrati fiori purissimi germinati per opera dello Spirito Santo, che mostra la sua presenza anche nelle pieghe più difficili del mondo di oggi. Si tratta di famiglie ebraiche e palestinesi, che hanno subito ciascuna un lutto grave a causa della violenza (per esempio una ragazza uccisa in un attentato terroristico o un giovane ucciso in operazioni di guerra). Ora, invece di crogiolarsi nel desiderio di vendetta, queste persone si sono chieste: ma se io soffro tanto a causa di questa violenza ingiusta, quale sarà la sofferenza dell’altra parte per una violenza analoga? Così queste persone si sono cercate, hanno parlato e pianto insieme, e hanno elaborato insieme iniziative di pace e di riconciliazione coinvolgendo anche altri.
Questo fiore del Vangelo nato in un terreno non religioso mi è sembrato un segnale importantissimo della presenza di Dio in ogni cuore e mi dà motivo di speranza anche in un contesto oscuro e difficile come il nostro.

 

(da “Popoli”, rivista dei gesuiti, dicembre 2008)

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