Ascolto e parresia nella Chiesa (a proposito di un commento di Franco Agnesi)

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Giorni fa abbiamo segnalato un articolo del gruppo pugliese Manifesto4ottobre in cui erano contenuti racconti di due esperienze vitali di chiesa, una a Pallanza nel Novarese e una a Palermo, segnate dalla diffidenza che, ad un certo punto, è sopraggiunta da parte dell’autorità ecclesiastica. L’articolo, che portava come titolo “Racconti di pecore che non vogliono restare pecore”, ha suscitato l’interesse e il commento, non positivo, di Franco Agnesi, vescovo ausiliare di Milano e tra i lettori del nostro sito. In particolare, il commento si riferiva al racconto riguardante la comunità di Pallanza. Abbiamo pertanto chiesto all’autore di quel racconto se riteneva di voler di rispondere alle osservazioni del vescovo Agnesi.

L’articolo che qui pubblichiamo, oltre ad essere una replica (amara) all’autore del commento, rinvia a un documento, consegnato al vescovo di Novara nel febbraio 2020, che ci consente di conoscere un po’ meglio lo spirito di questa esperienza di chiesa. (Nella foto don G. Giacomini e don G. Massironi)

 

 

Ascolto e parresia sono i due atteggiamenti che papa Francesco aveva invitato ad assumere durante lo svolgimento del primo sinodo del suo pontificato. Molte volte è intervenuto contro il vizio della mormorazione, atteggiamento molto diffuso nelle comunità cristiane in particolare nei confronti dell’autorità, da parte dei vescovi nei confronti del papa, dei preti nei confronti dei vescovi e dei battezzati nei confronti del proprio parroco. Mormorazione alle spalle e adulazione di fronte. Apprezzo pertanto che il vescovo Franco Agnesi, sul racconto da me fatto da voi ripreso e pubblicato sul vostro sito, dica con chiarezza come la pensi. Con altrettanta franchezza e parresia a mia volta desidero rispondere. L’ascolto senza parresia è da sudditi, parresia senza ascolto è da arroganti.

Quando non si fa lo sforzo di ascoltare e si esprimono giudizi su realtà e persone che non si conoscono si diventa più demolitori che costruttori di futuro.

È davvero curioso comunque che si chieda alla redazione di “C3dem” di contestualizzare gli articoli che riproduce sul proprio sito da parte di chi non conosce la realtà e le persone nei confronti delle quali esprime severi giudizi.

Sono tutte benvenute le critiche e le correzioni fraterne, non quelle fatte a prescindere.

Si rimprovera uno sguardo rivolto al passato, chiuso nella logica del “sì è sempre fatto così”, si rileva un certo clericalismo e si critica una scarsa sensibilità ecclesiale che imporrebbe una maggiore comunione “con” il vescovo che sarebbe negata dalle osservazioni critiche sulle scelte che sono state fatte e che condizioneranno tantissimo il cammino della nostra comunità. È per me imbarazzante rispondere ad una descrizione della nostra realtà che mi sembra molto lontana da quella che è e che certamente non è ricavabile da quanto ho scritto.

Anzitutto proprio l’esprimere giudizi severi su realtà che non si conoscono è segno di clericalismo. Ci si ritiene tanto al di sopra degli altri dal sentirsi esonerati dalla fatica della conoscenza che accomuna tutti i mortali. E credo che appartenga alla stessa logica “clericale” il chiedere preventivamente scusa se quanto si afferma non corrisponde al vero: se non si è certi, meglio tacere.

Ciò che non accettiamo di quanto ci è capitato è anzitutto il modo in cui sono stati predisposti i cambiamenti di parroci, senza alcun coinvolgimento delle comunità, l’aver allontanato tutti i preti che in qualche misura hanno accompagnato il nostro cammino, l’essere entrati a gamba tesa sulle liturgie da noi celebrate, in una comunità in cui la liturgia domenicale era diventata un momento molto importante e significativo.

Nel corso dei decenni sono stati vari i tentativi di “normalizzare” la nostra esperienza, non riusciti anche grazie alla presenza di presbiteri evangelici e coraggiosi che hanno accompagnato il nostro cammino secondo i grandi orientamenti conciliari di una chiesa anzitutto popolo di Dio (Lumen gentium), di una chiesa in dialogo con il mondo e non in contrapposizione (Gaudium et spes), di una chiesa che mette al centro l’ascolto della parola di Dio (Dei Verbum), di una chiesa tutta che celebra la liturgia (Sacrosanctum concilium). Con tutti i nostri limiti abbiamo cercato di guardare avanti, senza nostalgie preconciliari. Progressivamente ci siamo assunti crescenti responsabilità nell’ascoltare la parola di Dio contenuta nelle Scritture, nel celebrare la liturgia, nel farci prossimi a chi è nel bisogno. Purtroppo i laici nella chiesa continuano a contare poco o nulla, non hanno poteri decisionali e possono essere facilmente messi a tacere. E il venir meno di figure di preti coraggiosi sembra rendere impossibile la prosecuzione di un cammino.

È davvero curiosa l’accusa di voler essere attaccati al passato, al si è sempre fatto così…. Anche durante questo periodo di pandemia l’impegno è stato proprio quello di non ritenerla una pura parentesi, ma l’occasione propizia per superare la visione di un culto confinato nelle chiese e per rendere anche le nostre case luoghi di ascolto, di preghiera, di celebrazioni di liturgie della parola… Da venti mesi tramite piattaforme ci ritroviamo per commentare le Scritture domenicali e proponiamo settimanalmente delle liturgie della parola.

In gioco ci sono i temi oggi decisivi della sinodalità come stile ecclesiale, della ministerialità, per una chiesa tutta ministeriale e in cui il ministero del prete va ripensato a partire dal primato del popolo di Dio (i presbiteri non possono più essere catapultati dall’esterno e dall’alto), di una liturgia che torni ad essere centrale nella vita di una comunità, che sia non autoreferenziale ma ospitale, capace di guardare oltre i propri confini per rintracciare la presenza dello Spirito ovunque si manifesti, che sia ricca di umanità (sono le tre consegne che la chiesa italiana riunita a Firenze nel 2015 ci ha dato in campo liturgico e che abbiamo preso seriamente in considerazione).

La comunità della quale faccio parte durante l’ultimo decennio ha partecipato attivamente alla fase locale del sinodo della chiesa novarese, elaborando e offrendo svariati contributi alla riflessione comune.

Il 9 febbraio del 2020 il nostro vescovo aveva presieduto la celebrazione dell’eucaristia nella nostra comunità di Santo Stefano a Pallanza, in occasione della visita pastorale, e non aveva mosso alcun rilievo al nostro cammino che gli avevamo illustrato a voce e per iscritto.

In quella presentazione, che alleghiamo, dopo aver tratteggiato la nostra storia e indicato gli orientamenti di fondo che hanno guidato il nostro cammino (ascolto della Parola, centralità dell’eucaristia, sinodalità, ecumenismo, solidarietà), concludevamo con questa osservazione: “A volte ci riesce difficile capire come mai nella nostra chiesa sembrano far più problema quelle comunità che sono in cammino e in ricerca, che assaporano la bellezza del ritrovarsi insieme il giorno del Signore per condividere pane e parola, che si interrogano sul senso del loro credere, che desiderano essere e diventare adulte, che sentono il dovere di prendere la parola, che cercano di offrire un proprio originale contributo…”.

Un’ultima considerazione. In ambiente cattolico c’è l’usanza di scrivere o di dire “con”, mentre in realtà si pensa “sotto”.

Si parla di comunione “con” il vescovo, ma la si intende come comunione “sotto” il vescovo, dimenticando che il pastore sta non solo davanti, ma anche in mezzo e dietro.

Si parla di sentire “con” la chiesa, ma la si intende come un sentire “sotto” la chiesa. Nella chiesa la comunicazione rimane sempre unidirezionale, dall’alto verso il basso…

Non sono le premesse giuste per un percorso sinodale… Questa mentalità riduce le comunità ad essere solo ripetitive, esecutrici (questo sì che è guardare al passato, al si è sempre fatto così), e non creative, capaci di ricevere e comunicare esperienze.

Il sentire “sotto” produce uniformità, il sentire “con” produce unione nella diversità, quella del poliedro. Quante ingiustizie si sono giustificate in nome della chiesa e del suo buon nome, come insegna lo scandalo degli abusi sessuali. E la severità di giudizi ingiusti si ripercuote su chi li pronuncia.

 

Giancarlo Martini

Presentazione della comunità di Santo Stefano di Pallanza al vescovo di Novara (febbraio 2020)

 

Nota redazionale: può essere utile, per capire meglio il contesto, e le origine, di questo cammino di chiesa giunto a uno snodo difficile, leggere anche un articolo pubblicato da Adista Segni Nuovi nel 2011, La buona stampa dei “cristiani adulti”,  in cui si ripercorre la vicenda di don Girolamo Giacomini, parroco a Pallanza dal 1958 al 1990.

2 Comments

  1. Sono uno dei redattori del Manifesto4ottobre a cui Giancarlo Martini ha affidato la storia della liquidazione della sua comunità. Ci ha fatto un grande onore questo affidamento. Perché dire ciò che si pensa stando in piedi è molto importante in questo tempo cruciale per la chiesa cattolica in specie italiana. L’occasione del Sinodo italiano sta facendo venire fuori esperienze e sensibilità tenute sotto vuoto spinto per tanti anni. Non è prevedibile ancora l’effetto che questa emersione produrrà. L’esperienza di Pallanza non pare abbia esaurito la propria spinta progressiva e può essere di esempio per altre realtà tentate forse di abbandonare la lotta per una chiesa cattolica più libera dal potere e più vicina al Concilio Vaticano II.

  2. Avendo avuto la fortuna di incontrare personalmente (da ospite amico) la comunità di Pallanza e di apprezzarne l’esperienza, vorrei esprimere, in maniera molto mite, un pensiero semplice (e radicale).
    Il ‘caso Pallanza’ è veramente emblematico e meriterebbe di essere conosciuto largamente a livello nazionale.
    Perché è emblematico? Perché abbiamo un’esperienza ecclesiale lunga e consolidata (‘probata’) che ha espresso una vera vitalità spirituale di attuazione del Concilio. Nel momento in cui si avvia un cammino sinodale nazionale ci si aspetta che esperienze come questa vengano ascoltate, valorizzate, fatte conoscere (come buone pratiche possibili). E invece vengono ‘spente’.
    Mi pare che, ridotto al suo ‘cuore essenziale’, il “caso Pallanza” esprima limpidamente un problema radicale.
    E il fatto che non si avverta questa evidenza semplice è un altro aspetto dello stesso problema radicale.
    Se, contrariamente alle mie intenzioni, ho offeso la sensibilità o la suscettibilità di qualcuno, me ne scuso.

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