Riforma del Senato: non è urgente, piuttosto è un rischio per la democrazia

| 4 Comments

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. L’autore è presidente del Circolo G. Toniolo di Reggio Emilia ed è stato consigliere regionale per il Partito popolare

 

Da mesi la politica italiana è concentrata sulla riforma costituzionale del Senato da attuarsi come priorità assoluta, quasi fosse la soluzione di tutti i mali del nostro Paese.

I dati Istat dimostrano invece che la nostra economia, dopo sei anni di crisi, tende a peggiorare, che si aggrava il problema dell’occupazione, che aumenta la povertà, che si accrescono le diseguaglianze.

E questo in presenza di una crisi morale, evidenziata anche dagli scandali del Mose e dell’Expo, e a fronte di reali pericoli per la pace (le vicende dell’Ucraina, della Palestina, della Libia, della Siria, dell’Irak) e di gravi questioni umanitarie quale quella dei migranti sulle nostre coste.

Perché allora questa ossessione per il Senato? Si vuol far credere che la sua riforma è chiesta dall’Europa, nella quale invece a nessuno interessa il nostro Senato. L’urgenza vera è invece reperire risorse per rimettere in moto l’economia e per incentivare l’occupazione, spostando il carico fiscale dalle imprese e dal lavoro ai redditi personali, verso i quali la tassazione deve essere progressiva come prescrive la Costituzione.

Se si volevano ridurre velocemente tempi e costi della politica bastava, intanto, dimezzare il numero di deputati e senatori e creare una commissione bicamerale di armonizzazione dell’esame delle leggi. Uno studio recente ha messo in evidenza che lo stesso risparmio per lo Stato, da destinare poi agli aiuti alle imprese e alle famiglie, si otterrebbe dimezzando le ancora alte indennità dei deputati (630) e dei senatori (350) in carica.

Una eventuale modifica del funzionamento del Senato deve essere studiata con la ponderazione, la serenità e la condivisione necessarie in caso di riforme costituzionali, non con l’assillo dell’urgenza.

Anche perché, per comprendere la portata della riforma del Senato, bisogna inquadrarla nel complessivo progetto della nuova legge elettorale, elaborata da Renzi e Berlusconi, che, in nome della “governabilità”, prevede la nomina dei deputati da parte delle segreterie dei partiti, indebiti premi di maggioranza e una riduzione drastica degli spazi di partecipazione popolare e di rappresentanza politica.

Con la modifica del Senato e la nuova legge elettorale si vuole creare un sistema politico al servizio di un premier, che nominerà il Presidente della Repubblica, la maggioranza della Corte Costituzionale e del CSM. Sarebbe la realizzazione di quel presidenzialismo da sempre nei piani della destra, una dittatura in veste di democrazia senza controlli e contrappesi. Un presidenzialismo che, sottotraccia, non è nuovo a certe componenti della sinistra, al decisionismo tout court che dovrebbe valere sia per gli interventi della mano pubblica sia per le regole (preziose e fondamentali) della nostra democrazia rappresentativa. Significherebbe rovesciare lo spirito della nostra Costituzione. Ciò che sta accadendo al Senato e la dimostrazione di giorni fa di oltre cento senatori che hanno abbandonato l’aula per esprimere il loro dissenso direttamente al Capo dello Stato, dà la misura del “golpe bianco”, come ha detto qualcuno, che un Parlamento di nominati e illegittimo sta per compiere.

Cosa pensano tutti quei “super” cattolici di sinistra, i dossettiani di tutte le stagioni, i cattolici democratici dell’Ulivo, ecc. ecc. di questa  grave situazione? Nel PD reggiano, ad esempio, non c’è nessuna voce di dissenso, neanche flebile, magari confessata senza avere il coraggio di dichiararla, tutti appiattiti sulle convenienze e sugli opportunismi del momento, pensare alle candidature in Regione, ad esempio, e sulle poltrone o gli strapuntini del potere o sottopotere locale. Che tristezza!

Credo che anche noi popolari, i cosiddetti “Dc non pentiti”, dovremo scendere in piazza a protestare per votare un Parlamento legittimo e un’assemblea costituente funzionale al processo riformatore di cui l’Italia ha bisogno.  O almeno, visto che siamo poco organizzati, e abbiamo subito una diaspora dolorosa, contro questo disegno dobbiamo appellarci al senso civico e politico dei cittadini, perché difendano la Costituzione e chiedano che la politica si concentri sulle vere urgenze del paese: il rilancio dell’economia, la creazione di nuovi posti di lavoro, l’impegno per la pace nel mondo.

Luigi Bottazzi, presidente del Circolo G. Toniolo di Reggio Emilia
 

4 Comments

  1. Mi spiace di dover dissentire da Bottazzi, ma credo che vi siano alcune incomprensioni di fondo.
    La prima – ripetuta cento volte da cento pulpiti giornalistici e televisivi, ma non meno falsa per questo – è che il Parlamento sarebbe delegittimato. Mentre invece la Corte costituzionale, nelle motivazioni della sentenza 1/2014, ha chiarito che illegittima era in alcune sue parti la legge elettorale del 2005, mentre le due Camere sono pienamente legittimate a legiferare, anche in materia elettorale e costituzionale, e detta alcuni criteri per la riforma della legge elettorale lasciando, come è ovvio, ampia autonomia al Parlamento per il resto.
    Non mi sembra inoltre che il meccanismo previsto per superare il bicameralismo perfetto implichi di per se stesso il passaggio al presidenzialismo (che non vorrei per l’Italia ma che è comunque cosa diversa dalla dittatura) : alcuni anzi dicono che dal 2011 viviamo a Costituzione invariata in uno stato di presidenzialismo di fatto, visto il compito di supplenza assunto dal Capo dello Stato dopo la rovinosa caduta dell’ultimo Berlusconi e la scarsa autorevolezza dei Governi Monti e Letta. Forse proprio con il Governo Renzi la politica sta cominciando faticosamente a risalire la china.
    Il richiamo poi alla ponderazione e alla serenità, con tutto il rispetto, fa sorridere: per anni si è serenamente ponderato nelle varie commissioni bicamerali, e ponderando ponderando (ma sempre serenamente) si è lasciato che la situazione arrivasse a questi livelli, con una Carta costituzionale delegittimata agli occhi dei cittadini dalle continue discussioni e però senza che alcuna riforma arrivasse a buon fine (ovviamente fu giusto opporsi alla riforma della destra con il referendum del 2006, vista la sua unilateralità). Ora finalmente si decide, e la politica è finalizzata non alla discussione ma alla decisione ( o meglio la discussione è preliminare alla decisione).
    Quanto ai dossettiani, al di là di certe critiche che mi paiono ingenerose, debbo rilevare innanzitutto che già lo stesso Dossetti fin dal 1951 aveva manifestato le sue perplessità sul bicameralismo perfetto, e comunque molti costituzionalisti di area cattolico democratica (a partire da Enzo Balboni, forse il maggior conoscitore del pensiero costituzionale dossettiano) hanno apprezzato lo schema della riforma dicendo che con esso il nostro Paese passa non ad una democrazia autoritaria ma ad una “democrazia autorevole”, quella che decide, appunto. A me pare un passo avanti.

  2. La riforma corrisponde alla tesi 4 dell’Ulivo del 1996. Per questo non ci sino critiche sensate se non per segnalare che siamo in ritardo di decenni

  3. Ma davvero nel 2014 vorremmo conservare il Senato come seconda Camera legislativa? Non sottolineo che in nessun paese europeo abbia questa funzione(ognuno ha la sua storia); ma nel terzo millennio e in presenza di nuove tecnologie non possiamo permetterci il palleggio legislativo continuo. Si possono citare molti casi, ma trovo eclatante (e intollerabile) che la legge sulla violenza sessuale – che non costava una lira allo Stato perché trasferiva lo stupro dai reati contro la morale a quelli contro la persona ed era una norma richiesta da tutte le donne, cioè il 52 % dell’elettorato – sia stata in campo per 20 anni e 7 legislature. Né un legislatore né un magistrato debbono poter avere impedimenti procedurali così insensati nell’esercizio delle loro funzioni.

  4. Resta il fatto, sottolineato da Bottazzi, che pur avendo aspettato decenni la riforma del Senato forse al momento non è prioritaria. Non rispetto ad alcuni interventi di politica economica e fiscale che dovrebbero essere finalizzati a consolidare il sistema industriale prima che sopraggiunga un collasso, ad allargare la base occupazionale, a riequilibrare la distribuzione della ricchezza, a restituire capacità di spesa alle famiglie di lavoratori dipendenti e pensionati che l’hanno persa, per sostenere la domanda interna prima che il sistema economico e sociale crolli. Su questi temi non si può aspettare, non ci sono dieci anni di tempo. E non si può pensare seriamente che tali problemi si possano risolvere semplicemente con il bonus di 80 euro, con l’abbattimento del totem dell’art.18 e con la stabilizzazione dei insegnanti precari. Guardate che questa non è la retorica del “ci vorrebbe ben altro” ma semplicemente una valutazione dei problemi e delle misure messe in campo. E non mi pare che il Governo abbia un progetto chiaro e coerente per affrontare questa situazione. Renzi farebbe bene a rivedere la sua road map delle riforme, senza farsi influenzare da imprenditori e finanzieri rampanti, concentrandosi sul profondo disagio economico e sociale che, dopo essersi esteso negli ultimi 20 anni, ora si sta approfondendo (vedasi Rapporto Coop 2014 di ieri e ICC Confcommercio di oggi):

Lascia un commento

Required fields are marked *.