MATRIMONIO E INDISSOLUBILITÀ

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Giovanni Cereti,

Matrimonio e indissolubilità

nuova edizione, EDB, Bologna, pp. 360.

Giampiero Forcesi

Per più versi Matrimonio e indissolubilità, di Giovanni Cereti, è un libro affascinante. Pubblicato per la prima volta a pochi anni dalla fine del concilio Vaticano II, nel 1971, è rimasto, come il suo autore, per decenni oggetto di diffidenza e di emarginazione. Ha avuto soltanto ora, l’anno scorso, alla vigilia del sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia, l’autorevole riconoscimento del cardinale Walter Kasper che, nella sua nota e controversa introduzione al Concistoro del febbraio 2014, ne ha ripreso le tesi di fondo, citando anche espressamente il secondo volume che Cereti, sullo stesso tema, scrisse alcuni anni dopo, nel 1977 (Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva).

Nel libro  del ’71 Cereti offriva una ricostruzione puntuale, ma non accademica, della questione dell’indissolubilità del matrimonio nell’antico e nel nuovo testamento, e di come essa sia stata discussa anche alla luce delle scienze antropologiche. Seguiva un’analisi serrata del modo in cui la Chiesa nel corso della sua storia ha affrontato il problema della rottura del matrimonio e l’adulterio. Infine Cereti presentava una serie di tesi volte a suggerire alla chiesa di Roma di affrontare il tema in una prospettiva non giuridica ma evangelica, riconoscendo che quando un vincolo matrimoniale si è andato distruggendo è lo stesso sacramento a venire meno, e reintroducendo, come avveniva nella chiesa dei primordi, la disciplina penitenziale per i coniugi che sono stati incapaci di evitare  il fallimento del loro matrimonio, o che lo hanno colpevolmente determinato, con ciò rendendo loro possibile “una nuova partenza”, un nuovo matrimonio.

Matrimonio e indissolubilità è ora ristampato dalle Edizioni Dehoniane (ottobre 2014). Un anno prima è stato ristampato, da Aracne, il libro citato da Kasper (Divorzio, nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva), scritto nel ’77, in cui Cereti aveva documentato con più ampiezza come la chiesa nei primi secoli aveva affrontato la questione dei matrimoni falliti. Ma è nel volume del 1971 che Giovanni Cereti indica per la prima volta, e con lucidità e passione insieme, l’esigenza di trovare una soluzione nuova per i divorziati risposati. “A certe condizioni – scrive nella prefazione di allora – (e cioè una volta accertata l’irreparabilità assoluta della distruzione del primo matrimonio, l’autenticità del pentimento e della conversione, e una volta adempiuta la penitenza che al coniuge responsabile del fallimento del primo matrimonio la Chiesa può richiedere), la Chiesa potrebbe concedere una nuova partenza nel tentativo di vivere una vita cristiana. Perché l’indissolubilità del matrimonio è un valore altissimo, ma non è il più alto di tutti i valori: fede e amore sono i valori supremi (…). Sempre di più, cioè, le esigenze dell’evangelo devono essere intese in una prospettiva pasquale ed escatologica, che riconosce per ogni persona diversi tempi di crescita e che concede anche a colui il quale ha commesso il peggiore peccato di rialzarsi in piedi e di riprendere di nuovo il cammino”.

Quando Cereti ha scritto Matrimonio e indissolubilità aveva 37 anni. Nato a Genova nel 1933, si era laureato in Giurisprudenza ed era stato ordinato presbitero nel 1960. I dieci anni dal 1960 al 1970, prima di partire per la Repubblica Centro-Africana dove è rimasto tre anni per poi trasferirsi a Roma per studiare teologia dogmatica alla Gregoriana (insegnerà successivamente  teologia dogmatica e discipline ecumeniche in vari Istituti teologici e Facoltà ecclesiastiche), Cereti li ha trascorsi a Genova esercitando il ministero pastorale e poi lavorando presso il Tribunale ecclesiastico regionale. Entrambe queste esperienze lo hanno segnato. Si rese conto che nell’esercitare il ministero pastorale non faceva altro che esortare le persone a restare all’interno di situazioni matrimoniali che erano di fatto insostenibili, e, quanto al Tribunale ecclesiastico, nonostante la buona volontà di quanti vi operavano, le risposte che venivano date erano del tutto inadeguate e, spesso, erano più motivo di scandalo che di edificazione. Il libro che egli si accinge a scrivere alla fine degli anni Sessanta, quando “dopo il concilio Vaticano II – dice Cereti nell’introduzione alla nuova edizione, usando le parole del cardinale Martini – abbiamo avuto il privilegio di vivere gli anni più belli di tutta la storia della Chiesa”, si muove in una direzione fino ad allora inesplorata. “In Italia non esisteva ancora la legge sul divorzio – scrive Cereti nel 2014 – e molte delle prospettive aperte da questa ricerca erano all’epoca del tutto sconosciute”. Inesplorata, o quasi, in particolare, era l’istanza di passare dal sistema dei tribunali ecclesiastici, gli unici autorizzati ad affrontare il problema dei matrimoni finiti male, a un sistema penitenziale che aprisse il cammino ad una possibile assoluzione sacramentale e dunque autorizzasse un nuovo inizio in un secondo matrimonio. E molto inusuale, se non inedita, era la riflessione sul matrimonio come sacramento: il venir meno dell’impegno dei coniugi verso il loro matrimonio fa venir meno – sostiene Cereti – il sacramento stesso del loro matrimonio; gli sposi, cioè, sono responsabili della riuscita del loro matrimonio.

Ma l’elemento cruciale che ha reso così decisiva e tutt’oggi attualissima la ricerca di Cereti  – lui la chiama più volte così: una ricerca, o anche un’ipotesi di ricerca – è l’indagine condotta sulla prassi della Chiesa primitiva e, in particolare, l’aver messo in dubbio che nell’intera tradizione della Chiesa non si fosse mai acconsentito ad una persona un secondo matrimonio (tranne nel caso dei vedovi risposati). Cereti invita a riflettere sul fatto che il canone 8 del Concilio di Nicea del 325, con il quale la Chiesa ha rivendicato a sé, in polemica con i novaziani, il potere di rimettere tutti i peccati, anche i più gravi quali erano considerati l’apostasia, l’adulterio e l’omicidio, testimonia con evidenza che proprio quella era la prassi in vigore nella chiesa dell’epoca: la chiesa dei primi secoli praticava, attraverso la penitenza pubblica, la riconciliazione dei divorziati risposati,e dunque l’ammissione alla comunione ecclesiale ed eucaristica.

A quasi cinquant’anni di distanza dal libro di Cereti, il cardinal Kasper potrà dire che, se è vero che non è possibile ottenere dai testi neotestamentari e patristici completa chiarezza sulla pratica della Chiesa antica circa il ripudio per adulterio, “la cosa certa, però, è che nelle singole Chiese locali esisteva il diritto consuetudinario in base al quale i cristiani che, pur essendo in vita il primo partner, vivevano un secondo legame, dopo un tempo di penitenza avevano a disposizione una seconda nave, non un secondo matrimonio, bensì, attraverso la partecipazione alla comunione, una tavola di salvezza”. E Kasper osserva che ci sono buoni motivi per ritenere che questa pastorale della tolleranza, della clemenza e dell’indulgenza sia stata confermata proprio dal concilio di Nicea nel canone 8 rivolto contro il rigorismo di Novaziano, che escludeva dalla riconciliazione e dalla comunione coloro che vivevano in un secondo matrimonio.

La riedizione del libro di Cereti del ’71 (senza sostanziali modifiche) nasce, dunque, dalla consapevolezza dell’assoluta attualità delle tesi sostenute allora. In modo particolare, il cammino che Kasper, nel suo discorso al Concistoro,  suggerisce di percorrere per dare soluzione al problema dei divorziati risposati – cioè “la via della conversione, che sfocia nel sacramento della misericordia, il sacramento della penitenza” – ricalca in pieno la tesi nona sostenuta nella terza parte del libro di Cereti, “Per la restaurazione di una disciplina penitenziale”. “Personalmente – scrive oggi Cereti – sono grato al Signore per avermi concesso di vedere che viene preso in seria considerazione il frutto di ricerche sulle quali in qualche modo ho giocato tutta la mia vita e che, se riconosciute valide, dovrebbero consentire da una parte il riavvicinamento alla prassi di altre Chiese cristiane e dall’altra il ritorno alla Chiesa e alla vita sacramentale di innumerevoli persone in ogni parte del mondo”.

Se negli anni Settanta, e per molto tempo ancora, le tesi di Giovanni Cereti hanno incontrato diffidenza ed emarginazione, oggi quelle del cardinale Kasper, come sappiamo, conoscono “un feroce fuoco di sbarramento” (così lo chiama Cereti nella introduzione alla ristampa del suo libro). Ma papa Francesco, che ha voluto il sinodo sulla famiglia, ha incentrato molto del suo pontificato sulla nozione di misericordia; ad essa ha dedicato un anno giubilare; ed è anche con essa che ha avviato una nuova spinta di riforma della chiesa. Dunque, si può avere un certo ragionevole ottimismo. Con Kasper  (sono sue parole a conclusione del Concistoro del febbraio 2014) e con Cereti, che le aveva anticipate molti anni fa, “ci si deve chiedere sul serio se noi crediamo realmente nel perdono dei peccati, come professiamo nel Credo, e se crediamo realmente che uno che ha commesso uno sbaglio, se ne pente e, non potendolo eliminare senza nuova colpa, fa però tutto ciò che gli è possibile, possa ottenere il perdono di Dio. E allora possiamo noi rifiutargli l’assoluzione?” (Walter Kasper, Il Vangelo della famiglia, Queriniana, 2014).

Giampiero Forcesi

*Questa recensione uscirà anche sul sito della rete “I Viandanti”.

One Comment

  1. Siamo in molti con Cereti come sacerdote, maestro spirituale, amico di un vita, a gioire nel veder riconosciute le ricerche di una vita per lui e per quel che rappresentano anche per la vita di tanti credenti, e dell’intera Chiesa. Paola Gaiotti

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