La promessa di un Terzo Polo è fallita?

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di Sandro Antoniazzi

Il dissenso fra Calenda e Renzi sembra aver messo fine, almeno al momento, alla promessa della creazione di un Terzo Polo, che sembrava destinato ad assumere un peso e ruolo significativi.

E’ probabile che la responsabilità di questa lacerazione sia di entrambi.

Renzi è un tattico abilissimo, un “giocatore di biliardo a quattro sponde”: vede i punti di debolezza altrui, scruta ogni aggancio possibile, elabora e disfa proposte, inventa soluzioni di fantasia, che a volte persino funzionano.

Per fare questo, Renzi ha bisogno di avere le mani libere e forse un partito unico con Calenda segretario, non si presenta a riguardo come la soluzione più consona.

D’altronde quello che si prospetta al Terzo Polo è di stare all’opposizione, aspettando per lunghi anni la fine della legislatura: scenario ben poco allettante per Renzi, che infatti sembra già in movimento: vedi l’assunzione del ruolo di direttore de “Il migliorista” e qualche dichiarazione rivolta a destra, pensando al dopo Berlusconi.

Calenda si presenta invece come l’uomo deciso che va avanti dritto e a testa bassa per la sua strada, puntando sulla concretezza, sulla volontà e capacità di risolvere i problemi.

Dopo un risultato discreto alle elezioni nazionali (7,8%, discreto perché la speranza era di raggiungere le due cifre), le elezioni regionali successive sono state un vero e proprio disastro: un modesto 4,2% in Lombardia (superati dalla lista della loro rappresentante, Letizia Moratti, col 5,3%) e ancora peggio nel Friuli – Venezia Giulia: sono percentuali da piccolo partito, non di un medio partito di carattere nazionale.

Indubbiamente su questi risultati ha pesato la mancanza di strutture a livello locale (salvo una leggera presenza di Italia Viva), ma in ogni caso una forza nuova avrebbe dovuto avere un effetto di  “attrazione” che invece è mancato.

Calenda pensa di andare avanti dritto, senza guardare a destra e a sinistra, ma in realtà il suo calcolo consisteva nel portare via voti agli altri, particolarmente al PD; e infatti la sua “rottura” col PD in occasione delle elezioni nazionali gli ha procurato dei voti, ma ne valeva la pena?

Ora, Calenda si pone come una forza di mezzo, disposto a collaborare con tutti su singoli problemi: ma come è possibile collaborare con un governo di destra dotato di una maggioranza solida e sicura per l’intera legislatura?

E non viene in mente a Calenda che un accordo col PD sulle candidature maggioritarie non avrebbe evitato la maggioranza di destra, ma certamente ne avrebbe impedito la maggioranza assoluta?

Solo marginalmente e in modo del tutto secondario, Calenda potrà essere ascoltato dall’attuale maggioranza; in pratica la sua strategia non ha alcuna possibilità di esprimersi nei prossimi anni, proprio per la sua scelta elettorale (Renzi l’ha capito bene e si smarca).

Forse occorrerebbe andare alla radice dei problemi: pensare di costruire un partito sulla personalità dei capi, sull’attacco ai partiti vicini, sull’effetto degli annunci, non porta lontano.

Quello che si vede in questo momento è solo l’immagine di un assemblaggio non riuscito, ma se veramente si crede a un Terzo Polo allora ciò a cui bisogna mettere mano è una visione convincente: una prospettiva etica, politica, sociale che guardi al futuro.

Una visione che, secondo le migliori tradizioni delle forze di centro, non sia particolarista, ma tenda ad avere una visione generale inclusiva, che a volte le parti contendenti dimenticano: lavorare per decisioni che raccolgano il più ampio consenso, questo è il mito positivo di un partito di centro.

Purtroppo, né il pragmatismo attivista di Calenda, né il funambolismo di Renzi sembrano essere interessati a questo.

E’ un’occasione sprecata perché un partito di centro potrebbe avere un ruolo utile e importante nella realtà politica italiana, naturalmente se si trattasse di un vero partito con questo ruolo.

Anche Berlusconi in qualche modo aveva coperto   questa area e ancora oggi nella coalizione di destra tende ad accreditarsi come l’uomo di centro, più responsabile; ma quella è solo una visione del centro come una possibile fetta di elettorato fra cui raccogliere voti.

L’esistenza di un serio partito di centro costituirebbe un guadagno anche per il PD e la sinistra; il PD è un partito di centro sinistra che non può pensare di coprire l’intero arco dell’elettorato. E’ bene che ci siano più forze, con caratteri e ruoli distinti, però alleate o perlomeno in buoni rapporti.

Ma questa era l’ipotesi fino a ieri, ora bisogna aspettare per vedere che cosa succederà.

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