La destra del capo

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Non sono un giurista e non riesco a fornire nessuna valutazione tecnica dell’assoluzione in appello di Berlusconi al cosiddetto «processo Ruby». Sono saldamente convinto che non cambi niente dal punto di vista del giudizio politico su un personaggio che usava dei suoi poteri di governo in un certo modo e che si avvoltolava in una rete di comportamenti personali che lo mettevano a rischio continuo di ricatto e di minaccia. La storia giudiziaria dell’ex presidente del Consiglio non si ferma d’altronde a quell’assoluzione: sarà ancora lunga. Vedremo.

Ma l’occasione ha avuto in un certo senso un valore ulteriormente rivelatore. Ascoltare le reazioni politiche della destra in generale e del partito di Forza Italia in specifico, ha colmato la misura del grottesco e del ridicolo. C’è chi ha berciato di colpo di Stato (come se le dimissioni del 2011 fossero state una conseguenza del processo Ruby). Chi ha detto che si «imponeva» a questo punto la grazia come «minimo risarcimento» (come se fossimo al monopoli: scambiamo due carte e vediamo chi si avvantaggia). Chi ha invocato restituzione dell’agibilità politica (come se qualcuno avesse impedito in questi mesi a Berlusconi di far politica). Chi ha detto che la sentenza compensa vent’anni di accanimento giudiziario (come se bastasse così poco, rispetto alla montagna di ipotesi di reato emerse, alle prescrizioni e alle modificazioni di leggi per evitare condanne). Chi si è attaccato di nuovo all’ipotesi di una riforma della giustizia anti-giudici (come se chi ha assolto il capo fosse un marziano). Chi ha invocato il frusto scenario della «pacificazione» (come se ci fosse stata una guerra civile di sorta). Chi – udite, udite! – ha detto che questa assoluzione chiedeva di cancellare di per sé le conseguenze dell’altra condanna, ricordiamolo passata in giudicato (e qui abbiamo toccato il sublime)… Una rincorsa di servilismo e di illogicità a tutta prova. Una gara a chi la sparava più grossa. Uno spettacolo miserando.

E proprio per questo altamente rivelatore. Il triste declino del personaggio politico Berlusconi non è soltanto connesso all’anagrafe. Alla sua ormai manifesta difficoltà personale a esercitare un ruolo pubblico, che suscita perfino umanamente sentimenti di compatimento. Appare in quel declino una dimensione tragica, soprattutto per la rivelazione conclusiva dell’infimo livello della classe politica che negli anni il tycoon si è selezionato e portato dietro. Si fa fatica a vedere qualcuno in grado di emergere, di rappresentare un colpo d’ala, di esprimere un modo di vedere le cose un po’ meno legato alla mera meschina dipendenza dal «padrone». Insomma, la parabola politica di un ventennio di potere e di consenso non ha lasciato dietro di sé un’eredità minimamente credibile e politicamente spendibile senza il «capo». Una politica tutta verticistica ha alla fine cannibalizzato se stessa, e lasciato dietro di sé solo rovine.

Una  democrazia dell’alternanza, una moderna democrazia competitiva, ha bisogno per funzionare di una destra «normale», presentabile, politicamente motivata, socialmente qualificata, culturalmente attrezzata. In Italia questa non ci sarà finché il berlusconismo sarà superato definitivamente e dimenticato completamente. Impegnativo obiettivo, da cui sembra di essere ancora molto lontani.

Guido Formigoni

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