Il valore politico della cura

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di Salvatore Vento

L’etica della cura, nata innanzitutto come un’etica relazionale, ha finito per assumere un significato molto più vasto, fino ad indicare, con particolare forza nei continui appelli di papa Francesco, la responsabilità degli esseri umani nei confronti del creato, che dovrebbe diventare un programma coerente di comportamenti quotidiani e di prospettiva politica. In poche parole, si tratterebbe di verificare la possibilità di coniugare questi due differenti aspetti. Ecco perché il primo capitolo del libro parte da un’analisi di Paola Melchiori sul pensiero femminista, a cui dobbiamo le prime importanti considerazioni. La pandemia ha fatto emergere la necessità di una rivoluzione della cura che significa passare da un mondo in cui tutto assume un valore economico che si misura su prestazioni a un mondo in cui diventano fondamentali le relazioni umane basate sul rispetto dell’altro diverso da sé.

Partendo dalla cura si instaura un paradigma differente da quello del mercato e del profitto. Paola Melchiori, con l’analisi delle autrici maggiormente impegnate su questo versante (Carol Gilligan, Joan Tronto, Sala Ruddick, Geneveve Vaughan e l’unica donna italiana, Elena Pulcini), dimostra l’origine femminista di un pensiero che immette il privato nella concezione del sociale. La sociologa canadese Jennifer Nedelsky entra nel merito dei risvolti pratici ipotizzando un orario settimanale di 30 ore di lavoro retribuito e di 12 ore di lavoro domestico, sia per la donna che per l’uomo. Può sembrare un obiettivo lontano, l’importante è avviare un processo che si può realizzare progressivamente nel tempo. La prospettiva delineata cerca di indicare una via pratica per superare il non riconoscimento del lavoro domestico, e la sua naturalizzazione femminile. Il lavoro in questo caso non si misura in termini produttivi, è un valore umano, un valore sociale.

Anche il linguaggio ha la sua importanza e occorre superare la parola “badante” e sostituirla con quella di “assistente familiare”, come già indicato nel recente contratto nazionale di lavoro domestico firmato nel 2020. Nell’affrontare i problemi ecologici e sociali il principale avversario è il principio dello sviluppo illimitato, dello sviluppo fine a sé stesso che si misura soltanto in termine di PIL e che domina la nostra società. Quindi occorre passare da un principio economico a quel principio di responsabilità, già indicato nei lavori filosofici di Hans Jonas: agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra.

L’etica della cura, sostiene Sandro Antoniazzi, ha anche un valore pratico non trascurabile, che consiste nel fatto di essere semplice, facilmente comprensibile, alla portata di tutti e che tutti possono adottare tanto a
livello personale che sociale, un carattere non di poco conto in un momento di grande disorientamento. Come si sa, il lavoro di cura gratuito non è solo quello delle donne casalinghe, ma comprende anche quello dei nonni e le nonne, le relazioni di vicinato, le esperienze comunitarie, il variegato mondo del volontariato.  Due sono i momenti della vita più impegnativi che richiedono una maggiore attività di cura: da una parte, la maternità e la prima infanzia, dall’altra l’assistenza agli anziani non autosufficienti e ai disabili. Qui dovrebbe subentrare l’allargamento dello stato sociale, o meglio una ridefinizione dello stesso alla luce delle trasformazioni della famiglia e delle relazioni umane nel suo complesso. Per esempio, il ricovero di un anziano in una RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), aggiunge Antoniazzi, presenta un costo elevato e la scelta alternativa dell’assistenza domiciliare può risultare più conveniente, sia economicamente, sia soprattutto di attenzione umana, di maggiore umanizzazione. In Italia sono circa 2 milioni le assistenti familiari di cui il 60% del loro lavoro si svolge in maniera irregolare, non contrattualizzato. Il saggio di Rosalba Gerli si sofferma proprio sull’anali di esperienze concrete nelle RSA (il dramma degli anziani e degli operatori) durante la pandemia di Covid 19. Per fare questo lavoro, sottolinea Gerli, oltre alle competenze tecniche, bisogna possedere delle buone competenze
emotive che consentano un approccio empatico e rispettoso
dei corpi sofferenti dei ricoverati. L’ultimo saggio è di Gianni Tognoni (cura e salute nel mondo dei diritti) che conclude auspicando di vivere la post pandemia come tempo di sperimentazione di una civiltà democratica perché profondamente umana.
Mi sembra davvero attuale ripensare come aveva fatto Simone Weil  ai tre principi della rivoluzione francese: mentre libertà ed eguaglianza hanno animato le aspirazioni di grandi movimenti collettivi in tutti i tempi, occorre sviluppare l’ultimo elemento della triade: la fraternità o, per essere coerente col pensiero femminista, la sororità. Ai tanti autori e autrici citate nel libro vorrei aggiungere quella riferita ad Achille Ardigò, il quale, nel 1988 cercando di ridefinire una sociologia oltre il post-moderno si rivolgeva al pensiero che da Husserl portava a Edith Stein: conoscenza empatica delle persone come momento genetico di ogni vita di relazione, cammino verso la fondazione della socialità.

(a cura di Paola Melchiori e Sandro Antoniazzi), Cura e democrazia. Il valore politico della cura.  Con i contributi di Rosalba Gerli e Gianni Tognoli, Castelvecchi, 2023, pp 175.

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