I cristiani e i poveri. Il messaggio di Gustavo Gutierrez

| 0 comments

Si è tenuto dal 20 al 23 novembre a Sacrofano, nei pressi di Roma, il IV Convegno missionario nazionale. Titolo: “Alzati e va’, a Ninive, la grande città”. All’incontro vi è stata una grande affluenza, quasi mille persone. Il primo giorno si sono ascoltate le relazioni bibliche di mons. Ambrogio Spreafico e di Antonietta Potente; il secondo le relazioni sociologiche di Aluisi Tosolini e quella, a due voci, di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi. Infine, il terzo giorno il momento più atteso: la relazione teologica di Gustavo Gutierrez.

Gutierrez, nato a Lima, in Perù, nel 1928, è il fondatore della teologia della liberazione. La sua opera fondamentale è stata pubblicata nel 1971. Gutierrez ha studiato medicina e letteratura in Perù, poi filosofia e psicologia a Lovanio, e ha conseguito il dottorato all’Institut Pastoral d’Etudes Religieuses (IPER) dell’Università Cattolica di Lione. Parroco per molti anni in un piccolo centro del Perù, animatore delle comunità di base, professore alla Pontificia Università del Perù e visiting professor nelle maggiori università del Nord America e dell’Europa, è attualmente docente all’Università di Notre Dame nell’Indiana (Usa). Nel 2001 è entrato nell’Ordine dei Domenicani.

La platea ha ascoltato in silenzio per oltre un’ora il teologo ottantaseienne e lo ha salutato alla fine con un applauso lunghissimo. Gutierrez ha parlato con grande pacatezza e con altrettanta intensità. In un italiano difficoltoso ma sempre chiaro, perché usava parole semplici e teneva il filo del discorso con molta chiarezza guardando di rado i foglietti che aveva davanti. Per un’altra ora, poi, Gutierrez ha risposto alle domande della sala.

La sua relazione (“Il Dio del per-dono: dono ricevuto e testimonianza attiva nella città e nel mondo”) ha toccato tre punti: il significato dell’evangelizzazione, il significato della povertà, e la memoria che la chiesa deve fare di Gesù. Ha premesso alla sua esposizione un ringraziamento ai missionari italiani (e più in generale ai missionari del Nord America e dell’Europa) per l’impegno fedele e tenace con cui hanno servito i popoli latinoamericani. In particolare ha ricordato, con trattenuta commozione, il missionario bergamasco Sandro Dordi (ucciso da Sendero Luminoso a Lima nel 1991) di cui è stato molto amico. Quella che segue è una sintesi del suo discorso[1].

1. Evangelizzare. Gutierrez indica tre punti di riferimento. Il primo è Paolo VI, che nell’Evangelii nuntiandi ha detto che la chiesa esiste per evangelizzare. Evangelizzare è la sua ragion d’essere. Non è che la chiesa prima esiste e poi evangelizza. Se non evangelizza, non è chiesa. Secondo riferimento, papa Francesco: evangelizzare –ha detto – è fare presente il regno di Dio nel mondo. Terzo: la motivazione dell’evangelizzare (è di nuovo Francesco a dirlo) è l’amore di Dio che abbiamo ricevuto; dunque dobbiamo dare gratuitamente ciò che abbiamo ricevuto gratuitamente; questa è l’idea centrale del Vecchio e del Nuovo testamento: l’amore di Dio è gratuito (non è, cioè, per i meriti). Poi Gutierrez ha posto una relazione tra la missione e la Trinità. In Ad Gentes, nei primi cinque numeri, che sono teologicamente molto importanti (li ha scritti Yves Congar, ha sottolineato Gutierrez), si dice che l’evangelizzazione della chiesa è un prolungamento delle due missioni del Figlio e dello Spirito Santo. La missione è una comunione con Dio e una comunione fra gli esseri umani, fra noi oggi. Questo è il senso della parola greca koinonia. Koinonia in greco ha tre significati: è la koinonia tra le persone divine della Trinità, tra l’essere umano e Dio, e tra le persone. La colletta per aiutare i poveri nella bibbia è chiamata koinonia.

Oggi parliamo molto di una nuova evangelizzazione, ha rilevato Gutierrez. Per la prima volta – ha ricordato –  se ne è parlato nel 1968 in una conferenza in preparazione della prima conferenza della chiesa latinoamericana a Medellin. L’idea di parlare di nuova evangelizzazione veniva dall’esigenza di cambiare il nostro punto di vista, il nostro modo di considerare la realtà. A questo proposito, ha richiamato un testo dei vangeli: il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Questo miracolo, ha detto, è citato ben sei volte nei vangeli (è l’episodio più citato), e lo troviamo anche nel vangelo di Giovanni. Se è stato raccontato tante volte, e nello stesso modo, credo – ha osservato Gutierrez – che ciò significa che gli apostoli avevano compreso che questo episodio era veramente importante. Il messaggio del miracolo non sta tanto nella capacità di moltiplicare i pani, quanto nel condividere. E’ questo il messaggio. La comunione è importante soprattutto perché significa entrare in contatto con altre persone. Per condividere non c’è bisogno di avere tante cose. Condividere partendo da cinque pani e due pesci significa che noi non dobbiamo pensare di dover avere tante cose per poter condividere. Basta avere compassione. La parola compassione, nota Gutierrez, è la stessa di simpatia. Il messaggio è che fare presente il regno di Dio significa condividere. Anche il poco. E’ sempre possibile anche con poco.

2. La povertà e i poveri. Gutierrez ha iniziato citando papa Giovanni, il suo discorso del settembre 1962, a un mese dall’apertura del Concilio, e la sua espressione “la chiesa di tutti e specialmente la chiesa dei poveri”. Gutierrez ha rilevato che il tema della povertà è stato presente nei lavori conciliari ma poco se ne ritrova nei testi approvati. Ha ricordato il discorso del card. Lercaro nella prima sessione, il suo dichiarare che il tema della povertà e dell’annuncio ai poveri doveva essere la priorità del Concilio. Questa presenza del card. Lercaro, ha detto Gutierrez, è stata molto importante per la chiesa, anche se il Concilio non ha seguito la sua indicazione. Ha ricordato che l’assemblea della chiesa latinoamericana di Medellin è venuta solo tre anni dopo la fine del Concilio e ha posto la priorità dei poveri. Oggi, ha detto il teologo peruviano, la povertà è presente in una nuova percezione, che egli ha sintetizzato in tre punti. Primo, la povertà è una realtà molto complessa. Non è solo economica; l’aspetto economico è importante, ma non è l’unico, ci sono anche l’aspetto culturale, quello razziale, quello di genere. Il colore della pelle è una condizione di povertà, ha detto. E anche la condizione della donna è un fattore di povertà. La povertà è multidimensionale. Secondo, la povertà non è una fatalità, un fatto quasi naturale, come l’umanità e la stessa chiesa hanno a lungo pensato che fosse. La povertà ha delle cause. La povertà è una creazione di noi esseri umani. Allora, la solidarietà non è una questione solo economica, è una questione di mentalità; ad esempio, la categoria mentale della superiorità del maschio. Dunque, essere solidali con i poveri non è solo aiutare il povero, ma essere contro le cause della povertà. Il povero, ha insistito Gutierrez, è colui che è “insignificante”, o meglio che è considerato insignificante (per ragioni economiche, razziali, culturali, o di genere). Come dice Hannah Arendt, il povero è quello che non ha diritto di avere diritti. E dunque l’aiuto immediato ai poveri è sempre importante, ma non è l’unica cosa da fare. Noi sappiamo che la povertà è creata dagli uomini, e allora dobbiamo avere una visione più complessa della povertà. A questo proposito, Gutierrez ha accennato a papa Francesco e alle resistenze che egli incontra per il suo modo di parlare di questo tema. Terzo, il significato biblico della povertà. La Bibbia parla della povertà in tre diverse accezioni. Esiste la povertà reale, materiale, ed essa è definita scandalosa. Poi c’è la povertà spirituale, che consiste nel mettere la nostra vita nelle mani di Dio; il povero spirituale è il discepolo, il santo. Gutierrez ha ironizzato su quelli che predicano l’opzione per i poveri pensando alla povertà spirituale (è facile, ha detto, fare l’opzione per i santi…). Sono pochi, veramente, i poveri spirituali, ha insistito Gutierrez, perché la povertà spirituale è la santità. Infine, c’è la povertà volontaria. Essa si collega alle altre due: è povertà materiale perché la solidarietà con i poveri chiama a essere poveri come loro (anche se non possiamo davvero imitare la vita dei poveri perché loro sono insignificanti, e noi no). Gutierrez ha citato mons. Romero, che ha scelto di condividere la povertà del suo popolo, e che con questa sua povertà volontaria ha incontrato l’ostilità di altre persone fino ad essere ucciso. La povertà volontaria è anche povertà spirituale,  e l’esempio di mons. Romero – ha detto Gutierrez – lo mostra, perché non ha affidato la sua vita alla sicurezza del potere.

Gutierrez ha poi citato, condividendolo, il filosofo protestante Paul Ricoeur: non siamo veramente con i poveri se non siamo contro la povertà. Essere contro la povertà è un modo di essere con i poveri. In ultima analisi, ha detto Gutierrez, la povertà significa morte, morte fisica e morte culturale. I gesuiti nel secolo XVI a proposito degli indiani dicevano che “stavano morendo prima del loro tempo”. E questo accade oggi. Nei settori poveri del mondo la gente muore di malattie di cui in tutti gli altri ambienti non si muore. Se la povertà è così, è morte. E questo vale anche per le culture: se noi svalorizziamo la cultura di certi popoli, noi li facciamo morire. Questa maniera di vedere la povertà – ha concluso Gutierrez – ci ha condotto  a quella che abbiamo chiamato “opzione preferenziale per i poveri”. Egli ha spiegato in che senso si parla di “opzione preferenziale”. Essa significa che l’amore di Dio è universale, è per tutti, ma in primo luogo è per i poveri, per gli ultimi.

3. La memoria. La memoria, ha detto, è un tema molto importante nella bibbia. Noi cristiani, ha ricordato, dobbiamo vivere due memorie: quella, che conosciamo molto bene, dell’ultima cena (Gesù dice “fate questo in memoria di me”, che significa non solo in memoria della cena, ma di lui, della sua vita, di ciò che lui è stato e ha fatto; dunque non solo la cena eucaristica, ha sottolineato Gutierrez), e la memoria della lavanda dei piedi, che è un episodio presente solo nel vangelo di Giovanni (Giovanni non parla dell’ultima cena; per lui la lavanda dei piedi sostituisce l’episodio dell’ultima cena); quando Gesù lava i piedi dei suoi discepoli dice che lo ha fatto come esempio e che i discepoli devono fare lo stesso, accogliendo le persone e facendole stare bene. Noi, ha affermato Gutierrez, abbiamo queste due memorie, e non possiamo sceglierne una invece dell’altra, perché sono legate: eucaristia, cioè ringraziare, e fare qualcosa per gli altri sono una cosa sola. Le due memorie sono la stessa cosa. Dice nella sua lettera Giacomo che la fede senza le opere è una fede morta. E la cena – commenta Gutierrez – senza opere, senza la condivisione dell’amore di Dio, è una cosa morta.

Infine, Gutierrez ha toccato il tema del perdono, del Dio del perdono. Dono, dice, significa regalo; per è un superlativo, dunque un grande regalo. Si deve comprendere – dice Gutierrez – che non c’è un regalo senza un’obbligazione. Le scritture sono chiare. Si deve amare come Gesù ci ha amato. Accettare il dono di essere figli di Dio significa essere chiamati a fare come lui. In tedesco la grazia si dice gaben e l’obbligazione si dice aufgaben, e la vita cristiana è fra gaben e aufgaben, fra la grazia e l’obbligazione. Mons. Romero ha dimostrato questo con la sua vita. Le due grandi dimensioni della vita cristiana, dunque, sono la preghiera e l’azione per cambiare quello che non è degno della persona umana. Si deve capire che non c’è separazione tra le due cose. Questo è molto importante – ha concluso Gutierrez – per un credente nel Dio incarnato.

Giampiero Forcesi

[1] Per ascoltare l’audio della conferenza di padre Gutierrez cliccare qui.

http://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2014/11/gustavo-gutierrez-il-dio-del-per-dono.html

 

Lascia un commento

Required fields are marked *.