Pregare per la pace, non per la vittoria.

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di Enrico Peyretti

Mi dispiace, da cristiano, che a Kiev oggi, 24 febbraio, nelle chiese si
preghi per la vittoria, anziché per la pace. La vittoria bellica è
sempre delle armi che uccidono, non è vittoria (se non per caso) della
parte che ha più diritto e ragione. La vittoria in guerra genera sempre
altra guerra, di rivincita. La pace non è mai frutto delle armi, che
sono culto della guerra, ma del cessare di uccidere: la pace è frutto
del dialogo umano, della trattativa, della buona volontà umanitaria. Chi
ama la pace posa le armi e sfida anche l’aggressore a posarle, sotto il
giudizio di tutta la comunità umana planetaria, la cui sorte è ormai
unica, salvezza inseparabile tra vinti e vincitori, possibile solo con
l’abbandono delle armi. Non è vero che alla guerra aggressiva si può
rispondere solo con altra guerra: un popolo può prepararsi alla
resistenza nonviolenta che svuota il potere ingiusto con la coraggiosa e
nobile disobbedienza di massa: questa non è fantasia, ma storia
fattuale, che viene occultata da chi identifica stato, diritto, libertà,
con la guerra sempre omicida e infine autodistruttiva. Vorrei che
l’Ucraina aggredita fosse più intelligente e matura della Russia
aggressiva, e di ogni potenza imperiale.

Ho scritto questo in fb, ma ho dimenticato di aggiungere: Dio può
concedere la pace, non la vittoria, come hanno creduto, commettendo
peccati di guerra, diverse religioni, anche la nostra.

6 Comments

  1. A me dispiacciono i cristiani che per vigliaccheria o “pacifismo” noin apprezzano che ci siano altri cristiani, gli ucraini, che vogliono sconfiggere chi li ha aggrediti in modo così criminale, feroce e vigliacco. E sconfiggere gli aggressori si ottiene solo con la vittoria. Vittoria in questo caso significa la sconfitta dell’aggressore: fanno bene i cristiani ucraini a pregare per questa vittoria, che e’ la liberazione del loro paese. Come tanti sacerdoti hanno pregato per la liberazione del nostro paese dal nazifascismo. I cristiani sono per la pace, non per il “pacifismo”.

    • Le coscienze, il sacrificio, la difesa e le armi hanno consentito di uscire dall’orrore dell’olocausto e battuto il nazismo e il fascismo. Caro Peyretti, ne discussi a lungo con il credente Ermanno Gorrieri. Che non era un guerrafondaio.

  2. Ogni anno festeggio il 25 aprile. La festa della liberazione dal nazifascismo. Ogni anno festeggio il 25 Aprile e commemoro la vita, le gesta e il coraggio di chi si oppose al nazifascismo anche con le armi. Sapevano che la barbarie non si sarebbe fermata solo con i buoni propositi e decisero di intraprendere la via della resistenza armata anche se in inferiorità di mezzi e di uomini. Ogni anno festeggio il 25 aprile e non mi sento dalla parte sbagliata a festeggiare la liberazione e la vittoria delle forze alleate. Non può esserci pace con la dittatura in casa.

  3. Anch’io da cristiano festeggio il 25 aprile ma non considero il termine “pacifismo” un insulto e non mi permetto di accusare i (cristiani) pacifisti di vigliaccheria. Un conto è affrontare la guerra da cristiano, prendendo o meno le armi a seconda dei casi, un conto è che nelle chiese si preghi per chiedere a Dio la vittoria o magari si benedicano i propri strumenti di morte. Non credo che sia corretto in ambito cristiano contrapporre l’essere pacifisti all’essere per la pace nonostante la pratica della violenza. C’è da prendersi piuttosto ognuno le proprie responsabilità ed affrontare le gravi contraddizioni che queste portano con sé in un caso e nell’altro.

  4. Penso che si possa in buona fede sostenere che non resistere all’aggressione armata provoca meno morti e distruzioni che il resistere con le armi. E anche la dottrina sociale cattolica, dicendo che la reazione non deve provocare danni maggiori di quelli che vuole evitare e per di più deve avere garanzia di successo, sembra affermare di fatto che non si deve resistere con le armi. E infatti la non resistenza della Crimea non ha prodotto i danni della attuale guerra. Banalizzando: meglio rossi che morti. Ci sono però due questioni: la prima è che questa scelta dovrebbero farla i più diretti interessati, cioè gli ucraini: mentre non dando loro le armi gliela si impone di fatto. Se poi si smette di dargliele adesso si fa loro un doppio danno: la sottomissione dopo oltre un anno di stragi. Avrebbero ben ragione di pensare che si tratterebbe di una decisione di convenienza. L’altra questione è se e in quali casi la resistenza non violenta possa veramente avere la meglio su un aggressore armato: e se questi non reagirebbe comunque in modo violento. Oltre alla Shoa si può considerare la situazione attuale in Iran.

    • Quindi una donna può reagire allo stupro solo se ha la garanzia di impedirlo ? Ma che ragionamento è ? E se qualcuno pensa alla resistenza non violenta contro Putin, auguri…

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