La pace al primo posto – Scritti e discorsi di politica internazionale di E.Berlinguer

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La pace al primo posto – Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984) a cura di Alexander Höbel (ediz. Donzelli)

 

Si apprezzava un tempo del PCI – come del resto di altri partiti – il fatto di essere un partito che aveva un pensiero, una cultura; cultura robusta, elaborata, approfondita, condivisa, con cui era un piacere confrontarsi.

Nel leggere i discorsi di Berlinguer ci si tuffa in questa densa cultura politica di un tempo, che fra i tanti meriti, ha anche quello di essere stata una cultura collettiva. I discorsi sono di Berlinguer, ma dietro vedi la riflessione dell’intero partito, il confronto con idee diverse, la partecipazione della base.

(Niente di tutto questo oggi e sinceramente non si capisce come si possa fare politica azionale e internazionale senza un pensiero adeguato. I politici in genere preferiscono comunicare coi social e con Twitter).

 

Venendo ai discorsi di Berlinguer, si presentano problemi diversi; alcuni datati, scomparsi o radicalmente cambiati; altri che magari pensavamo superati e che invece ritornano (penso ai due blocchi, tema cancellato dai nostri discorsi, ma che cos’è la guerra in Ucraina se non il confronto fra due blocchi sia pure aggiornati rispetto al passato?); altri ancora che possono essere ripresi e ridiscussi come problemi aperti, di prospettiva.

Fra i problemi datati o, meglio, che hanno conosciuto un drastico cambiamento negativo, in peggio, quello principale, riguarda le forze politiche e sociali chiamate a sostenere l’obiettivo, la battaglia per la pace.

Quelle forze, il partito comunista, quei partiti il cui connotato è l’internazionalismo, il movimento operaio internazionale, il vasto fronte antimperialista, quella classe operaia cui tocca l’opera della salvezza (per usare le parole di Berlinguer), non ci sono più. E non ci sono più nemmeno quelle forze che rappresentavano un fronte più ampio (basti citare Willy Brandt e a Olaf Palme).

Abbiamo dei governi deboli, spesso senza maggioranze, in continue difficoltà (si veda la situazione della Camera dei rappresentanti in USA), un’Europa evanescente e dietro non ci sono forze sociali per sostenere la battaglia. Naturalmente questo investe un tema più generale, quali sono oggi le forze del cambiamento?

 

Un altro problema appare datato, l’ottimismo sulla situazione storica, in parte rivolto a un’epoca specifica, a una situazione congiunturale. Nel 1972 Berlinguer afferma che i rapporti di forza si sono modificati a favore delle forze rivoluzionarie (probabilmente a causa delle lotte operaie e della guerra in Vietnam, di cui ricorda le 145.000 manifestazioni a sostegno).

Se queste affermazioni possono essere comprese, altre invece sembrano più strettamente collegate alla visione marxista. Sono quelle che parlano della necessità storica del socialismo, di un processo storico inarrestabile di emancipazione dei popoli (Si può concordare sul processo storico di emancipazione, ma non come necessità, bensì come compito da realizzare. Qui si pone una differenza sostanziale di pensiero dalla concezione comunista).

 

Veniamo alla pace. Berlinguer richiama i famosi discorsi di Togliatti del 1954 e del 1963 (quest’ultimo tenuto a Bergamo nel marzo, un mese prima della Pacem in terris, non certo casualmente). I discorsi di Togliatti avevano un carattere particolare: la presenza degli ordigni nucleari rappresentava un pericolo per l’umanità, per cui al di là delle ideologie, delle classi, delle fedi politiche e religiose, si rendeva necessario un impegno per la salvezza di tutti, universale. Discorsi importanti perché trascendevano il principio di classe.

Berlinguer li cita, perché la pace è un valore in sé, però il fulcro, il centro del suo discorso è un altro, decisamente più politico.

Il superamento dei blocchi, il loro graduale esaurimento fino all’estinzione e l’affermazione di un sistema mondiale basato sulla cooperazione è la base necessaria che consente a ogni paese di svilupparsi al meglio. Possiamo ricordare che era finita la guerra fredda e per anni si era parlato di coesistenza pacifica, sembrava possibile un nuovo balzo in avanti: questo balzo in avanti si chiama cooperazione. E Berlinguer qui si lascia trascinare in prospettive molto ideali: un futuro mercato mondiale, una moneta mondiale, organizzazioni che travalicano i confini nazionali, un futuro governo mondiale.

Questa è anche la condizione in cui il socialismo potrebbe dispiegare le sue migliori potenzialità di sviluppo e quindi prevalere.

 

I blocchi, come dice la parola, bloccano, obbligano ognuno a difendersi, a rinchiudersi, a limitarsi e dunque a impedire l’esprimersi delle energie migliori in ogni campo. Bloccano tanto l’Est – e sono note le critiche a riguardo, ma anche le speranze che possa determinarsi qualcosa di nuovo – quanto l’Ovest, limitato dalla dipendenza dall’America.

Da qui la battaglia puntigliosa contro il dispiegamento dei missili e contro una situazione di pace dovuta all’equilibrio del terrore. C’è una logica molto coerente in questa azione politica.

Dall’una e dall’altra parte si esprime la tendenza a impiantare missili con la convinzione che questa azione di forza convincerebbe l’altra parte a trattare; ma così facendo intanto i missili vengono collocati e poi difficilmente vengono disinnescati.

L’iniziativa di Berlinguer invece è sempre volta a impedire nuove installazioni e a ritirare quelle esistenti.

Questa politica non è solo una ragionevole proposta pratica; è molto di più perché è alla base di scelte politiche importanti.

Ad esempio, Berlinguer sostiene che non conviene chiedere l’uscita dell’Italia dalla Nato perché, invece di favorire il processo di distensione, rischierebbe di creare problemi aggiuntivi, allontanando la possibilità di accordi.

Sull’Europa è rilevante la sua posizione contraria alla realizzazione di un esercito europeo, di una terza forza militare, accanto alle due esistenti. E’ contrario probabilmente a realizzare una terza potenza nucleare, ma lascia poco spazio anche a un’ipotesi più circoscritta di una forza militare autonoma dell’Europa. La logica è sempre la stessa, non creare problemi.

Il ruolo dell’Europa è quello di non essere né contro gli USA né contro l’URSS, di favorire un accordo sulla sicurezza europea, che garantisca il graduale disarmo, e l’impegno per il nuovo ordine economico.

 

Quello che è successo poi è sotto gli occhi di tutti.

E’ indubbio che qualcosa è andato storto; sono stati fatti errori di sottovalutazione e oggi ci troviamo una guerra in Europa.

Esistevano negli anni passati le condizioni per un accordo ragionevole sul dispiegamento delle armi nucleari e tattiche in Europa, che avrebbe evitato la guerra attuale.

Era ragionevole pensare che gli USA sarebbero intervenuti proponendo una trattativa sulla sicurezza, che rimane il problema principale.  La Russia ha torto ed è giusto il sostegno all’Ucraina, ma con la Russia, prima o poi, si dovrà fare un accordo sulla sicurezza europea e questo è più importane del Donbass.

 

Berlinguer afferma poi che la sua linea è il compromesso storico a livello nazionale, la cooperazione a livello internazionale. In questa cooperazione devono essere coinvolti i popoli di tutto il mondo su una base di eguaglianza e Berlinguer associa sempre questa affermazione con un’altra, e cioè che bisogna abbandonare l’idea di unno sviluppo continuo basato sui consumi individuali. (tema di origine rodaniana)

Questa affermazione rappresenta un modo, parziale certamente, di dare corpo a una dichiarazione più fondamentale e impegnativa espressa al Comitato Centrale del gennaio 1982, dedicata ai fatti di Polonia e a una nuova fase di lotta per il socialismo; in questa relazione si parla della Terza Fase della lotta per il socialismo, per la quale la condizione decisiva è che avanzi il socialismo nei punti più alti dello sviluppo capitalistico. (E poiché il PCI era il partito comunista più forte dell’Occidente significa autocandidarsi ad essere la guida della trasformazione socialista mondiale; il che implica avere un orizzonte e una strategia all’altezza di questo impegno). Affermazione teorica e politica molto, molto impegnativa.

Berlinguer è rimasto fino all’ultimo comunista e ha sempre pensato che occorresse superare il capitalismo; da qui la critica alla socialdemocrazia “che migliora le condizioni di vita dei lavoratori, ma non supera il capitalismo”.

Nel suo ultimo Congresso, il XVI^ a Milano nel marzo 1983, questa critica viene rivolta all’insieme dei partiti e delle organizzazioni del movimento operaio (sindacati compresi) che sono rimasti legati a programmi essenzialmente redistributivi, non trasformativi.

 

Si può concordare con Berlinguer che per fare una politica degna di questo nome il tema del capitalismo vada affrontato o, in altre parole, che sia necessario per la politica avere un giudizio chiaro sul mondo in cui viviamo e un’idea su come cambiarlo (e naturalmente che la politica redistributiva non sia adeguata).

Berlinguer aveva presente il problema e aveva iniziato almeno a porlo.

Oggi il problema è diventato più difficile e forse anche per questo è stato di fatto abbandonato.

Sembra giusto richiamarlo come un problema aperto, un’utopia necessaria, un orizzonte paradigmatico: oggi in un mondo complesso, globalizzato e articolato i luoghi dove affrontare il problema sono molteplici (non solo i punti più alti del capitalismo) e molteplici sono i problemi che si pongono, tutti validi e rilevanti, purché convergenti a un orizzonte comune di un’umanità più libera, più giusta, più conviviale. Ci sono tante forze critiche del sistema: il problema più importante e più decisivo consiste nel trovare qual è il nodo, il punto, su cui queste forze possono convergere. Quello che ieri chiamavamo socialismo -l’idea di una società diversa – deve potersi sviluppare all’interno del capitalismo, non dopo, e crescere progressivamente per affermarsi sempre di più. Questo impegno è ciò che più si avvicinerebbe a una prospettiva di pace, inscindibile dalla giustizia e da rapporti umani diversi; idee che sembrano essere abbastanza in linea col pensiero di Berlinguer.

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