Annotazioni su un Dossier sulla teologia di papa Francesco

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Sono numerosi gli studi su papa Francesco usciti in concomitanza con il quinto anno del suo pontificato. In particolare sul suo pensiero teologico. Tra questi vi è la Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione, pubblicazione semestrale della Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna, che ha dedicato il fascicolo numero 43 a un Dossier sulla teologia di papa Francesco. Nell’Editoriale Fabrizio Mandreoli chiarisce l’impostazione del Dossier. Al centro vi è la convinzione dell’esistenza, in Bergoglio, di una riflessione teologica profonda, ovviamente non disgiunta alla sua sensibilità anche filosofica, storica e politica. Si tratta di una visione teologica ricca, ispirante e feconda, maturata in dialogo con la vita vissuta e con la pastorale esercitata. Il Dossier rileva le varie componenti, le radici e le connessioni dell’orizzonte teologico che fa da sfondo al pensiero e alla prassi di Francesco; ed individua anche l’esistenza di un metodo, cioè uno stile teologico e spirituale, che egli usa per leggere la Scrittura, come anche per decifrare la storia e il presente e per indicare il compito della Chiesa, e delle stesse comunità umane.

Il Dossier contiene quattro contributi che risalgono “a monte” dell’orizzonte teologico di Bergoglio. José Louis Narvaja, gesuita argentino, professore di Patristica, che conosce direttamente da molto tempo Bergoglio e che ora collabora con La Civiltà cattolica, si sofferma su due fonti del suo pensiero: Dostoevsky e Romano Guardini, che dello scrittore russo fu un grande estimatore come dimostra il libro che ebbe a dedicargli nel 1954. Quello di Narvaja è un contributo decisivo, dice Mandreoli, per comprendere l’idea di popolo di Bergoglio e dunque per calibrare meglio le interpretazioni oggi correnti sulla teologia del popolo. Lo stesso Fabrizio Mandreoli è autore del secondo contributo, rivolto a individuare alcune fonti di matrice prevalentemente europea della teologia di Bergoglio, e su questo aspetto ritorneremo più avanti. Enrico Galavotti, del Centro di Documentazione di Bologna e professore a Chieti di Storia del cristianesimo, interviene sul rapporto di Bergoglio con il Vaticano II, su come papa Francesco abbia “usato” il Vaticano II e l’insieme di prospettive e di autori che in esso sono confluiti; Galavotti osserva che Bergoglio non commenta i testi conciliari ma li parla, cioè ne usa le categorie e le prospettive, e questo soprattutto a partire dalla recezione che del concilio si è avuta nella Chiesa dell’America latina. Gerard Whelau, docente di Teologia fondamentale alla Gregoriana ed esperto del pensiero di Bernard Lonergan, si sofferma sul metodo teologico di Francesco e ne mette in luce tre caratteristiche principali: il riferimento al discernimento degli spiriti, l’uso di un approccio induttivo, l’opzione preferenziale per i poveri. Whelau osserva che, a partire da questi elementi, il futuro papa ha poi sviluppato un rapporto conflittuale con tre diversi sistemi di pensiero: con il marxismo, con la teologia deduttivi sta e accentratrice, e con le forme più spinte del capitalismo neoliberale.

Seguono due contributi “a valle”, rivolti cioè a osservare come papa Francesco formuli, con la sua riflessione e la sua prassi, una proposta complessiva alla vita della Chiesa e alle stesse comunità umane, una proposta originale, che si radica su una sintesi personale, frutto di numerose prospettive esperienziali, teologiche, filosofiche e storiche. E in questo senso si può parlare, scrive Mandreoli, di papa Francesco come di un “creatore di cultura”. L’orizzonte teologico che egli propone, certo in maniera seminale, appare come uno spazio aperto per il discernimento della Chiesa intera. Sergio Tanzarella e Anna Canfora, docenti di Storia del cristianesimo alla Facoltà teologica dell’Italia meridionale, si interrogano su quali possibili conseguenze possano determinarsi, dall’azione di papa Francesco, per la Chiesa italiana. I due sostengono che il metodo bergogliano appare in grado di “sbloccare il pensiero teologico italiano”, sia nella sua dimensione intraecclesiale sia nel dialogo aperto con le principali questioni del nostro tempo. Parlano di una teologia, quella bergogliana, capace di essere, in maniera non retorica, in uscita, pastorale, attenta alla storia e alle persone, operatrice di pace. Marco Giovannoni, professore di Storia della Chiesa all’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana, fa il punto sul cammino della Chiesa italiana e rileva che l’approccio di Bergoglio, lungi dall’essere causa di alcune crisi intraecclesiali, viceversa sia una risorsa estremamente preziosa, e questo perché riconosce con lealtà le questioni in campo e si muove in esse con un paradigma teologico specifico, quello della misericordia. Insomma – conclude Mandreoli -, il metodo di papa Francesco, frutto della sua sintesi originale, si configura come un insieme di strumenti teologici e antropologici estremamente utili e innovativi per cercare di ascoltare quello che lo Spirito dice alla Chiesa, in modo particolare in Italia, oggi.

Come dicevo, Fabrizio Mandreoli dedica un contributo specifico ad alcune delle radici europee della teologia di papa Francesco. Alla sua analisi il teologo emiliano premette l’individuazione di alcuni aspetti peculiari dell’approccio metodologico di Bergoglio, in parte già indicati nell’editoriale: il suo essere creatore di cultura (un po’ come fu papa Giovanni, come ebbe a osservare acutamente il cardinale Giacomo Lercaro); la sua cultura dell’incontro, quasi un pensiero che cammina, un pensare uscendo all’incontro, nell’accompagnare; un pensiero che si situa alla fine del mondo, nella consapevolezza che la realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro; la valorizzazione del sentire e del vissuto, per cui in lui l’ortodossia e l’ortoprassi passano sempre per l’ortopatia, e le sue parole non si possono interpretare solo con la prospettiva dogmatica perché fanno riferimento all’esperienza cristiana complessiva, che implica non solo le formulazioni dogmatiche ma anche la vita nello Spirito, con le sue molteplici risonanze; la valorizzazione del discernimento, per capire non il bene in astratto ma il bene concreto, all’interno delle contingenze storiche ed esistenziali (quindi non una teologia deduttiva ma induttiva e contestuale, capace di leggere e illuminare la vita); l’attenzione al sensu fidei dei battezzati nella vita della Chiesa, e dunque alla sinodalità come aspetto della forma concreta della Chiesa (di qui una visione della pastorale non come messa in pratica della teologia o della spiritualità ma come luogo dello scambio vivo tra esperienza e riflessione evangelica, come forma alta di comprensione della verità in cui la verità evangelica include i volti dei destinatari, come arte del discernimento dell’azione di Dio già all’opera nella storia delle persone che è da scoprire, da svelare); la dimensione seminale del suo pensiero: non un pensiero conchiuso, ma un pensiero sempre in relazione con la vita (c’è bisogno – dice Francesco – di una vera ermeneutica evangelica per capire meglio la vita, il mondo, gli uomini; non di una sintesi ma di un’atmosfera spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ragione e fede).

Passando ad un piano più propriamente teologico, Mandreoli indica gli elementi che, a suo avviso, caratterizzano l’orizzonte di Bergoglio. In primo luogo la sua opzione ermeneutica fondamentale: il principio della misericordia di Dio. Esso struttura l’intera sua visione della vita cristiana. Al centro vi è non la paura che i salvati si perdano ma il desiderio di salvare i perdenti, cioè di accogliere e trasfigurare il male in bene. In secondo luogo, la considerazione che la misericordia di Dio eccede, va sempre oltre (Deus semper maior). Del resto, la capacità inesauribile di Dio di offrire un amore riconciliante è il centro della spiritualità ignaziana; e la nozione dell’eccesso dell’amore di Dio è stata ripresa nei decenni scorsi dal gesuita tedesco-polacco Eric Przywara, caro a Bergoglio. Un altro elemento di fondo, rilevato da Mandreoli, e di nuovo in connessione con Przywara, ma anche con Romano Guardini, è la considerazione della complessità della storia, della realtà, e dunque l’esigenza di un pensiero che colga l’unità profonda degli elementi in contrasto, e che dunque non proietti gli schemi ideali sulla realtà ma guardi in modo rispettoso e non aggressivo il mondo, con la fiducia nella possibilità di riconoscere l’azione di Dio nel profondo della vita degli uomini. La considerazione dell’amore di Dio che va sempre oltre e il senso acuto della complessità del reale hanno, in Bergoglio, anche un risvolto ecclesiologico, perché quando la Chiesa perde il livello dell’amore misericordioso di Dio si deforma, cioè finisce per assolutizzare le forme storiche che attraversa, e così si irrigidisce e diventa sterile. L’amore di Dio sempre più grande è, per Bergoglio, criterio di orientamento per la Chiesa anche nella sua missione storica.

Infine, l’essere in uscita, per la Chiesa, non è solo, in Bergoglio, una questione di aggiornamento pastorale, ma è una questione teologica: è seguire il Cristo, e con lui incontrare il mistero di Dio, seguire il Cristo ucciso fuori della città santa assieme a due ladri… E’ in uscita che la Chiesa diviene profetica e può cercare i segni della presenza di Dio e dei suoi appelli. La Chiesa in uscita si mostra consapevole che la verità si dispiega nel tempo e nel cammino. E’ nel cammino che ci si appropria effettivamente della verità evangelica e che vengono a maturazione i valori. La nozione della Chiesa come ospedale da campo, secondo l’espressione usata da Francesco con i parroci di Roma, rinvia – dice Mandreoli – a una precisa diagnosi del tempo presente, insieme umana, storica e teologica, e pone con forza l’esigenza di consolare il popolo santo di Dio, i feriti dalla violenza della storia, annunciando e praticando la misericordia di Dio. E’ il frutto del discernimento del mistero della volontà di Dio per il presente della Chiesa.

 

Giampiero Forcesi

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