“Sergio Paronetto. Intellettuale cattolico e stratega dello sviluppo”

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Il libro di Tiziano Torresi “Sergio Paronetto. Intellettuale cattolico e stratega dello sviluppo”, edito da “Il Mulino”, ha due indubbi meriti: il primo quello di fornirci un affresco importante di tutto l’arco dei movimenti giovanili cattolici italiani compresi nei difficili tornanti del primo dopoguerra, dell’avvento del fascismo, della Resistenza e del secondo dopoguerra; il secondo quello di tratteggiare con ampia ed approfondita analisi, condotta su documentazione di archivio di indubbio interesse e pregio (fra cui l’archivio Paronetto stesso), una figura importante come quella di Sergio Paronetto colto nel suo essere credente, impegnato nell’associazionismo cattolico, e studioso delle dinamiche sociali ed economiche legate allo sviluppo del Paese, attraverso il suo lavoro presso l’IRI.

Una “biografia di una generazione“: così Torresi descrive il suo volume, nelle conclusioni, cogliendo il filo rosso che dà prospettiva storica ed esistenziale alle vicende umane e sociali di Sergio Paronetto. In lui si ritrovano infatti, come nota l’autore, i tratti salienti di tutta una generazione di cattolici formatisi negli anni ’30. Il continuo “dialogo” che questi fa con la propria coscienza è tipico di molti giovani credenti del periodo, penso a Giuseppe Dossetti di cui non a caso anni fa è uscito un libro che raccoglie alcuni suoi appunti dal titolo “La coscienza del fine”. Coscienza che unisce ascesi e azione, alle quali però Paronetto aggiunge l’interesse e l’attenzione per l’aspetto economico: prospettiva portante della dimensione storica, cui accenna già nella tesi di laurea.

L’economia deve porsi, nei rapporti tra uomo e stato, come “atto morale” ricondotto alle inalienabili esigenze della persona. “L’attività economica, in quanto attività umana – scrive Torresi rispetto alle teorie di Paronetto – andava considerata come un atto morale che coinvolgeva tutta la persona, nella sua complessità, in ogni sfumatura della sua psicologia”. Non si può non sentire l’eco di queste valutazioni nel leggere gli articoli della Costituzione relativi ai rapporti economici. Penso all’articolo 41 laddove questo recita che: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali“.

Senza una giustizia sociale di fondo, nella visione che egli proponeva, anche la sola democrazia parlamentare rischiava di essere insufficiente per soddisfare e venire incontro alle esigenze dei cittadini. Anche in base a ciò si può intravedere in Paronetto l’idea che la politica, soprattutto se declinata esclusivamente attraverso l’impegno partitico, fosse in qualche modo incapace nel riuscire a ricomporre un panorama sociale disgregato, impoverito e impaurito come quello dell’Italia del secondo dopoguerra. Soprattutto mi sembra di intuire l’idea che l’impegno in politica dovesse avere in qualche modo un “limite”, in modo da renderlo meno avvolgente e totalizzante nel cammino di chi vi si impegnava, e in grado così di dargli quella visione di insieme su cosa fosse necessario nella vita delle persone e cosa meno, in special modo nell’esistenza del credente.

La crisi degli anni ’30 con il suo impatto sull’economia mondiale determinò in questi giovani alcune valutazioni di fondo. Il capitalismo era in crisi ma non era morto e non era superato, occorreva però riformarlo. E lo si doveva fare attraverso la valorizzazione della persona rispetto alla tecnica, nell’ottica di tutela e promozione dell’essere umano; tramite l’intervento, in termini nuovi ed inediti, dello Stato, per nulla “curvato” a suggestioni corporative in quanto il corporativismo era superato e non valido, a giudizio di Paronetto, oltre che dal punto di vista ideale anche da quello pienamente tecnico-economico.

Attraverso la riforma del capitalismo questi giovani cattolici sembravano “cercare” la democrazia e in essa lo stato democratico (lo immaginavano e descrivevano, quasi, nelle strutture portanti) che ponesse la persona al centro in modo rinnovato ed in senso partecipativo e orizzontale: la “democrazia sostanziale” cui più volte farà riferimento lo stesso Paronetto.
Gettandosi nella cultura laica – scrive Torresi con riferimento all’opera di Paronetto presso l’IRI – […] seppe rileggere le esperienze economiche e sociali cristiane nell’ «ansiosa ricerca di scandagliare» la ricchezza della concezione cristiana dell’economia e di adattarla alle esigenze della vita economica“.

Si tentava, per molti versi, di trovare un “ordine”, una sistemazione democratica e libera del vivere comune, in un mondo che appariva tutto fuorché regolato. Ricordando Paronetto, Donato Menichella, direttore generale dell’IRI in quegli anni, scrive: “ci incontravamo e ci scontravamo nell’opera estremamente ardua di riportare l’ordine, l’ordine economico e l’ordine morale, nelle numerosissime aziende industriali e finanziarie che erano passate, tutte in una volta, in proprietà all’istituto“.

E il lavoro presso l’IRI diviene una ragione di vita per l’intellettuale valtellinese, uno stimolo quotidiano di confronto con il moderno, la contemporaneità e con la coscienza.

Lavorare all’IRI significava comprendere e approfondire la struttura economica e sociale del paese, perché senza conoscenza, secondo il metodo rigoroso che si è dato Paronetto (maturato dalla lettura del Discorso sul metodo di Cartesio), non si poteva deliberare (“conoscere per deliberare” scriveranno Dossetti ed i suoi collaboratori nel “Libro bianco” utilizzato come programma per le elezioni amministrative bolognesi del 1956).

Un impegno che si sostanziava anche attraverso una sorta di “diffidenza” verso la politica e verso i partiti “dei padri” (c’era in lui una forte critica, ad esempio, verso l’esperienza del Ppi di Sturzo) che non avevano messo in atto, a loro giudizio, un’adeguata opposizione all’emergere e all’affermarsi del fascismo e che, allo stesso tempo, non avevano saputo intuire il cambiamento dei tempi e veicolare le masse, che passavano dalle trincee e dalla mobilitazione irredentistica, ad una forma di partecipazione democratica. In ciò forse erano anche ingenerosi, seppur comprensibilmente trascinati e determinati dall’aspetto generazionale e, soprattutto, dallo spettacolo desolante e tragico della seconda guerra mondiale.

Seconda guerra mondiale che per molti giovani cattolici rappresentò una sorta di “disvelamento” in quanto condusse a comprendere quale era il “compito” che l’ora richiedeva e, di conseguenza, ad una assunzione di responsabilità storica piena e cosciente. Il credente era chiamato ad operare nel tempo dato, non poteva tirarsi indietro, soprattutto di fronte ad un evento drammatico e doloroso come il conflitto mondiale, ad un mondo in crisi. E lo doveva fare secondo i doni che gli erano stati fatti. In ciò si ribadivano le caratteristiche principali di questi giovani cristiani, che si esplicavano essenzialmente nella tensione verso la promozione del pluralismo dell’ appartenenza partitica dei credenti, da non rinchiudersi più dentro il recinto di una esclusiva militanza (da ciò nascerà anche una certa freddezza di Paronetto nei confronti della DC); nel rifiuto di quel senso di “timore” nei confronti dello Stato, retaggio dell’esperienza risorgimentale, che li aveva condotti a compromessi con valori e principi (in senso machiavelliano) discutibili; nel rifuggire una eccessiva “commistione” fra religione e politica, che si sarebbe potuta risolvere, nella loro visione, in prese di posizione conservative ed esclusivamente identitarie, nell’ottica di una eccessiva concessione al compromesso.

Tutto si collocava in un antifascismo che aveva risonanze e assonanze gobettiane (autobiografia della nazione) e che li portava in polemica e sfiducia con gli ex appartenenti al Partito popolare di Sturzo, come già detto.

 

Ritengo altresì che non potesse essere altrimenti, perché i giovani, la cosiddetta seconda generazione, non aveva vissuto la crisi politica che aveva determinato la nascita e l’avvento del regime e che andava individuata, non intendendola come unica spiegazione, nella crisi dello Stato e della rappresentanza democratica e quindi da non imputarsi esclusivamente ad uno sterile gioco “politico-parlamentare”, delle volte inteso quasi “viziato” in origine.

 

Il fascismo era nato e si era affermato come movimento che proponeva una mobilitazione continua di ceti sociali che erano stati impegnati nel fango delle trincee della prima guerra mondiale; la grande industria si era spostata verso opzioni di “forza” e di “ordine”; lo stesso movimento socialista aveva combattuto battaglie di retroguardia e sterili, diciamo così, che non avevano prodotto i risultati sperati riuscendo soltanto ad esasperare gli animi e a non rendere possibile alcuna alternativa politica all’avvento del fascismo prima al governo e poi al potere assoluto. Non si possono dimenticare inoltre il ruolo della Corona e il successivo avvicinamento del Vaticano seppur in una dimensione di concordia discors.

 

Non avendo vissuto in prima persona tutto questo, non riuscivano a pensare il fascismo che nei termini con cui il regime li aveva coinvolti nella quotidianità e cioè come regime che cercava di creare uno “stato nuovo” e un “uomo nuovo”, che voleva proporsi, attraverso riti e culti civili (come individuati successivamente negli scritti di Mosse ed Emilio Gentile), come religione politica nel ruolo di forza “spirituale” con compiti pedagogici. In ragione di ciò l’antifascismo di questi giovani non poteva che essere, primariamente, “spirituale” e formativo anch’esso, portando tout court a svalutare tutto quelle che erano le forze politiche del prefascismo e la loro attività.

 

La guerra e la Resistenza trovarono Paronetto saldamente al lavoro presso l’IRI. Provocando anche un serio dibattito interno causato dal sostegno dell’Istituto alla produzione bellica: “Gli uomini dell’Iri – scrive l’autore – intrapresero il loro «pellegrinaggio» tra i drammi della guerra. La partecipazione dell’Istituto alla produzione bellica era imponente, dagli acciai dei cannoni alla cantieristica, dalle artiglierie ai carri armati, agli aerei e ai siluri, in ogni campo innovando e migliorando gli impianti ina una strategia di lungo periodo. Nella sua agenda Paronetto prese nota con frequenza di accese discussioni con Menichella, Saraceno, Giordani, sull’avvenire dell’Italia e su quello dell’Asse. «Ci arrovelliamo come spiriti inquieti», scrisse, ad esempio, il 15 ottobre 1940″.

 

E dal suo posto di lavoro promuoverà e fiancheggerà la Resistenza, subendo poi, a guerra finita, un paradossale ed allucinante provvedimento di “epurazione” poi decaduto e da cui venne pienamente prosciolto, lui che era stato da giovane anche aggredito dai fascisti nel cortile di Sant’Ivo alla Sapienza a Roma. Scrive Torresi che: “La sentenza di proscioglimento che stabiliva il non luogo a procedere per tutti gli imputati, avrebbe lumeggiato espressamente «la nobile figura del dott. Paronetto con parole di alto elogio per la sua memoria»”

 

Appoggerà la lotta di Liberazione scegliendo di continuare a svolgere, con tutte le difficoltà del caso e delle contingenze, la propria professione. Sembra un po’ di leggere in questa sua opzione quanto scriveva San Paolo nella Lettera ai Romani: “Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento, all’insegnamento; chi l’esortazione, all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.”.

Aveva scritto egli stesso a Menichella nel 1937 che il lavoro era il “contenuto stesso” della sua vita: “sento di potermi dedicare, in quel qualunque posto di collaborazione che mi è destinato, al lavoro non solo sotto il segno della obbedienza, della diligenza, o magari della convenienza, ma anche con quella passione che viene dall’intima persuasione di non dover far nessuna riserva d’ordine morale e di non dover rinunziare a nulla di quel patrimonio di idee e di convinzioni e di principi che concorrono a formare la mia personalità”.

Saranno i radiomessaggi del Papa a far scoccare il “dovere dell’ora”, come dirà Pio XII in quello del Natale del 1942: “Oggi più che mai scocca l’ora di riparare; di scuotere la coscienza del mondo dal grave torpore, in cui i tossici di false idee, largamente diffuse, l’hanno fatto cadere“.

Gli incontri di via Reno, nella sua casa romana, la partecipazione attenta e fondamentale alla scrittura del Codice di Camaldoli, il fiancheggiamento della Resistenza nella Roma occupata, la collaborazione con De Gasperi, il rapporto intenso e profondo con Montini faranno di Paronetto un uomo fondamentale in grado di gettare le basi della ricostruzione politica, spirituale e materiale del nostro paese.

 

Degno di nota il particolare feeling con lo statista trentino. Ricorda Torresi che “Paronetto era attratto dalla personalità dello statista trentino, dall’altezza intellettuale e morale dell’uomo, ma anche dal rifiuto di assolutizzare il dato partitico in quanto tale”. Egli, inoltre, consegnerà, colpendo molto De Gasperi per capacità di elaborazione e raccolta dati, una nota, nell’ottobre del 1942, da inviare agli americani, che l’avevano richiesta a quest’ultimo, sulla situazione del paese.

 

Un uomo in continuo dialogo con sé stesso, curioso e attento alle nuove dinamiche ed esigenze storiche, come la sua attenzione verso il comunismo. Ricorda Torresi come, per Paronetto, “in ultima analisi, il fenomeno storico del comunismo chiamava il cristianesimo a confrontarsi con sé stesso. Al pari di altri eventi della storia, la chiesa era chiamata a capire e ad interpretare le vicende con responsabilità, ad accogliere positivamente la sfida, per opporvi non la reazione ma la proposta di una ricostruzione condivisa della civiltà“.

In definitiva egli invitava ad afferrare le esigenze di fondo del comunismo, sentendosi comunque lontano dalla dottrina da questo promossa, per reinterpretarle e proporle in modo democratico, secondo libertà e secondo i criteri della giustizia sociale, facendo sì che si potesse essere a sinistra e tutelare gli interessi del lavoro e delle masse senza essere marxisti.

Paronetto fu uomo generoso, instancabile lavoratore, intellettuale fra i più acuti. Cristiano che seppe sopportare il male che lo portò via ancora giovane, nel 1945, con grande fede e serenità. Ricorderà Guido Rossi: “Sergio è stato uomo che si è ritrovato sempre perdendosi. Perdendosi negli altri; nei problemi e nei cuori degli altri ritrovava se stesso, arricchiva se stesso, fermandosi non in superficie ma guardando all’infinito. Le ore vissute con Sergio furono ore di contatto di pensieri e di cuori. Ciascuno di noi ha sempre raccolto da lui più di quello che domandava e più di quanto meritasse di raccogliere […] Tutto ciò, unito al suo ingegno veramente eccezionale, al suo altissimo senso di rettitudine e di carità, alla sua generosa dedizione al bene, contribuiva a creare attorno alla sua persona un’atmosfera di fascino e ci portava a guardare a lui come a un ideale di vita del cristiano colto“.

Parole significative e belle queste di Rossi, riportate nel testo di Torresi, che ci danno il senso di questa pubblicazione, il suo valore di ricostruzione biografica compiuta e attenta di una delle personalità più importanti della storia del cattolicesimo democratico italiano e della storia economica ed industriale del nostro paese.

 

Luigi Giorgi

One Comment

  1. Questo libro, così ben recensito da Luigi Giorgi, colma una lacuna storiografica. La figura di Paronetto è ricca di attualità per la sua costante ricerca della democrazia sostanziale con efficaci strumenti di comprensione della società e delle dinamiche economiche del dopoguerra.

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