RENZI E LA QUESTIONE DI UNA NUOVA CULTURA DELLA SINISTRA

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Alle interviste in contemporanea di Matteo Renzi a Ezio Mauro su Repubblica (“Io, la sinistra e i miei errori. Così cambierò il partito”) e di Silvio Berlusconi a Francesco Verderami sul Corriere (“Non si può votare subito”), segue quella di Pierluigi Bersani,  su Repubblica, il quale critica Renzi (“La lezione non è servita. Su lavoro, fisco e welfare bisogna svoltare a sinistra”); di Bersani si veda anche un più ampio scritto sul suo blog: “Il centrosinistra deve dare vita a una nuova piattaforma politica. La via seguita finora è sbagliata” (ilcampodelleidee.it). Critico anche Eugenio Scalfari in coda al suo editoriale domenicale, che definisce Renzi “un perfetto giocatore di roulette”, ma non un leader (“Lo scudo di Draghi è il ministro del Tesoro europeo”). Dubbioso Giuseppe Sala che scrive al Corriere: “Il Paese è fermo da mesi. Completiamo la legislatura”. Sulle interviste di Renzi e di Berlusconi ragionano Mauro Calise sul Mattino (“La partita dei due capi solitari” e Stefano Folli su Repubblica (“Le convergenze obbligatorie”). Su Renzi si sofferma, sul Mattino, Biagio de Giovanni, con una valutazione in sostanza positiva del suo sforzo di dar vita a una nuova sinistra fuori dai dogmi del passato, e con un appello all’esigenza di nuovo riformismo non sistemico ma incisivo (“Che senso ha una teoria della sinistra?”). Accenti diversi, su natura e compiti della sinistra, in Laura Pennacchi, “Polarizzazione democratica, la via per rinascere” (Manifesto), come pure in Daniela Preziosi, “Sinistra italiana, parte il congresso” (Manifesto). Sui percorsi della sinistra scrive anche Marc Lazar su Repubblica (“La sfida da vincere per essere leader”). Interessante l’intervista al candidato indipendente alle presidenziali francesi Emmanuel Macron (“Io all’Eliseo senza partito. Le Pen mente, l’Europa ci salverà”, Repubblica).

 

 

 

 

 

 

 

 

One Comment

  1. Se fosse possibile votare subito questa sarebbe la soluzione migliore almeno per ridimensionare le ambizioni di quanti, sulla scorta del risultato del referendum, pensano di essere investiti del mandato popolare per il governo del Paese.
    Ma così non è, sia perché quella del referendum non è una maggioranza politica, sia perché non esiste legge più divisiva di quella elettorale, e ciò è dimostrato dal dibattito di merito in corso.
    Convengo con quanti sostengono che sarebbe assurdo staccare la spina la Governo se da prova, come mi sembra la stia dando, di essere vitale.
    Ciò considerato resta comunque il problema del PD, cioè di capire, per uno come me non iscritto al PD che per storia personale e valori di riferimento non può non votare PD, come si declina in proposta e iniziativa politica la lunga intervista di Renzi, che ha il limite di essere per gran parte dedicata ai temi dell’essere e della forma partito del PD, e poco, se non per accenni, a quelli del Paese che vanno dall’economia alla finanza, dal lavoro alla disoccupazione, dalla distribuzione della ricchezza all’aumento delle disuguaglianze, dai profughi alla povertà crescente, ecc.
    Dopo l’intervista a Renzi, ma anche dopo quella a Bersani, la domanda che continuo a pormi è questa: devo continuare a votare PD perché non ho alternativa oppure posso sperare di votarlo perché è portatore di una proposta e di una prospettiva politica condivisibile?

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