Il Rosatellum, un salto nel buio

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Mi ritrovo dall’altra parte della barricata, per le stesse ragioni che il 4 dicembre del 2016 mi avevano convinto a votare No al referendum costituzionale. Le mie scelte politiche dipendono dalla qualità della democrazia, dai valori che incarna. La riforma elettorale che porta il nome dell’on. Rosato, e l’accordo con Berlusconi e Salvini che dovrebbe garantirne l’approvazione, sono considerate dal Pd una scelta imposta dalle circostanze, per non restare imprigionati da due diverse leggi – sopravvissute ai tagli della Consulta – che non garantirebbero la governabilità, ma anche l’ultima spiaggia contro un populismo che minaccia la vita della democrazia rappresentativa.

In realtà chi avanza queste giustificazioni, avrebbe potuto proporre una legge migliore e avrebbe dovuto realizzare una maggioranza parlamentare diversa, di centrosinistra, invece di alimentare il sospetto che la scissione del Pd fosse inevitabile, finendo così per favorirla.  Il Rosatellum permette ai vertici dei partiti di “nominare” la maggior parte dei parlamentari, e chi ha sottoscritto un accordo elettorale con la destra, anche secondo Rosy Bindi, pensa di “recidere” le radici dell’Ulivo, e di dare un’altro orientamento alla politica, al partito dell’”uomo solo al comando”

Il “voto di fiducia” dell’aula di Montecitorio ha reso più profonda la frattura tra i partiti di sinistra, impedendo qualunque emendamento ad una riforma che – per il suo significato istituzionale – avrebbe richiesto, come auspicato da Mattarella, “il più vasto consenso”; e lo ha fatto alla vigilia dell’evento organizzato per festeggiare il decennale della nascita del Pd. Non a caso a questa festa non hanno partecipato alcuni “fondatori” del Pd, da Prodi a Parisi a Rutelli…ed infine anche D’Alema e Bersani. In quell’occasione Walter Veltroni ha ricordato, con un discorso polemico e molto applaudito, il governo Prodi del ’96 come “il migliore della storia repubblicana, anzitutto per l’autorevolezza di chi lo presiedeva”, ha criticato “lo spirito del tempo, spesso incarnato anche dal leader del Pd”, ed ha polemizzato con l’idea che “i parlamenti e i governi li decidono i partiti e non gli elettori”. Per Veltroni, che spera ancora in una intesa tra tutta la sinistra, “le alleanze si fanno prima e poi le si fa giudicare dagli elettori”. Tuttavia, come è accaduto con il voto del 4 dicembre,  Walter voterà per il Rosatellum anche se lo considera un errore, e penso che tema, come io temo, che il Pd – e l’Italia – stiano per compiere un salto nel buio.

Quali sono, in sintesi, le ragioni del mio dissenso dalla linea di Renzi, il quale per evitare l’isolamento ed opporsi al populismo finisce nell’ammucchiata con Berlusconi e Salvini? Per dare una giustificazione storica al “voto di fiducia”, Matteo Renzi ha ricordato che anche De Gasperi ha posto la “fiducia” nel 1953 a difesa di una legge elettorale che assegnava un premio alla coalizione che otteneva il 50 % dei consensi, più un voto. Per poche migliaia di voti, la coalizione centrista, alternativa al frontismo della sinistra, non conquistò quel “premio”. Ma “Renzi non è De Gasperi”, non si possono confrontare queste vicende politiche. De Gasperi ha posto la fiducia alla Camera, dopo una lunghissima discussione, per evitare che la Dc finisse per accettare quella stampella monarchico-missina che proprio De Gasperi – resistendo alle pressioni del Vaticano, aveva respinto in occasione delle elezioni romane del ’52. Dopo il voto della Camera ripropose la fiducia al Senato, contro un ostruzionismo che avrebbe impedito lo stesso dibattito parlamentare.

La fiducia del ’53 si riferiva ad una alleanza politica e ad un progetto di “centro che guarda a sinistra”. Per il Rosatellum si è impedito un confronto parlamentare per consolidare una scelta  tutt’altro che trasparente, per una “ammucchiata” senza progetto, giustificata solo dall’essere “contro” (il M5S?). Sono esagerati i tono usati da chi ha definito antidemocratico un accordo elettorale privo di un progetto e politicamente opaco, spiegabile solo come operazione di potere?

Poiché il sistema di voto può influire sul comportamento degli elettori, e può influire anche sull’onda populista e sull’assenteismo, non si può escludere che proprio questa manipolazione del voto finisca per avere l’effetto opposto a quello sperato dai proponenti del Rosatellum; in particolare è possibile che la radicalizzazione dello scontro favorisca elettoralmente il conglomerato FI-Lega, che ha un’alta concentrazione di voti nel settentrione, cambiando la direzione del voto moderato (dal Pd a stampella di Berlusconi…) e faccia crescere la perplessità degli elettori di centrosinistra. È ciò che temono Mieli, Cacciari e Pasquino. Il voto di fiducia è stata una forzatura anche per Ezio Mauro; un atto di arroganza di cui potrebbe pagare il prezzo il presidente Gentiloni  che ha il merito di aver ribadito il suo appoggio al Ius soli), ma anche un segno di debolezza di un partito che teme i franchi tiratori.

 

Le mie obiezioni riguardano però soprattutto il merito del Rosatellum, le sue forzature nei confronti della Costituzione. La prima obiezione riguarda “un solo voto e una sola scheda” con cui si eleggeranno sia la Camera che il Senato. E poiché la scheda ed il voto dati alle liste proporzionali dei quattro partiti della destra riguarderanno anche l’unica candidatura uninominale di questi partiti, questa “coalizione” dovrebbe garantire la conquista della maggior parte del “terzo” dei seggi riservati alla quota maggioritaria. La trasparenza e la correttezza sono stracciate. Questa   ammucchiata senza programma, che potrebbe estendersi a liste civetta diffuse alla periferia, ha l’obiettivo di “mettere fuori gioco” l’avversario più pericoloso. Come per il Palio di Siena, “fare perdere” può contare più che vincere.

La seconda obiezione: per la parte proporzionale (due terzi dei seggi) è previsto un voto di blocco, senza preferenze. Conosco le critiche alle preferenze, al clientelismo ed ai costi, ma dobbiamo anche riconoscere che sono un’apertura al voto di opinione ed un limite al potere delle burocrazie di partito. Comunque, la correttezza costituzionale vuole che i partiti presentino i candidati e gli elettori decidano chi votare. Per rispettare la Costituzione e non cedere alla tendenza a trasformare il parlamento in una assemblea di nominati, si possono scegliere due strade: gli elettori scelgono tra i candidati presenti nelle liste dei partiti; oppure, tutte le candidature sono uninominali e gli elettori votano, in ogni collegio, per il candidato preferito. Questa era la regola del Mattarellum per il Senato, e quella regola sarebbe applicabile anche alla Camera. Per molto tempo si è votato con questa regola sia per le Amministrazioni provinciali che per il Senato della Repubblica.

La terza obiezione: Renzi ha, incidentalmente, ricordato che lo statuto del Pd prevede che il segretario del partito sia anche il candidato premier. Salvo diversa indicazione delle Primarie. È una provocazione fare notare che, dopo il voto del 4 dicembre del 2016, è stato nominato premier Gentiloni? A volte le circostanze costringono a riconoscere l’importanza della politica, l’imprevedibilità degli elettori e la fragilità degli statuti.

Una quarta osservazione riguarda le contraddizioni del Movimento 5 Stelle: i parlamentari cinquestellati sono decisamente contro il Rosatellum, contro le ammucchiate per il maggioritario ed anche contro il voto bloccato per la quota proporzionale. E su questo concordiamo. Ma si propongono di imporre, quando saranno al potere, il “vincolo di mandato” ai parlamentari, poiché pensano che la libertà di voto, che deve essere regolamentata dallo statuto dei partiti, rappresenti un tradimento degli impegni elettorali. Tutto il potere nelle mani dei partiti, del vertice di turno, che a sua volta potrebbe tradire i programmi elettorali? Dobbiamo riflettere sul fatto che la libertà di voto, il voto di coscienza dei parlamentari, ha le stesse radici dell’indipendenza dei magistrati (che non dipendono dall’esecutivo). L’indipendenza dei magistrati e la libertà dei parlamentari sono l’anima della distinzione dei poteri, sono i valori che qualificano la politica ed i partiti democratici, contro i corsi e ricorsi storici delle tentazioni totalitarie…

Mi chiedo, infine, perché agli straordinari mutamenti degli ultimi anni, spesso indotti dalla globalizzazione e da radicali trasformazioni sociali ed economiche che fanno emergere i limiti dei  sistemi elettorali (proporzionali e maggioritari), negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Francia, in Spagna ed anche in Germania stanno cercando una difficile risposta dalla politica, anche quando esiti imprevisti fanno dilagare il populismo e mettono a rischio l’avvenire dell’Europa, ed invece in Italia si cercano rimedi nelle riforme elettorali, nella manipolazione della volontà degli elettori. Non si ferma il vento con le mani. E soprattutto, se cresce il pluralismo, a maggior ragione la maggioranza di governo richiede alleanze politiche, coalizioni costruite prima del voto su programmi di governo e poi sottoposte al giudizio degli elettori. Rispetto della Costituzione.

 

Guido Bodrato

 

 

 

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