Il dovere del realismo

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Pubblichiamo la dichiarazione congiunta che questi due nostri amici hanno reso noto quest’oggi, 25 novembre, a pochi giorni dal referendum costituzionale.

Umberto Allegretti è professore emerito di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi di Firenze. Enzo Balboni è professore emerito di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

 

 

Sei mesi fa dichiarammo pubblicamente il nostro disagio a schierarci per il Sì o per il No (leggi qui il testo, ndr) e, coerentemente, non abbiamo fatto campagna elettorale nei campi avversi. Quando richiesti, ci siamo soffermati sui contenuti della proposta di revisione.

Nella primavera del 1973, in un momento difficile per il rilancio della politica riformatrice del centrosinistra, Aldo Moro (come ricostruisce Guido Formigoni – nella sua recente, bella, biografia edita dal Mulino – sulla base di una memoria di Paola Gaiotti), valorizzando il suggerimento dei suoi collaboratori Elia ed Andreatta, riuscì a far ripartire un’iniziativa politica che stava entrando in crisi “con uno splendido discorso sul dovere del realismo, trasmettendo sia la percezione di una situazione drammatica che poteva sfuggire, sia il dovere di assumere tutte le iniziative moralmente lecite”.

Ora, Renzi non è Moro; ma non v’è chi non veda il profilarsi sulle trincee del NO di una strana alleanza, coalizzata solo sulla pars destruens.

Condividiamo le preoccupazioni già espresse, tra gli altri, dagli amici Virginio Rognoni, Fabrizio Barca, Salvatore Natoli e Giuliano Pisapia. Riteniamo, perciò, che sia venuta meno, a pochi giorni dalla conclusione di una pessima campagna elettorale, la ritrosia ad esprimere, da tecnici, un giudizio che allora poteva apparire come “conducente”.

Senza entusiasmi, pertanto, voteremo Sì, bilanciando i lati fondamentalmente positivi della riforma rispetto ad alcuni dei suoi difetti.

 

Umberto Allegretti, Enzo Balboni

 

 

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  1. Dichiarazione stimolante. Devo confessare che agli inizi di questa logorante vicenda referendaria, ancora non conclusa…, sono stato dubbioso anch’io. Ma non essendo uno studioso di Diritto costituzionale, avevo in partenza messo nel conto che potevo anche sbagliarmi. Pur persuaso sul SI, il mio era però un SI ancora debole e liquido . La non elezione dei 100 Senatori mi creava qualche perplessità, per esempio. Un dubbio che mi è stato in parte tolto dalla prevista doppia scheda elettorale che sarà presente in ogni elezione regionale. Dopo aver letto questa dichiarazione da parte di due autorevoli” tecnici”, e dopo aver dunque già maturato il mio SI, non posso tuttavia nascondere che i dubbi delle origini mi provenivano anche da un seconda preoccupazione . Ho fino all’altro ieri pensato che in una mezza botte di vino buono ( la Riforma) si stesse travasando una mezza botte di vino acetato (l’Italicum ). Col risultato di avere comunque e in ogni caso una botte di vino acetato! Ho così letto e interpretato la combinazione di due leggi e la loro interazione al ribasso, strillata dai media con un incomprensibile linguaggio per iniziati: il c.d. “combinato disposto”. Ora, dopo le intese sulle modifiche per l’Italicum , e le aperture della Commissione Pd, riunita proprio per togliere l’aceto dalla mezza botte di vino acetato: ( collegi più prossimi all’elettore; preferenze; premio di governabilità; lista unica – coalizione ; ballottaggio- turno unico), sono molto più convinto di prima del mio SI che è per questo diventato forte e solido. Mi auguro di stappare vino d’annata 2016 dalla botte di vino buono che uscirà e che, fatto un poco invecchiare, berremo per un poco di tempo . Naturalmente antipolitica… voto anti-Renzi a prescindere … partecipazione degli indecisi… e sondaggi permettendo !

  2. Qualcuno dirà, a ragione, che l’oggetto del referendum non è il “pro o contro Renzi e il suo Governo”, ma le modifiche alla Costituzione approvate dal Parlamento con la Legge Costituzionale pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016.
    All’inizio della campagna referendaria non erano in pochi, compreso chi scrive, coloro che sostenevano la tesi che se il confronto si fosse svolto sui contenuti delle modifiche alla Costituzione avrebbe sicuramente vinto il “no”, ma se si fosse svolto sulle ragioni politiche del “pro o contro Renzi e il suo Governo” avrebbe vinto il “sì”.
    Mancano ormai pochi giorni per appurare se questa era una previsione realistica, ma è constatabile da tutti come nella campagna referendaria il confronto sul merito delle modifiche occupi uno spazio del tutto marginale, mentre il confronto “pro o contro Renzi e il suo Governo” sia assolutamente predominante, perfino eccessivo, per il tempo che occupa e per le motivazioni spesso assurde, paradossali e irrazionali utilizzate da entrambi gli schieramenti a sostegno delle loro tesi.
    La tesi che prevale in questa campagna elettorale, e che accomuna i sostenitori del “sì” e del “no”, è quella del “cambiare per cambiare perché cambiare è sempre meglio che non cambiare”, tesi che, francamente, mi crea più di un problema perché sposta l’attenzione dall’oggetto del referendum: le modifiche alla Costituzione, al soggetto della politica: Renzi, il Governo e la maggioranza parlamentare.
    Venuto meno il confronto di merito a favore di quello esclusivamente politico, non posso che condividere la tesi di quanti dicono (ad esempio Cacciari e Pisapia) che “questa è una riforma concepita male e scritta peggio” ma “per uno spirito di responsabilità nei confronti del sistema voterò sì:
    – perché mi è, e resta, incomprensibile l’impianto generale delle proposte degli assertori del “no”,
    – perché non sono una alleanza politica minimamente credibile e, dunque, non sono un’alternativa possibile al Governo attuale
    – perché non sono in grado, anzi, non possono rispondere alla domanda: cosa accade se vince il “no”, quale governo per quali politiche e quali riforme?
    Pur essendo apertamente e motivatamente critico verso la modifica della Costituzione, in ragione della personale responsabilità verso il Paese e il bene comune che la Costituzione richiama e sollecita (Art. 2 Cost.), non posso che votare “sì”, anche perché questa è la condizione di stabilità richiesta per affrontare i molti problemi del Paese che il referendum ha solo accantonato: economia, deficit di bilancio, povertà, disoccupazione, disuguaglianze, evasione fiscale, profughi, Europa, ecc.

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