Quei continui attacchi alla magistratura

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Gli attacchi alla magistratura non si fermano. La vicenda Consip non c’entra, ma la realtà è che, in modi più o meno soft, più o meno palesi, più o meno indiretti, ormai da un quarto di secolo a questa parte, dopo Tangentopoli, questo autonomo potere dello Stato è sotto tiro: un indiscutibile potere costituzionale, messo a guardia di una società che spinge gli “spiriti animali” verso l’individualismo e a farsi prima di tutto i fatti propri con tutti i mezzi, e solo dopo, se avanza tempo, a praticare la solidarietà con quelli degli altri.

Sulla magistratura si è accumulata negli ultimi decenni una vasta letteratura. Solo in pochi casi orientata a difendere il delicato ruolo del magistrato (il volume del 2009 di Luciano Violante Magistrati, centrato sulla “… certezza del diritto e della sua interpretazione”), e invece quasi sempre per attaccarlo. Questi ripetuti attacchi si sono affiancati a quelli già esistenti verso i rimanenti poteri dello Stato, trascinando l’opinione pubblica in un vortice di delegittimazione a 360 gradi che non salva più niente e nessuno. Affermare, infatti, che la società italiana sta vivendo una crisi epocale non è più una notizia. Una crisi che, tra tutti gli altri problemi seri che conosciamo, a partire dalle diseguaglianze crescenti, sgorga però anche da avventate con-fusioni: una fusione cioè di cose che non andrebbero mescolate e che, anzi, andrebbero distinte con moderazione, e ordinate senza sbilanciamenti, chiamando  pane, il pane, e vino, il vino. E’ il caso del “potere” giudiziario e di quello dei giudici messo nel pentolone del generale passaggio d’epoca. La faccenda si complica e diventa esplosiva quando questa con-fusione la notiamo in editorialisti e intellettuali  che fanno opinione, studiosi e filosofi di prestigio, o in uomini politici qualificati.

E’ stato Mauro Calise, un professore stimato, che in una intervista a Marco Damilano, facendo riferimento al suo saggio sulla “Democrazia del Leader”, sui limiti della leadership personale, sulla crisi del partito politico con il ritorno al “potere monocratico dell’individuo narcisista(su cui mi trova d’accordo), ha denunciato tempo fa il pericolo, per le libertà democratiche e per lo stesso leader, che provoca il fattore “M”: Magistratura e Media. Ricordo quanto si è discusso sull’intervento della Corte Costituzionale in merito all’Italicum, sino al punto che qualche quotidiano ha titolato sula morte del Parlamento e sull’avvento della “Democrazia Giudiziaria”. Poi, mercoledì 8 marzo, festa della donna, Claudio Petruccioli ha rilasciato una intervista a Il Dubbio, che, facendo leva su un saggio scritto 25 anni fa da due studiosi americani – Ginsberg e Shefter – sulle procedure giudiziarie, che “… fanno fuori l’avversario politico” e sulla “… politica degli scandali che sostituisce le competizioni elettorali”, attacca i giudici napoletani e quant’altro si muova sul filone delle inchieste delle procure: il sottotitolo è chiaro: “processiamo le inchieste”. Un’intervista che però alla fine delegittima tutta la magistratura. Non solo quella napoletana. Non passano due giorni che Giuliano Ferrara sul “suo” Foglio – un Ferrara per la verità non nuovo a queste denunce di procure avendo sempre sott’occhio quella di Milano -, muovendosi dal pretesto della candidatura di Emiliano a segretario del Pd, se la prende con una serie di magistrati che hanno fatto il salto in politica. E ancora due giorni dopo un insospettabile uomo di cultura e di studi, il filosofo Biagio De Giovanni, in occasione dell’incontro di Renzi al Lingotto, non ha avuto alcun dubbio nel denunciare il “… ruolo politico della giustizia” che tra le altre cose svolge anche “… un ruolo conservatore”. E mi fermo qui senza avventurarmi sui telegiornali Rai e sui quotidiani nazionali che spesso nei loro commenti ripetono lo stesso ritornello. Rimango tuttavia convinto che, se personaggi come loro con-fondono e non distinguono (sempre), e non separano (sempre), i propri convincimenti e le proprie opinioni dai fatti che viviamo – che sono sempre fatti storici -, mescolandoli con foga in un polpettone astioso contro le procure, contro i Pm e contro i giudici, allora non facciamo solo un male alla Magistratura, ma lo facciamo alla Democrazia politica e al Paese intero.

Giù, nel Sud, nella nobile “Magno-Greca” ma abbandonata mia Calabria, ho avuto modo di conoscere magistrati coraggiosi tenuti “prigionieri” da una scorta sotto casa – estesa a moglie e figli – da far paura! Una pratica “precauzionale” ancora oggi adoperata per diversi giudici meridionali. Questi valorosi magistrati hanno mantenuto la schiena dritta nei confronti della diffusa illegalità e della mala politica complementare, difendendo lo stato di diritto e la legge, e riscuotendo fiducia e meritati riconoscimenti dei cittadini. Magistrati che, se anche non sono riusciti a sconfiggere l’illegalità, hanno comunque lasciato un forte segnale di speranza alla società intera, e hanno generato fiducia sul loro ruolo. Ho spesso pensato che senza di essi il Mezzogiorno sarebbe a quest’ora definitivamente affondato. Non è a tale proposito un caso che il più poetico e sincero omaggio a questa categoria provenga da un meridionale autentico come Andrea Camilleri secondo cui “… i giudici sono un forte albero che regge tutto il Paese”. Credo per questo che quando si fanno analisi e si vuole parlare male di qualche magistrato, o quando sorgono dei dubbi sull’operato di qualche procura, bisogna stare molto attenti e ricordarsi della loro delicata e rischiosa funzione, dei Falcone e Borsellino, dei tanti altri giudici anonimi, ignoti e riservati, che hanno a cuore la professione e la deontologia.

Da meridionale (e meridionalista) incallito e orgoglioso delle sue radici, ho dunque sempre difeso le ragioni di un Sud abbandonato a se stesso, valutando sempre positivamente il protagonismo della magistratura meridionale. Di conseguenza, ho voluto vedere i tre poteri canonici della democrazia che interessarono Montesquieu più come dei vasi comunicanti che come delle isole separate e autoreferenziali che non dialogano tra loro e sono gelosi della propria autonomia. Scommettendo sul garantismo e scandalizzando, ho sempre visto l’incursione della magistratura in territori non propri più come un bene per l’intera società, e per la libertà e la sicurezza dei cittadini, che come un male per gli equilibri “auto-nomi “ e formali dei canonici ruoli costituzionali. Il che, se da un lato mi ha spinto a distinguere la necessaria dialettica e l’interazione utile tra i diversi poteri dello Stato dall’invasione di campo e dalla tracimazione di un potere sull’altro, mi ha nello stesso tempo sempre convinto che i ripetuti attacchi alla magistratura e alle procure rappresentano una pericolosa deriva antidemocratica, tesa spesso a nascondere e a difendere involontariamente le “debolezze strutturali” della politica e della classe politica italiana, di cui si nutre il successo del M5s e tutta l’antipolitica in questa … transizione infinita. Attacchi a volte tesi a tutelare surrettiziamente il poco rispetto delle leggi da parte di qualche personalità politica influente e di qualche potere forte economico e finanziario, a nascondere e tutelare evidenti conflitti d’interessi. Non mi sfugge infine che così come ci sono uomini politici e di governo vanesi, disponibili a fare e dare spettacolo, allo stesso modo ci sono magistrati-attori con la vocazione a scendere sulla scena mediatica. Magistratura-spettacolo dopo la Politica-spettacolo? Può essere. Ma, detto ciò, dobbiamo ammettere che la demonizzazione populista della democrazia e dei partiti politici, ormai in fase avanzata, è il più logico effetto degli attacchi ai giudici, e rappresenta il seguito più coerente di questa deriva anti-giudiziaria che non distingue il dito dalla luna, l’errore dall’errante … direbbe un grande Papa! Creando con-fusione, appunto. E mescolando insieme disordinatamente cose che vanno solo distinte anche se non isolate.

Concludo. Quella di buttare fango sulla magistratura è una strada pericolosissima e senza uscite. Che, messa nelle mani dei media e dei quotidiani, dei social molecolari, dei talk show, del qualunquismo diffuso, delle interviste e dalle opinioni di uomini politici e studiosi, vorrebbe ri-legittimare i canonici equilibri separati dei poteri, costituzionali, rimettendo al proprio posto ruoli e funzioni. Succede tuttavia che dalla delegittimazione del potere giudiziario scaturisce un effetto dirompente, cavalcato dai populisti e giustizialisti di ogni epoca e tempo, specie da quelli dei nostri giorni. Un potere difeso dai partiti virtuali antisistema. Non dovrebbe, infatti, sfuggire che oggi sono i partiti populisti che sposano il giustizialismo e difendono i giudici. Quei partiti, cioè, antipolitici, che si fanno interpreti di un’opinione pubblica disorientata e in crisi d’identità che tifa per i magistrati perché arrabbiata con la classe politica, i partiti, l’establishment e con tutto ciò che sa di politica. Il che ci deve rendere molto cauti quando attacchiamo la Magistratura. Perché, se questi attacchi li collochiamo in un grande polpettone mediatico, alimentiamo sì l’antipolitica, ma dall’altro lato spingiamo qualche studioso a evocare la Repubblica di Weimar. Con buona pace di Montesquieu e delle sue raccomandazioni sulla separazione dei tre poteri della democrazia liberale. Una separazione che per lui doveva essere totale perché fondata sulla deontologia morale dei ruoli, e anche in virtù del fatto – storico – che temeva ai suoi tempi il dispotismo a cui porta la concentrazione dei poteri nel monarca di turno. Pochi ricordano che Montesquieu era un magistrato. E quanto scrisse sullo Spirito delle Leggi e sulla separazione dei poteri lo scrisse in veste di magistrato, forse per difendere il suo lavoro e la sua categoria dall’invadenza dell’assolutismo che surclassava e rendeva inutile il loro potere.

Sono invece certo che questi con-fusi attacchi alla magistratura, uniti alla crisi della democrazia, stanno rispolverando Carl Schmitt e il suo decisionismo carismatico da fuhrer, che va esercitato – egli diceva – in casi “eccezionali”. Proprio come quelli che stiamo vivendo.

Nino Labate

One Comment

  1. Oggi , martedì 21 marzo 2017, l’Italia ricorda le vittime della mafia.
    Consentitemi di rivolgere una pensiero a tutti quei giudici e magistrati, alle tante forze dell’ordine, vittime del loro dovere teso a difendere la legge.
    Il ricordo va esteso a tanti semplici cittadini innocenti, a quei sacerdoti e giornalisti che hanno perso la vita per denunciare e testimoniare il loro coraggio di legalità, e per difendere la loro dignità di persone
    libere.
    Nel loro ricordo , non cadiamo nell’errore di generalizzare un singolo episodio delegittimando la Giustizia e la Magistratura.

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