Cattolici democratici, non per forza moderati… A proposito di un convegno a Orvieto

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Testo e contesto. Spesso è nella visione dell’insieme che nascono idee e suggestioni. Come quelle suggerite dall’intervista all’on. Giuseppe Fioroni pubblicata sull’Unità di domenica 10 luglio, a seguito del convegno su “L’impegno dei cattolici democratici nella politica di oggi fra solidarietà e legalità”, tenutosi pochi giorni prima (titolo dell’Unità: “In mille a Orvieto. Fioroni: ‘Al Pd servono i moderati’”).

Contesto: il titolo dà ampia eco a più di mille partecipanti (che di questi tempi è un’enormità, quando in convegni, al massimo, si ritrovano qualche centinaio di ben disposti), definiti nel corso dell’articolo Cattolici democratici (con la C maiuscola, come se fosse una corrente organizzata). E afferenti al Pd, vista l’appartenenza politica del loro leader. E poi (ecco il testo) compaiono virgolettate le conclusioni del convegno: a dire dell’onorevole Fioroni “Al Pd servono i moderati”. Ergo: eccoli i moderati che servono, sono i Cattolici democratici, i quali, nella scheda a corredo dell’intervista, vengono presentati ai lettori della storica testata della sinistra italiana sotto un titolino che dice e più volte ripete: “Siamo quelli che…” (e l’incipit della scheda è addirittura: “Ci riconosceranno perché …”); a seguire il decalogo degli obiettivi politici e culturali dei suddetti Cattolici democratici.

Ora, è chiaro che il modo in cui è stata confezionata l’intervista, alla quale è stato dato dal giornale particolare risalto, non è opera dell’intervistato. Ma il tutto viene di fatto orientato nel tentativo di accreditare questa grande aggregazione orvietana come l’interlocutrice più significativa sui temi – diciamo così – “cattolicamente ispirati”. A partire dagli immancabili impegni “a difesa” della vita, la famiglia e il matrimonio. Sui quali si vuole delineare il campo, per chiarire che i diritti di unione civile  sono sì riconoscibili, ma su di essi i Cattolici democratici (veri?) devono distinguersi con convinzione. Ma allora chi, come noi, valuta invece positiva la soluzione che, senza mettere per nulla in crisi la famiglia, prova a dare rilevanza giuridica e quindi a regolamentare (nel quadro della difesa dei più deboli e delle minoranze) rapporti che in precedenza valevano solo sul piano dei fatti, può collocarsi in questa area del panorama politico e culturale del Paese? Ecco: c’è una parte di mondo cattolico che, senza nessuna pretesa di titolarità esclusiva del ‘marchio’ cattolico-democratico, preferisce costruire (o provare a costruire) l’impianto etico-politico del Pd (partito che si è contribuito a fondare, quindi non ospitante) come un tessuto delicato formato dall’intreccio di visioni diverse e non sempre coincidenti, e non da mere giustapposizioni di tesi che poi – alla prova dei fatti – non reggono l’urto di conflitti identitari. Percorso che è faticosissimo, senza dubbio, ma inevitabile. Se in molti si definiscono per essere “a difesa di…”, come si può costruire insieme un punto d’incontro, forse fragile come ogni mediazione, ma pur sempre necessario per la civile convivenza e la coesione generale?

Ecco perché, poi, quella “moderazione”, invocata come la necessaria svolta per il Partito guidato da Matteo Renzi, non pare convincente. “Rivoluzione moderata”, la chiama Fioroni. Certo è apprezzabile, in questi tempi di estremismi, negli stili e nella parole, che si moderino i toni, e del resto ciò non è mai mancato nel linguaggio e nei comportamenti di chi condivide percorsi di formazione alla politica originati da radici similari. La forza dell’ossimoro, però, si attenua sulle questioni di fondo. Quelle in cui “i cattolici democratici che rischiavano di disperdersi e la cui rappresentanza non può essere lasciata ad altri” dovrebbero riconoscersi, dice Fioroni. A prescindere dall’esistenza o meno della necessità di rappresentare in blocco i cattolici democratici, anche sulla scala di priorità dei temi sorge qualche perplessità. Fioroni indica la solidarietà, la lotta alla povertà, la partecipazione dei cittadini, i bisogni del ceto medio e la finanza giusta. Bene: e come questi temi potrebbero non esserci? Mi sembra, però, che ne manchino almeno altri tre che, in questi tempi, spostano l’asse verso un radicalismo (evangelico, perché no?, ma anche, a cascata, politico) che con la moderazione proprio non va a braccetto.

Primo: una forte battaglia sui temi dell’uguaglianza. L’ascensore sociale è fermo da tempo: nel corso di questa forte crisi, una strettissima minoranza di persone nel mondo e in Italia (che è tra i Paesi con il maggior indice di disuguaglianza) si è arricchita, e una vastissima maggioranza è sempre più povera (va sparendo il ceto medio). Frutto non di un destino cinico e baro, né dell’inevitabile conseguenza della risacca economica, ma di concrete scelte redistributive che sole potrebbero (senza intaccare i valori del merito e delle opportunità) contenere il divario della forbice sociale che genera rabbia verso le istituzioni. E’ un tema, questo, che ha una rilevanza politica che molti di noi considerano non “rivoluzionaria” ma semplicemente riconducibile a quegli ineludibili principi che la Costituzione ha codificato nei suoi primi articoli con il prezioso contributo d’illustri cattolici.

Secondo: un ripensamento globale, assolutamente necessario, dell’uso e della manutenzione delle risorse della terra. Troppo facile e scontato, ma appunto necessario, qui, il richiamo all’Enciclica di papa Francesco, la Laudato si’, subito applaudita all’uscita, ma altrettanto presto dimenticata, mentre si tratta, per noi laici, di raccoglierne e maturarne indicazioni operative concrete. In un equilibrio che si fa sempre più precario, le scelte che si fanno o non si fanno condizionano guerre, fughe, spopolamenti e flussi di persone in condizioni gravissime di sopravvivenza. Se non è un tema “nostro” questo …!

Come dovrebbe esserlo, con un marcato e sicuro uso di parole e concetti, il principio dell’accoglienza, dell’antirazzismo, del dialogo interculturale e interreligioso. Che dovrebbe spingere in avanti – oltre le paure che sono generate da leader di destra cinici e opportunisti, e che comunque sono generate dall’insicurezza, dalla povertà e spesso dall’ignoranza – il confine delle soluzioni da trovare e , perché no ?, anche delle scelte delle risorse da investire.

Sono tre punti, non proprio tra i tanti vista l’attualità dei temi (anzi, della stretta e brutale cronaca), che, per carità, possono anche mancare a un’aggregazione che preferisca sceglierne invece altri per definirsi e piazzarsi nella variegata e multiforme scena politica italiana ed europea attuale. Solo che, facendolo con la l’intenzione (implicita?) di ritagliarsi un ruolo  assai caratterizzato e preciso, quello della rappresentanza dei cattolici democratici e sociali (“siamo quelli che… lavorano per un nuovo Umanesimo sociale”), forse non tengono conto che altri, pur definendosi allo stesso modo, per tradizione e per obiettivi politici, sul piano della moderazione ci stanno molto scomodi. E fanno altre e diverse opzioni.

Dall’intervista, infine, si apprende che dagli amici di Orvieto nascerà la “Costituente popolare per il Sì alla riforma”, quella istituzionale del referendum di autunno. Chi è d’accordo con il Sì non può che essere contento. Ma anche in questo caso viene da osservare che il nome (il contesto: “Costituente popolare”) fa pensare a qualcosa di assai vasto, di onnicomprensivo, di rilievo storico (a 70 anni da un’altra “costituente”, quella che fu decisiva per il nostro Paese); il che sembra voler far pensare che non si possa restarne fuori. Invece si può, e non per caso ma per scelta. Perché si riconoscono le ragioni (popolari) di chi la pensa diversamente. Ecco, a volte, facendo un po’ meno, e con moderazione …, forse si possono ottenere gli stessi risultati.

 

Vittorio Sammarco

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