Agli amici delle rete: si può votare diversamente, senza farne una questione morale

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Seguo con disagio il confronto sulle nostre (profonde) diversità sul momento politico, anche perché noto con amarezza l’acuirsi di vere e proprie contrapposizioni che sfiorano avversioni sul piano personale.

Disagio che provo in questi giorni anche con amici, cattolici più bravi e coerenti di me, persone impegnate civilmente nel volontariato e nel lavoro che svolgono con molta coscienza, ma che, affrontando (per loro iniziativa) la stessa “questione politica”, si irritano fortemente con me in quanto “più addentro da sempre” alla vita politica, rischiando il deterioramento di un rapporto reciprocamente amichevole, anche sul piano famigliare.

Mi chiedo cosa sta succedendo. Eppure sto a sentire, sviluppo con convinzione un ragionamento senza alzare i toni, non replico subito…. Ma, mentre vado avanti e favorisco il confronto, cresce nell’interlocutore quasi una rabbia progressiva.

“Loro” sanno bene della mia esperienza politica democratico-cristiana (mai rinnegata, anzi, nonostante l’espulsione nel 1992 per “eccesso di disobbedienza” prima di tangentopoli), della militanza non proprio ligia anche nell’Ulivo, nella Margherita e poi nel PD.

Intuiscono quindi la mia posizione sul referendum e quindi in qualche modo cercano buoni motivi per confermare la loro preconcetta decisione per il no: dico preconcetta perché ognuno di loro, con singolare analogia di argomentazioni, appena approfondito un aspetto, trova un altro “buon motivo”… e via via si arriva a chiudere il discorso spesso drasticamente e con minore “amicizia” di prima.

Mi chiedo, assieme a mia moglie che spesso partecipa in mia compagnia a questi confronti del dopo cena, come mai non si possa ragionare con serenità e rispetto; perché gli animi delle persone siano così accesi, mossi da una rabbia e da una esasperazione che cerca di fatto un “nemico” sul quale sfogare pur legittime delusioni, aspettative, negazione di diritti sacrosanti, difficoltà economiche e sociali.

Questa lunga premessa per ribadire che trovo con amarezza molte analogie tra questo “irragionevole rifiuto” del dibattito sereno e il confronto apparso sulla rete sullo stesso tema; trovo il rifiuto del confronto assolutamente contrario non dico allo “spirito” del cattolicesimo democratico (chi sono per dirlo?) ma alle premesse di qualsiasi dialogo, in qualsiasi contesto.

Premetto sempre che spesso Renzi mi risulta fastidioso per non dire insopportabile, ma la sua strategia dal Nazareno alle elezione di Mattarella fino alla riforma elettorale la ritengo straordinariamente utile al Paese, e ancor più se rapportata alla norma attuale.

Sostengo che la riforma sottoposta a referendum ha per genitori reali la coppia Napolitano-Finocchiaro e che la bella e giovane ministra se ne è dato troppo vanto, ma disapprovo con forza che ci si opponga perché la si ritiene coinvolta nei guai creati da Banca Etruria.

Giudico un errore politico e strategico la strafottenza verso tutta la sinistra storica e la parte interna al PD: nonostante gli errori e i comportamenti scorretti dei “compagni”, si devono lanciare ponti e non lanciafiamme, perché sono sicuramente meglio di Verdini e soci. Ma non si può votare no per “…evitare una deriva autoritaria ed un ritorno ad un nuovo fascismo”.

La partitocrazia è una mala pianta difficile da estirpare; i soldi dati alla moltitudine di eletti, alle migliaia di incarichi indiretti nella spartizione di enti, consorzi, banche e via dicendo fa tutt’uno con il cancro burocratico. Ma l’unica lettura delle leggi e la non elettività diretta del Senato sono un passo enorme verso la riduzione di quella morsa letale.

Votare contro e mantenere un obbrobrio costituzionale riconosciuto tale fin dall’origine sarebbe una condanna per il Paese assolutamente non bilanciata dalla soddisfazione di aver espulso dalla partita Matteo Renzi, e aggravata dall’aver fatto un assist alla squadra Grillo–Salvini.

L’autonomia regionale è conquista democratica irrinunciabile, ma le Regioni sono diventate nel tempo piccoli e grandi elefanti burocratici, centri di sprechi folli, di insopportabili clientele condivise anzitutto con compiacenti sindacalisti, faccendieri e parassiti. Opporsi alla razionalizzazione è per me una scelta di conservazione, mentre per i miei interlocutori solo nuovo centralismo.

Ma alla fine si arriva a Roma, “… meglio la Raggi perchè nei partiti sono tutti ladri”; e se chiedo se anche De Gasperi e Moro lo fossero stati “… per loro e pochi altri si fanno eccezioni; e anche per Prodi… anche Fassino non pare male, magari anche qualche sindaco… Ma almeno i nuovi non hanno rubato e quindi mettiamoli alla prova. Intanto si cambia e poi vedremo….”.

Mi fermo qui per tirare la mia personale conclusione: è del tutto inutile ed anzi dannoso sostenere da fronti contrapposti le ragioni del sì e del no.

Il vero problema è di rasserenare gli animi, anche per non rischiare che la rabbia verso la politica si colleghi in qualche modo al rifiuto altrettanto irragionevole degli immigrati. Da cattolici democratici ci dobbiamo assumere il compito unificante di ammettere che si possa scegliere e votare diversamente senza farne una questione morale oltre che politico-partitica in senso divisivo.

Dobbiamo sostenere un confronto critico per aiutare davvero i cattolici, loro più di altri, a votare come credono ma con la convinzione di aver fatto la scelta migliore per il loro Paese e non invece di aver agito per rendere più forte o più debole Renzi e il suo governo.

 

Nicolò Fornasir

Centro Studi sen. Antonio Rizzatti – Gorizia

 

 

 

 

One Comment

  1. Condivido lo sconcerto di Fornasir per l’acredine che troppo spesso caratterizza il confronto tra i favorevoli e i contrari alla riforma della costituzione. E che non ci si aspetterebbe soprattutto nella discussione – per quanto appassionata – tra chi condivide valori fondamentali.

    Capisco anche che chi teme che sia a rischio la democrazia si accalori di più di chi vede nella riforma un possibile miglioramento, ma non una panacea per il buon funzionamento delle istituzioni.

    Non pretendo di trovare le ragioni di atteggiamenti eccessivamente aspri, ma provo ad azzardare una ipotesi: la eccessiva sicurezza della fondatezza delle proprie opinioni.

    Forse gioverebbe tener presente che è giusto essere decisi nell’affermazione dei principi: ma quando si tratta di scegliere i mezzi concreti per realizzare praticamente i principi si entra nel campo dell’opinabile, in particolare quando si tratta di contemperare esigenze contrastanti. Altrimenti non si spiegherebbe come persone capaci e preparate possano dare valutazioni opposte su specifici provvedimenti.

    Sempre che le prese di posizione non siano motivate da ragioni pregiudiziali al merito delle questioni.

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